Guerra all’ambiente e guerra militare: il grande business

Guerra all’ambiente e guerra militare: il grande business

Mentre di fronte all’umanità c’è la sfida vitale agli effetti del cambiamento climatico divampano le guerre ed il loro assoluto potere distruttivo, non solo sull’uomo, non solo in aree circoscritte, ma su tutto il pianeta


Lelio Demichelis
Lelio Demichelis
Guerra all’ambiente e guerra militare: il...

Nuovo, ennesimo allarme rosso per il clima. Lo ha lanciato  l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm). Il 2023 è stato infatti l’anno più caldo mai registrato al mondo da 174 anni a questa parte, cioè da quando ci sono rilevazioni scientifiche in materia.  E la temperatura media è salita di 1,45 gradi centigradi sopra i livelli pre-industriali.

E nuovo, ennesimo grido d’allarme del Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, per il quale “la Terra è sull’orlo del collasso e sta lanciando una chiamata di soccorso”. Sottintendendo: siamo capaci di ascoltarla questa chiamata di soccorso, siamo capaci di raccoglierla e di cominciare ad agire? 

Già, perché la Terra non è una miniera da sfruttare come crediamo da tre secoli a questa parte, cioè dall’inizio della rivoluzione industriale, con le premesse nel colonialismo e in Cartesio e Bacone, ma un essere vivente che vive con noi e che ci permette di vivere, purché noi si cerchi un equilibrio tra agire degli uomini e biosfera. 

Guterres ha pure sottolineato che “l’inquinamento da combustibili fossili sta creando un caos climatico fuori scala” ed ha avvertito che “i cambiamenti stanno accelerando”. È evidente che vi sia una strettissima relazione di causa-effetto tra sviluppo crescente del capitalismo e del sistema industriale di produzione e di consumo e crisi climatica e ambientale. Bastano pochi dati storici per confermarlo: nel mondo vi erano, nel 1937, 2,3 miliardi di persone, con la CO2 nell’atmosfera a 280 parti per milione e gli spazi di natura incontaminata erano il 66% del totale; nel 1997 la popolazione mondiale era salita a 5,9 miliardi di persone (più che raddoppiata in sessant’anni!), con la CO2 salita a 360 parti per milione e la natura incontaminata scesa al 46%; mentre nel 2022 la popolazione mondiale è arrivata a 8 miliardi di persone, la CO2 nell’atmosfera a 417 parti per milione e la natura incontaminata si era ridotta ulteriormente al 35%. E – dicono le previsioni – saremo circa dieci miliardi alla fine del secolo: un dato che coloro che parlano di inverno demografico e vorrebbero che si tornasse a produrre bambini (pensando cioè nazionalisticamente invece che globalmente, come la Terra ci impone), dovrebbero meditare seriamente. 

Last but non least, al fenomeno antico dei gas serra, nel 2023 si è aggiunto anche El Niño, il riscaldamento periodico del Pacifico centro-meridionale e orientale. Che certo non aiuta, anzi. E in Svizzera negli ultimi due anni i ghiacciai hanno perso circa il 10% del loro volume e nel Nord-America il 9%. L’aumento degli eventi estremi legati al clima – inondazioni, cicloni tropicali, ondate di calore, siccità e incendi – sta aggravando l’insicurezza alimentare, favorendo le migrazioni e gli impatti sulle popolazioni vulnerabili. Ma invece di intervenire contro il riscaldamento climatico e la crisi ambientale – modificando radicalmente il sistema imposto dal capitale e dalla tecnica – gli uomini cosa riscoprono? La guerra. E dopo quelle in Ucraina e Medio Oriente – per non citare gli altri focolai di guerra nel mondo e che producono quella che Francesco ha chiamato la Terza guerra mondiale a pezzi (pezzi di guerra sparsi per il mondo…) – ecco l’Europa ritrovarsi guerrafondaia (da Macron a Ursula von der Leyen, che tanto sognava di guidare la Nato) e complici gli agricoltori coi loro trattori e i tanti sovranismi che la corrodono mette di fatto in parentesi il Green New Deal – che la Bce, senza pudore, sostiene che “riduce la competitività” dell’economia europea – e riscopre invece che l’industria bellica è molto meglio, in termini di business e di profitti soprattutto a breve termine, rispetto alla lenta e incerta transizione ecologica e alle energie rinnovabili. 

E allora – e ancora una volta – torniamo alle riflessioni di Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz (1780-1831), generale prussiano, scrittore e teorico militare (il suo Della guerra è stato pubblicato, postumo e incompleto nel 1832), famoso e citatissimo soprattutto per la sua frase: “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione appunto con altri mezzi”. E ancora: “La guerra non è mai un atto isolato”; e “La guerra non scoppia mai in modo del tutto improvviso, la sua propagazione non è l’opera di un istante”. 

Principi perfettamente applicabili anche alla crisi ucraina e alla invasione russa, ad Hamas e a Israele, a tutte le guerre nascoste ma che sono in corso per accaparrarsi il litio e le altre materie prime necessarie al digitale e alla digitalizzazione della vita e del lavoro; ma nascosta è anche la guerra che la Silicon Valley ha dichiarato contro la nostra privacy e quindi contro la nostra libertà e la nostra soggettività, nascosta è la guerra degli Usa contro Assange speculare a quella di Putin contro Navalny (stesso reato: la libertà di pensiero e di informazione).

Partendo ancora da Clausewitz potremmo / dovremmo aggiungere e dire – rovesciandone il principio – che anche la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi; e che la politica è ridotta a essere sempre e solo guerra; come guerra è la concorrenza/competizione economica di tutti contro tutti, come nello stato di natura secondo Hobbes prima del contratto sociale – contratto sociale che ogni guerra poi tende a distruggere per potersi dispiegare meglio come barbarie di tutti contro tutti. 

Ma usando Clausewitz potremmo / dovremmo soprattutto riconoscere che la guerra alla biosfera e quindi alla vita della Terra e quindi alla vita umana – con noi come forza-lavoro e come consumatori colpevoli tanto quanto il capitale che ci governa, ci coglie incapaci di opporci a questa assurda logica, incapaci di diventare pacifisti esistenzialisti / ambientalisti  nel nostro rapporto non solo con gli altri uomini, ma soprattutto con la Terra come essere vivente: questa guerra alla biosfera è la normalità del capitalismo e della sua logica irrazionale ed ecocida. Perché certo la guerra è nella natura umana, ma il tecno-capitale la valorizza in termini di profitto per sé e la moltiplica per moltiplicare il suo plusvalore (e scriveva la filosofa Simone Weil quasi cento anni fa: “così come il potere militare moltiplica le guerre, così il potere commerciale moltiplica gli scambi”), attraverso quello che si chiamava complesso militare-industriale. 

E quindi la guerra guerreggiata a pezzi di oggi si somma alla tri-secolare guerra del capitalismo alla Terra (e agli uomini, sfruttati come la Terra, anch’essi visti solo come miniera da valorizzare per i profitti del tecno-capitale che a nulla di meglio che a una guerra militare anche non nascosta (come in Ucraina, e tra Israele e Palestina) aspira e approda per fare nuovo business a breve e facilmente (le spese militari sono raddoppiate tra il 2000 e il 2021 e nel 2022 sono aumentate ancora, arrivando a 2.240 miliardi di dollari – il livello più alto mai registrato).

Così si continua pure con le fonti fossili, facendoci dimenticare la crisi climatica (la nostra incessante guerra alla Terra), perché, evidentemente e tragicamente, chi mai ha voglia di ascoltare il grido della Terra e di Guterres quando ci sono le grida dei morti di ogni giorno in ogni guerra, le grida dei bambini di Gaza (che in realtà, anch’esse, finiscono per rimanere inascoltate)? Sì, c’è una pericolosa voglia di guerra, oggi, anche in Europa. Attivata e sostenuta dal capitale. Quale occasione migliore, infatti – per nascondere oggi la crisi climatica – che promuovere una escalation con la Russia, con la Cina e continuare ad accrescere i profitti?

Tutte le guerre, quelle militari da riscoprire dopo un troppo lungo periodo di pace (almeno in Europa) e la continuazione senza ostacoli ambientalistici di quella alla Terra, sono infatti nell’essenza del capitale (se appunto possono essere valorizzate in senso capitalistico), cioè sono uno dei mezzi per garantire al sistema la propria riproducibilità. Ovvero, parafrasando ancora von Clausewitz, per la continuazione del capitalismo in altri modi.

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