Dittatura e rivoluzione alla portoghese (1)

Dittatura e rivoluzione alla portoghese (1)

Giovedì 25 aprile 1974, venti minuti dopo la mezzanotte, ebbe inizio il golpe che, rovesciando una dittatura protrattasi per quasi mezzo secolo, cambiò la storia del Portogallo


Michele Ferrario
Michele Ferrario
Dittatura e rivoluzione alla portoghese (1)

Fu un’emittente privata cattolica, Rádio Renascença, fondata nel 1934 e tuttora in attività che, proprio a quell’ora, diffuse una canzone del 1971, scritta da José Zeca Afonso, che il regime salazarista aveva messo all’indice. Quella canzone, in cui si parla di fraternidade e igualdade, diede il segnale agli artefici della rivoluzione, ufficiali subalterni e superiori dissidenti dell’Esercito, riuniti nel MFA (Movimento das Forças Armadas). Da tempo chiedevano una democratizzazione del Paese, libere elezioni, l’abolizione della PIDE (Polícia Internacional e de Defesa do Estado, la famigerata polizia segreta) e la decolonizzazione dei territori portoghesi in Africa: segnatamente Angola, Guinea-Bissau e Mozambico, nei quali il Portogallo era impegnato, sin dal 1961, in un logorante e costoso conflitto con i movimenti guerriglieri indipendentisti locali.

Delle intenzioni dei golpisti il Governo era al corrente: riuscì anzi a fermare, il 16 marzo, un primo tentativo di insurrezione e ad arrestare 200 militari ribelli, che vennero tutti liberati il 25 aprile dagli artiglieri del MFA. Il secondo tentativo, passato alla storia come Rivoluzione dei Garofani, ebbe successo e portò alla deposizione di Antonio Caetano e del suo Governo, che da due anni avevano sostituito Salazar alla testa del Paese.

Il colpo di Stato si concluse in poco più di 16 ore. Quattro i morti rimasti sul campo, colpiti dagli spari della Polizia politica del regime. Determinante fu la partecipazione popolare: nonostante i ripetuti appelli del MFA a restarsene in casa, migliaia di cittadine e cittadini scesero in piazza ad operazioni ancora in corso.

A far definire Rivoluzione dei garofani (Revolução dos cravos) il rovesciamento dell’Estado Novo – fondato nel 1933, sopravvissuto al primo dopoguerra, alla Seconda guerra mondiale e alla Guerra fredda, diventando così la più longeva dittatura dell’Occidente – è stata una figura ormai entrata nel mito, la oggi novantunenne Celeste Martíns Caeiro. Faceva la cameriera al Franjinhas, primo self-service di Lisbona che, proprio quel giorno, avrebbe voluto festeggiare il primo anno di attività: per l’occasione erano state acquistate decine di garofani rossi e bianchi da regalare ai clienti ma, giunta sul posto, Celeste trovò il proprietario che, vista la situazione, quei garofani li diede a lei e alle sue colleghe poiché il ristorante, quel giorno, non avrebbe aperto. Rientrando a casa, Celeste s’imbattè in un soldato che le chiese una sigaretta. “Siccome non ne avevo, gli offrii uno dei garofani. Lui lo prese e lo infilò nella canna del fucile. Donai gli altri fiori agli altri soldati e fecero la stessa cosa. Fu una gioia incontenibile vedere tutti i militari sfilare per la piazza coi fiori nelle armi. Una sensazione indescrivibile” raccontò Celeste in decine di interviste. Quei fucili armati di garofani permisero alla gente scesa in piazza di distinguere le truppe ribelli dai pochi reparti fedeli al Governo.

Celeste Caeiro

Originaria dell’Alentejo – la grande regione a sud est di Lisbona, agricola e politicamente rossa – Celeste Caeiro era cresciuta in orfanotrofio. Aveva assistito, da ragazza, alle lotte dei braccianti e agli scioperi dei lavoratori; aveva visto imprigionare membri della sua famiglia; aveva lavorato in una tabaccheria, ritrovo degli scrittori di sinistra, in cui nascondevano i libri proibiti. Gianfranco Ferraro le dedicò un lungo ritratto (il manifesto, 25 aprile 2019: “Nei giorni seguenti la vita torna rapidamente alla normalità, ma per poco, perché alla radio si cerca la persona che per prima aveva dato i garofani ai militari. È così che Celeste Caeiro diventa il simbolo stesso della rivoluzione. Con la pensione, si avvicina al Partito comunista portoghese e comincia a fare politica attiva. Comincia a visitare le scuole, “anche se è più difficile raccontare ai bambini”. Racconta di quella volta che lo stesso Cardinale di Lisbona si fece raccontare la storia: “fu come una ispirazione divina”, le disse. Celeste Caeiro – “donna dei garofani di aprile, che hai ammainato la guerra, e la guerra è stata senza sangue”, come recita la poesia dedicatale da Rosa Guerreiro Dias – è entrata per caso nei libri della grande storia portoghese e, come lei stessa dice, “poteva essere stato chiunque altro, quel giorno, ma è come se i garofani di aprile fossero stati conservati per me”.

Tutto questo viene ricordato e verrà rivissuto nei prossimi giorni in una Lisbona e in un intero Paese che, da quel 1974 – che la ricorrenza ci fa sembrare vicino, ma che è in realtà lontanissimo – ha vissuto altri mutamenti radicali. Radicali, ma anche – ed è una caratteristica quasi ontologica della storia recente del Portogallo, se non della natura stessa del popolo portoghese – come ovattati, in sordina, sottotraccia.

In cicli di 50 anni ciascuno si sono succeduti l’Estado Novo di Salazar e, dopo la sua caduta, 24 governi democraticamente eletti, quasi tutti a guida socialista o socialdemocratica. Altri 50 anni più tardi, le recentissime elezioni legislative hanno decretato la vittoria del Partido Social Democratico PSD (80 seggi) su quello Socialista (PS), ma anche un forte consenso (50 seggi) alla nuova formazione di estrema destra antieuropeista CHEGA (in italiano Basta!), che oggi occupa 50 seggi in Parlamento.

In queste settimane le librerie traboccano di ristampe e di nuove pubblicazioni dedicate tanto alla Rivoluzione che al cinquantennio che l’ha preceduta e l’ha generata, segnato dalla figura di António de Oliveira Salazar (1889-1970), leader incontrastato e assoluto dal 1932 al 1968, personificazione stessa dell’Estado Novo.

Salazarisme & fascisme (con prefazione di Mário Soares, per due mandati Presidente della Repubblica tra il 1976 e il 1986, Paris, Chandeigne, 1996) si intitola il lungo saggio che a questa figura ambigua ha dedicato Yves Léonard, docente a SciencesPo, tra i massimi specialisti esperti di storia portoghese.

Economista di formazione, titolare di una cattedra all’Università di Coimbra, celibe, timido, allergico ai bagni di folla, per nulla carismatico, una vita quasi monacale, ben diverso insomma da tutti i dittatori suoi contemporanei, Salazar è stato, come già detto, il capo di Governo più longevo d’Europa: già a partire dagli anni Trenta ha isolato sempre più il Paese, conducendo una politica economica di tipo autarchico, basata anche sullo sfruttamento delle colonie e caratterizzata da enormi investimenti infrastrutturali, stradali, ferroviari, edili e scolastici. Gran parte degli storici che si sono occupati della sua enigmatica figura gli riconoscono che questo suo isolazionismo ha evitato al Portogallo effetti ben più devastanti dopo la guerra e che molte sue decisioni hanno portato a un costante aumento del PIL e al miglioramento delle condizioni di vita di un popolo in larghissima parte agricolo che, nel 1940, contava ancora un 54% di analfabeti.

Effetti benefici, tuttavia, a scapito di alcuni diritti fondamentali che al cittadino erano, di fatto, negati. La sua fu una guida condotta con pugno di ferro, equilibrismi d’ogni sorta, alleanze mutevoli. Con il vicino spagnolo – che usciva dalla Guerra civile e di cui temeva una potenziale alleanza con la Germania che, in caso di vittoria, avrebbe verosimilmente condotto alla fine del Portogallo indipendente – siglò già nel 1939 un complesso trattato di non aggressione. Salazar fu artefice di una dichiarazione di neutralità complessissima da gestire durante la Seconda guerra mondiale tra le sollecitazioni pressanti dei poli opposti: il suo Governo riuscì a fornire tungsteno e altre materie prime all’industria bellica tedesca e italiana e, parallelamente, a mettere a disposizione degli Alleati britannici la base militare di Lajes sulle strategiche isole Azzorre. Durante il conflitto, Lisbona divenne contemporaneamente terra d’accoglienza per migliaia di profughi ebrei in fuga dalla deportazione e un vero e proprio nido di spie dei due fronti, le cui attività venivano tollerate purché non intervenissero sugli affari interni portoghesi.

In questo bilancio in chiaroscuro del regime autocratico e autarchico di Salazar, fortemente ispirato dal concetto di Patria e vicino alla Chiesa cattolica, non vanno naturalmente dimenticati migliaia di oppositori politici e sindacalisti deportati, lo sfruttamento delle colonie, il divieto di sciopero e la messa al bando di altri diritti fondamentali.

Salazar, insomma, ha retto il Portogallo in tempi difficilissimi. Sull’uscio di casa, appena oltre confine, si affacciava la Spagna franchista, l’Italia era fascista, la Germania nazista. Con tutti questi, ma anche con Churchill e con almeno tre presidenti americani (Roosevelt, Truman, Eisenhower), si è confrontato. Al termine del conflitto, mentre la Spagna ne venne esclusa, il Portogallo ottenne una parte (seppur minima, anche in considerazione dei danni minori subiti) dei fondi del Piano Marshall per il rilancio delle economie europee. La ottenne proprio grazie all’appoggio determinante dato agli Alleati negli ultimi mesi di guerra. Poco dopo, tra i 12 Paesi fondatori della NATO, nel 1949, figurava anche il Portogallo.

  • Per saperne di più sulla figura di Salazar: Le salazarisme et le fascisme européen Marco Ferrari, L’incredibile storia di António Salazar, il dittatore che morì due volte, Bari, Laterza, 2020 Marco Ferrari, Alla rivoluzione sulla Due Cavalli, Bari, Laterza, 2024 José Saramago, Sedia, in Oggetto quasi, Milano, Feltrinelli, 2014 (nel protagonista di questo racconto dell’unico Premio Nobel portoghese per la letteratura si riconosce la figura di Salazar). Imprescindibile, a Lisbona, una visita al Museu do Aljube, rua de Augusto Rosa 42. Inaugurato il 25 aprile 2015, ha sede in un edificio nel quale, fino al 1965, venivano detenuti e torturati i prigionieri politici del regime salazarista.

E per finire, il citato inno della Rivoluzione:

Nell’immagine: Celeste Caeiro in un murale

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