Un’approvazione indispensabile

Un’approvazione indispensabile

Votiamo sì soprattutto per salvare il giornalismo locale indipendente e le nuove voci digitali


Natasha Fioretti
Natasha Fioretti
Un’approvazione indispensabile

Si poteva pensare ad un testo che premiasse gli editori particolarmente virtuosi e non quelli che, durante il primo lockdown, con le entrate pubblicitarie ai minimi storici e l’introduzione del lavoro ridotto, hanno pensato bene di distribuire i dividendi ai propri azionisti. Per fare due nomi, TX Group e il gruppo NZZ. Si poteva pensare di premiare quegli editori disposti a firmare un contratto di lavoro collettivo che nella Svizzera italiana e nella Svizzera tedesca manca ormai da quasi vent’anni. Quegli editori che, all’interno delle proprie redazioni, promuovono le pari opportunità e ritengono la diversità all’interno dei loro team un fondamentale requisito di qualità, quegli editori, insomma, che sulle prime pagine dei loro giornali mettono le firme femminili e non la solita sfilata di penne maschili, magari nemmeno all’altezza di scriverlo, un editoriale. Tutto questo nel testo non c’è. Ma va anche detto che se il sì non dovesse passare, non ci sarebbe il tempo materiale per formulare, proporre e votare un testo migliore. Nel frattempo, molte testate medio-piccole, molte voci locali morirebbero o sarebbero costrette a drastici tagli con conseguenze irreversibili per il nostro ecosistema informativo. Molti colleghi e colleghe si troverebbero senza un lavoro. I grandi gruppi, invece, andrebbero avanti ugualmente continuando ad alimentare le loro politiche espansionistiche da un lato e di concentrazione dall’altra. Politiche che in questi ultimi anni hanno gravemente leso il pluralismo, l’indipendenza e la diversità informativa nel nostro Paese.

Fanno scuola l’acquisizione e poi la fusione delle due testate bernesi Bund e Berner Zeitung e le due maxi redazioni di Tamedia, una per la Svizzera tedesca e una per la Svizzera romanda, che producono contenuti per le diverse testate. Significa che la stessa intervista ad una scrittrice importante, il mercoledì mattina la troviamo sul Tagi, sul Berner Oberlaender e sul Langenthaler Tagblatt.

A confermare la tendenza c’è l’Annuario sulla qualità dei media in Svizzera, i suoi dati ci dicono che nel 2020 nella Svizzera tedesca un articolo ogni quattro compariva contemporaneamente su più testate. Solo nel 2017 era un articolo ogni dieci. Se vogliamo contrastare lo strapotere di pochi grandi gruppi, salvare quello che resta delle nostre voci locali e regionali indipendenti, promuovere e sostenere le nuove realtà digitali come Republik e far sì che ne nascano altre incentrate sul rapporto diretto con i propri lettori e libere dal mercato pubblicitario, il 13 febbraio votiamo sì.

Non solo in Europa, anche negli Stati Uniti, la pandemia ha dato un’ulteriore spallata a quello che è un modello di business morto da tempo mettendo in grave difficoltà le realtà più piccole. Poynter.org qualche tempo fa ha pubblicato i dati dello studio di Penelope Muse Abernathy dal titolo “News Deserts and Ghost Newspapers: Will Local News Survive?,” in cui si dice che dall’autunno del 2018 ad oggi ben 300 testate locali hanno chiuso i battenti. Se in un primo momento il lavoro ridotto, i tagli, i licenziamenti, le uscite cartacee e la foliazione ridotta erano servite a contenere l’emorragia, ora non bastano più, molte voci locali sono costrette a chiudere. Nell’ultimo anno ad essere stati toccati da questa sorte sono stati cento titoli e se ampliamo lo sguardo tornando allo studio citato, vediamo che dal 2004 ad oggi negli Stati Uniti sono scomparsi 1.800 giornali, in larga parte settimanali.

In Europa le cose non sono diverse, durante la pandemia ci sono testate che sono uscite solo online come l’irlandese County Down Spectator che per 116 anni non aveva mai mancato un’edizione cartacea. Il Guardian titolava tempo fa così un suo articolo “Il Coronavirus potrebbe dare il colpo finale ai giornali locali”. Per essere più precisi e fornire qualche dato a livello europeo basta consultare lo studio “Monitoring Media Pluralism in the Digital Age” promosso dal Centro per il pluralismo e l’indipendenza dei media. Oggi in Europa è a rischio sopravvivenza il 69% dei media, in particolare le realtà locali e in particolare la stampa con una percentuale di rischio che supera l’80%. Per questo molti paesi europei hanno dato ulteriori incentivi all’editoria, in particolare quelli nordici come la Danimarca, la Svezia e la Norvegia che in materia di aiuti diretti e indiretti vantano una lunga tradizione.

Prendiamo la Danimarca dove di recente ha fatto discutere l’articolo pubblicato dal quotidiano Ekstra Bladet. Il giornale fondato nel 1904 e tra i più letti del Paese si è scusato con i propri lettori e le proprie lettrici per avere fallito, per non aver fornito una copertura mediatica che fosse accurata e indipendente dalle comunicazioni delle autorità politiche e istituzionali nei due anni di Covid. Una copertura mediatica che non inseguisse l’isteria collettiva e basata su dati corretti e reali. In questo senso sono tanti i media che dovrebbero offrire pubbliche scuse ma per ora la testata danese rappresenta un’eccezione.

Tornando agli aiuti, la Danimarca nel 2020, in aggiunta alle misure di sostegno già esistenti, ha rafforzato le forme di finanziamento pubblico alla filiera editoriale sia di natura diretta che indiretta. Per le misure dirette ha stanziato un importo totale di 55 milioni di euro, di questi 49 milioni come contributi alla produzione editoriale sua carta e online e quasi tre milioni per un fondo innovazione e sviluppo. Ha inoltre introdotto un aiuto a favore dei media danesi, sotto forma di risarcimento delle perdite registrate sul fronte degli introiti pubblicitari, e un supporto dei media a garanzia della loro liquidità stanziando rispettivamente 19 e 53 milioni di euro.

Il fronte del no per il pacchetto in votazione il prossimo 13 febbraio sostiene che gli aiuti metterebbero a rischio l’indipendenza e l’autonomia del giornalismo svizzero. Eppure proprio i paesi che da tempo beneficiano di aiuti diretti e indiretti come Norvegia, Finlandia, Svezia, Danimarca sono ai primi quattro posti del World Press Freedom Index 2021. La Svizzera è decima.

Manuel Puppis, professore ordinario di sistemi e strutture mediatici presso l’Università di Friburgo, da tempo guarda al giornalismo digitale come opportunità perché permette, tra le altre cose, di risparmiare ingenti costi di produzione e di diffusione. A suo modo di vedere, il cartaceo continuerà ad avere un senso per i magazine e per i settimanali, sempre meno per i quotidiani. E per quanto riguarda il finanziamento non ha dubbi, in un’intervista pubblicata sul Caffè l’anno scorso mi disse “Penso che si debba dare un sostegno pubblico diretto al giornalismo online sul modello di paesi come Danimarca, Svezia e Norvegia che in questo modo da tempo assicurano la pluralità e la qualità dell’informazione”. La Confederazione con il pacchetto di aiuti ai media in votazione per la prima volta prevede 30 milioni di franchi per tre anni da destinare alle testate online. Non è in gioco soltanto la sopravvivenza di un settore economico ma ne va della nostra democrazia che ha bisogno di voci giovani, indipendenti, locali e digitali capaci di promuovere una nuova cultura giornalistica. Il 13 febbraio votiamo sì.

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