Russia – Ucraina, una lacerazione senza speranza
Incontro con Volodymyr Ishchenko, ricercatore di origine ucraina, sociologo socialista, associato presso l'Istituto di studi sull'Europa orientale della Freie Universität di Berlino
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Incontro con Volodymyr Ishchenko, ricercatore di origine ucraina, sociologo socialista, associato presso l'Istituto di studi sull'Europa orientale della Freie Universität di Berlino
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Incontro con Volodymyr Ishchenko, ricercatore di origine ucraina, sociologo socialista, associato presso l'Istituto di studi sull'Europa orientale della Freie Universität di Berlino
Volodomyr Ishchenko è sociologo e intellettuale di sinistra. Le sue ricerche, negli ultimi anni, si sono concentrate su proteste e movimenti sociali, rivoluzioni, radicalizzazione, politica di destra e di sinistra, nazionalismo e società civile. Il suo saggio “Towards the abyss: Ukraine from Maidan to war” (Verso l’abisso: l’Ucraina da Maidan alla guerra”) è stato di recente pubblicato per le edizioni “Verso”. In questa chiacchierata Ishchenko, che conobbi molti anni fa a Kiev, ha preferito non rispondere a domande che presupponessero delle previsioni sul conflitto in Ucraina, ritenendo che ciò dipenda da fattori militari e diplomatici di cui non è a conoscenza, e ha quindi preferito concentrarsi sugli aspetti su cui è specializzato.
Nei suoi numerosi studi lei sottolinea che la guerra in Ucraina non può essere attribuita solo a fattori geopolitici, ma fa comunque parte del crollo dell’URSS nel 1991, e questa è una chiave di lettura che condivido molto. Come formula il problema?
Vedo questa guerra come una crisi di egemonia che affonda le sue radici nel periodo sovietico. È iniziata quando i vertici del Partito Comunista dell’URSS hanno cominciato a degenerare, allontanandosi sempre più dalla continuazione della causa della rivoluzione del 1917, e dalla stessa società sovietica, che era cambiata: così la società sovietica ha cominciato a guardarli come a un’élite isolata, che pensava solo ai propri interessi. Ma l’egemonia comunista non fu sostituita da qualcosa di stabile. Non si affermarono più né forme democratiche né autoritarie, si creò un vuoto. Questa guerra può quindi essere vista come una continuazione della crisi dell’egemonia post-sovietica (ma anche come un tentativo di rispondervi). Una crisi che nasce dall’incapacità della classe dirigente di guidare la società russa politicamente, moralmente e intellettualmente. La risposta conservatrice è stata il bonapartismo di Putin.
La funzione di una leadership come quella di Putin è di garantire gli interessi collettivi a lungo termine di una classe dirigente di natura “politico-capitalistica”, essenzialmente opportunistica. Inoltre, oggi Putin sta proseguendo la politica avviata all’inizio del suo primo mandato per stabilizzare la società russa dopo il crollo dell’URSS. In Ucraina, gli oligarchi locali non sono riusciti ad accordarsi tra loro e a formare un regime stabile: il tentativo di Putin, dal suo punto di vista, è quello di mitigare le conseguenze di questa situazione.
Esiste ovviamente un legame tra la rivolta popolare che ha avuto luogo in Bielorussia e la brutale risposta di Lukashenko che ne è seguita. La repressione ha impedito una spaccatura della classe dirigente bielorussa, ma ha reso Lukashenko dipendente da Putin. Senza il pieno sostegno della Bielorussia, un’invasione su larga scala dell’Ucraina non sarebbe stata possibile. Ciò che è stato affrontato con i manganelli in Russia e Bielorussia è stato affrontato con missili, carri armati e droni in Ucraina. Questa è l’escalation, in forme ancora più pericolose. La questione trans-nistriana in Moldavia, la guerra azero-armena e il conflitto russo-georgiano, senza dimenticare la guerra civile in Kazakistan, fanno tutti parte dello stesso processo.
Lei ha citato le classi dirigenti russe. Proviamo a guardare questa dinamica dal punto di vista delle classi subalterne. A mio avviso, negli ultimi anni in Russia abbiamo assistito a un processo degenerativo di “lumpenproletarizzazione” della società civile, qualcosa di più profondo dell’atomizzazione sociale che costituisce la base di massa del putinismo. Cosa ne pensa?
Mi sembra che questo processo sia iniziato molto prima del periodo da lei ipotizzato. In realtà è cominciato a metà degli anni ’90, quando l’apparato dell’egemonia comunista è crollato. I gruppi di interesse sono diventati poco organizzati e ancor peggio rappresentati. Questa atomizzazione ha colpito anche le classi dirigenti e fenomeni come il regime di Putin sono nati dalla loro incapacità di articolare e organizzare i propri interessi. Regimi come quello di Putin si basano sul consenso passivo, sulla depoliticizzazione, in sostanza su uno scambio fra autorità e società: “lasciateci fare politica e non avrete problemi”. La reazione della popolazione russa che abbiamo visto dopo l’inizio della guerra è stata una conseguenza di questo. Non c’erano molte persone che sostenevano attivamente la guerra, e anche oggi ce ne sono poche.
Questo è un fenomeno che i miei colleghi sociologi russi, dopo aver intervistato centinaia di persone, hanno chiamato “la costruzione dell’inevitabile”. Anche quei russi che sono rimasti scioccati dalla guerra e, dopo pochi mesi, l’hanno criticata aspramente, hanno iniziato a sostenere che la guerra era inevitabile, che “se non l’avessimo iniziata noi, l’avrebbero iniziata loro” (a questo proposito esiste anche una versione ucraina della narrazione dell’ “inevitabilità”). Comunque, se la guerra continuerà in forma intensa, le autorità dovranno fornire una base più attiva e ideologica al conflitto.
Come lei sa, in Occidente ci sono diverse posizioni che vedono la guerra semplicemente come una “guerra per procura”, Zelensky come un mero curatore degli interessi capitalistici di Stati Uniti e Unione Europea e l’Ucraina come nient’altro che una colonia occidentale. Cosa pensa di questo approccio alla questione del conflitto russo-ucraino?
La guerra avvantaggia ampi settori della classe dirigente russa, tra cui, ovviamente, il complesso militare-industriale, perché è destinato a rimanere un fattore chiave anche se la guerra finisse. Ma soprattutto, i lavoratori dell’industria degli armamenti e i loro parenti sono anche una parte della società russa che non è depoliticizzata come il resto della società, ma, al contrario, è un sostenitore attivo di una politica estera aggressiva. Tuttavia, mi sembra che non si debbano mescolare diversi ordini di discorsi. Una questione è quella della “guerra per procura”, della “semi-colonia”, un’altra è quella dell’élite compradora.
L’Ucraina non è una colonia americana perché c’è una classe di governo autonoma che di tanto in tanto cerca di ricattare gli americani (se ci riesca sempre è un’altra questione). Tuttavia, l’Ucraina non è in grado di combattere una guerra da sola, senza il sostegno degli Stati Uniti. Se questi soldi e quelli per il sostegno economico civile non sono sufficienti, una crisi politico-economica è inevitabile. L’approccio generale alla guerra nei Paesi occidentali è diverso: alcuni sono interessati all’adesione dell’Ucraina all’UE, altri molto meno. Alcuni di questi Paesi sono più aggressivi e vedono l’Ucraina solo come uno strumento di aggressione contro la Russia, altri meno. Pertanto, queste questioni dovrebbero essere analizzate in modo molto dettagliato.
Per la Russia esiste, e non da oggi, un grave problema demografico, ma quello ucraino appare ancora più drammatico. Alcuni analisti sostengono che la popolazione permanente del Paese non superi oggi i 32 milioni. La diaspora dopo la guerra è stata molto significativa. Questo accelererà il percorso dell’Ucraina verso l’Unione Europea o assisteremo a processi di frammentazione a est, dove Putin potrà giocare le sue carte nella prospettiva di creare, di concretizzare il suo concetto di “mondo russo”?
Il problema demografico in Ucraina è davvero catastrofico, e non solo per il gran numero di rifugiati all’estero. Certo, se la guerra continua, molte donne che lavorano all’estero chiederanno di ricongiungersi all’estero con i loro mariti e di rimanervi per sempre, anche perché il tasso di natalità in Ucraina è uno dei più bassi al mondo. Ciò significa che la guerra avrà profonde conseguenze sulla società ucraina. In parte, ciò dipende da come finirà la guerra. Fino a pochi mesi fa, tra gli ucraini regnava l’ottimismo e molti pensavano che stesse per iniziare un movimento all’indietro. Ora, invece, comincia a prevalere il pessimismo.
All’epoca dell’annessione della Crimea, si diceva che Putin aveva conquistato la penisola ma aveva perso l’enorme simpatia di cui godeva nelle regioni orientali del Paese, dominate dal Partito delle Regioni e, prima ancora, dal partito comunista. Si pensava che questo processo fosse irreversibile. È possibile affermarlo ancora, dieci anni dopo, o Putin ha comunque delle carte da giocare in questa parte di Ucraina orientale?
Sono sempre stato scettico sull’idea che il processo di “ucrainizzazione” della parte orientale del Paese fosse definitivo e irreversibile. In realtà, analizzando i dati dei sondaggi, possiamo notare che negli ultimi anni ci sono state diverse fasi e diversi umori in questo settore della società. Prima del 2014, infatti, c’era una parte della società ucraina che non solo era filorussa, ma chiedeva anche di aderire alla CSTO (Trattato di sicurezza collettivi). Dopo il 2014, questo gruppo di ucraini è diminuito, ma la maggior parte di loro non è diventata pro-UE o pro-NATO, ha assunto la posizione di “una piaga per entrambe le vostre case”. In un articolo che ho scritto qualche tempo fa, ho notato che l’Ucraina non aveva nemmeno una maggioranza stabile a favore dell’adesione alla NATO alla vigilia dell’invasione.
In un sondaggio del maggio 2022, il 9% degli ucraini ha affermato che la Russia non è affatto responsabile del conflitto. Il 9% degli ucraini non è molto, ma non è nemmeno un numero esiguo. Stiamo parlando di milioni di persone. Allo stesso tempo, dall’inizio della guerra, l’esercito russo ha commesso molti crimini e non si è rivelato così forte, il che ha influenzato ulteriori cambiamenti nelle opinioni della gente.
La percezione degli ucraini è diventata particolare e legata alle dinamiche della guerra. Quando l’esercito ucraino è passato all’offensiva nell’estate del 2022, ad esempio, una parte significativa della popolazione ha affermato che la situazione economica era migliore rispetto a prima dell’invasione, per quanto fossero diffuse le sofferenze, le devastazioni e la disoccupazione. Ora, naturalmente, l’ottimismo è notevolmente diminuito. Cresce il senso di stanchezza e cresce la richiesta pubblica di smobilitazione di coloro che hanno combattuto fin dal primo giorno. Cresce il numero di coloro che si oppongono alla mobilitazione in generale, e non mancano le critiche a Zelensky. È quindi difficile dire se la società ucraina si sia consolidata e unita definitivamente. Si può citare un esempio storico. Ottant’anni dopo la Seconda guerra mondiale, con l’Ucraina che ha subito tante distruzioni e tanti morti, la Germania è nostra alleata e i soldati ucraini combattono sui carri armati Leopard contro i russi, che allora erano dalla nostra parte. Qualcosa di inimmaginabile all’epoca, un cambiamento imprevedibile nel corso della storia a cui stiamo assistendo e che potrebbe ancora ripetersi.
C’è una parte del mondo occidentale che simpatizza più o meno apertamente con Putin, sottolineando il pericolo della destra nazionalista e fascista ucraina. Come è cambiata la sua influenza politica nell’ultimo periodo?
C’è un dibattito ben noto. Qual è stato il ruolo dei nazionalisti nel Maidan del 2014 e successivamente, fino a oggi? Alcuni osservatori minimizzano il loro ruolo, citando i loro modesti risultati elettorali e la loro limitata influenza sociale. Tuttavia, se alcune dinamiche della nostra società assumono caratteristiche rivoluzionarie, diventa evidente che le elezioni non sono l’unico fattore di cambiamento sociale, e coloro che hanno la “capacità di stare in piazza” svolgono un ruolo significativo. Alcune delle loro idee, come l'”ucrainizzazione” e la “decomunizzazione”, sono diventate mainstream perché sono state sostenute dalla mobilitazione sociale nella comunità civile. Questo è un problema per l’Ucraina: non solo perché aiuta la propaganda di Putin, ma anche perché ha relazioni complicate con la Polonia e Israele.
Di recente, durante la presidenza di Zelensky, il problema della destra, anziché essere risolto, si è aggravato con l’integrazione di Azov nell’esercito. Numericamente questi gruppi sono piccoli, ma sono dispiegati dove la guerra è più intensa e, ha detto, si aspetta “più determinazione”, come a Bakhmut. Sono considerati i gruppi d’élite dell’esercito e quindi continuano ad avere influenza nell’esercito. E questo potrebbe aumentare la loro influenza politica dopo la guerra, soprattutto se questa dovesse concludersi in modo sfavorevole per l’Ucraina.
Nell’immagine: Volodomyr Ishchenko
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