Un’escalation che serve soltanto a Netanyahu
Di Stefano Stefanini, La Stampa Il Libano si infiamma di nuovo con un’offensiva contro Hezbollah tanto chirurgica quanto letale. L’esplosione dei cercapersone del movimento sciita...
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Di Stefano Stefanini, La Stampa Il Libano si infiamma di nuovo con un’offensiva contro Hezbollah tanto chirurgica quanto letale. L’esplosione dei cercapersone del movimento sciita...
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• – Redazione
Il Libano si infiamma di nuovo con un’offensiva contro Hezbollah tanto chirurgica quanto letale. L’esplosione dei cercapersone del movimento sciita non è stata finora rivendicata da Israele. Può darsi che non lo sarà – come è stato per l’eliminazione di Ismail Haniyeh nel cuore di Teheran. Ma pochi (chi? ) dubitano che sia stata un’operazione israeliana; il Ministro dell’Informazione libanese Ziad Makary non ha esitato a condannare “l’aggressione israeliana”. Con l’attacco ai gangli della rete di funzionamento di Hezbollah Israele ottiene due risultati diretti: ne degrada le capacità di comunicazione e, quindi, la logistica; fa deterrenza psicologica nei confronti di tutte ramificazioni e propaggini del movimento – guarda caso anche l’ambasciatore iraniano in Libano Mojtaba Amani aveva in tasca un cercapersone di Hezbollah. Inoltre, ferisce Hezbollah in casa, “dentro” il Libano, senza ricorrere a un’offensiva aerea o terrestre contro il Paese dei Cedri e la sua popolazione. Colpisce la sofisticazione dell’attacco ma Israele non è nuovo alle prodezze tecnologiche, vedi le difese antimissilistiche di Iron Dome.
È guerra da tempo fra Hezbollah e Israele. Fra apparenti pause e violente accelerazioni, in genere da parte del Partito di Dio, ma senza mai interrompersi. Era guerriglia strisciante prima del 7 ottobre. Dopo l’attacco terroristico di Hamas da Gaza a Sud, Hezbollah aprì subito il fronte a Nord col più che probabile incoraggiamento di Teheran. Senza ingenti mobilitazioni: sono bastati razzi di non elevata tecnologia che hanno reso invivibile la fascia frontaliera col Libano e costretto allo sfollamento circa sessantamila abitanti. Israele ha oggi un pezzo di territorio non abitabile e un confine dal quale può essere fatto oggetto di attacchi missilistici che arriverebbero facilmente a Haifa e Tel Aviv. È un nodo che prima o poi Gerusalemme deve affrontare. Questo modo per farlo ha dei pro immediati ma apre le chiuse a seguiti pericolosi. L’esplosione coordinata dei cercapersone di Hezbollah ha largamente risparmiato il Libano. Il bilancio di ieri sera, 8 morti e circa 2800 feriti, è pesante ma presumibilmente i colpiti erano quasi tutti legati a Hezbollah. Non tutti saranno stati militanti, ma se avevano “pager” qualche contatto lo avevano. Quanto agli astanti toccati dalle esplosioni, l’impatto è stato minimo rispetto ai danni e vittime “collaterali” di un qualsiasi intervento dal cielo – basti pensare a Gaza. Tuttavia, per quanto mirata, questa operazione innesca una nuova escalation della crisi mediorientale. Primo, perché adesso? E cosa faranno, come risponderanno Hezbollah e, a monte, l’Iran che ancora una volta vede colpito suo personale che opera in sedicenti vesti diplomatiche? Ci sono due possibili spiegazioni del tempismo dell’operazione israeliana. La prima che, con Hamas sempre meno agguerrita a Gaza – e, spes ultima Dea, con un ultimo spiraglio per un cessate il fuoco nella Striscia – per Israele è venuto il momento di pensare al fronte Nord, e che Gerusalemme lo fa nel modo meno cruento possibile verso i libanesi. L’altra, più cinica, è che Netanyahu ha bisogno di continuare ad essere il leader in tempi di guerra che lo tengono alto nei sondaggi.
In questo calcolo, ragionato, mette in conto anche il rischio di una guerra in Libano – intanto ha degradato le capacità di comunicazione di Hezbollah – o addirittura di una guerra regionale in cui scenda in campo anche Teheran. A questo punto le risposte di Hezbollah e dell’Iran diventano determinanti. Per il Partito di Dio la mancanza di reazione sarebbe un segno di debolezza che non passerebbe inosservato nelle dinamiche mediorientali. Hezbollah ha un arsenale di razzi e missili che per pura quantità può mettere in difficoltà le difese israeliane. Un attacco massiccio scatenerebbe però una proporzionale controffensiva di Gerusalemme. Memore della guerra del 2006, il Partito di Dio ha finora voluto guardarsene. Può accontentarsi di continuare nella strategia delle continue punture di spillo sulla frontiera? Lo stesso dilemma, in scala esponenziale, si pone per Teheran. L’Iran sa che se entra direttamente in guerra con Israele, l’intera regione sprofonda nel conflitto con il possibile/probabile intervento americano. E che, forse, è proprio il punto di rottura a cui vuole arrivare Benjamin Netanyahu. Con Washington in sindrome elettorale non in grado di tirare le fila mediorientali.
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