Arabia Saudita: un calcio al (nostro) calcio

Arabia Saudita: un calcio al (nostro) calcio

Il principe Mohammed bin Salman cancella Superlega, FIFA e UEFA a colpi di milioni


Libano Zanolari
Libano Zanolari
Arabia Saudita: un calcio al (nostro) calcio

200 milioni a stagione per Cristiano Ronaldo, 100 per Benzema, 90 per Neymar, gli altri viaggiano dai 25 di Milinkovic-Savic ai 52,2 di Mahrez. E non sono solo vecchie glorie sulla via del tramonto.

L’oro nero permette di comprare tutto. Anche l’allenatore della Nazionale italiana Mancini, appena promosso a responsabile di tutte le nazionali, dalla maggiore alle giovanili. Se n’è andato ‘bei Nacht und Nebel’ direbbero i tedeschi, di notte e con la nebbia, alla chetichella diciamo noi, non senza aver raccontato un mucchio di frottole per giustificare la sua partenza: volevano togliergli due fedelissimi dello ‘staff’, Evani e Sandreani; talmente fedeli e inseparabili al ‘Mancio’ da non voler salire sul carrozzone d’una decina d’assistenti al suo servizio. Per 25-30 milioni (l’allenatore), per un paio di milioncini o giù di lì gli altri, si può anche vivere in un hotel a 4-5 stelle senza mettere il naso fuori dalla porta (brucerebbe per il troppo calore) per 184 giorni l’anno con famigli e conigli: tanto basta per non pagare le tasse al paese di origine.

Di fronte a Mohammed bin Salman i tre della Banda Bassotti, Andrea Agnelli (Juventus), Florentino Perez (Real Madrid) e Joao Laporta (Barcellona) che avevano tentato di rapinare i lingotti d’oro sul treno della Fifa e dell’Uefa, sembrano controfigure del povero ‘barbun’ di Jannacci che tocca il cofano della macchina con voluttà in cerca di un passaggio per l’Idroscalo. Il braccio di ferro fra l’Uefa e la Superlega Europa dei ricchi che volevano spartirsi (‘Cosa nostra’) la torta dei diritti televisivi, della vendita di magliette e ‘gadget’ vari – appare come la disputa fra un clochard che ha rubato un panino e uno che mangia la minestra alla mensa della Caritas.

Altro che calcio come patrimonio storico popolare, patrimonio di tutti, con l’Yverdon che batte
i ricchi ginevrini del Servette, con i ‘peracottari’ di Frosinone che battono l’Atalanta, con il Verona
che batte le Roma, e anche con il Bologna di Aebischer e Ndoye, al quale, noblesse oblige, viene
negato un nettissimo rigore che avrebbe condannato la Juventus alla sconfitta. Il tentativo di mantenere un minimo equilibrio fra ricchi e poveri, anche attraverso il fair-play
finanziario che ha condannato a un anno di squalifica europea proprio la Juventus, è messo sul
ridere dall’Arabia Saudita. Affari loro, possiamo dire, i nostri campionati proseguono: ma privati
di molte eccellenze.

A molti calciatori 4-5 milioni di ingaggio annuo (ma 20-30 per le star) non bastavano.
E dire che molti dei loro ‘tifosi’ si privano di tutto ciò che non è strettamente necessario alla sopravvivenza per trascorrere una giornata da leoni allo stadio dopo una settimana alla Fantozzi.
Sino a che punto saranno disposti a cedere parte di sé stessi, della propria vita, delle proprie
passioni, al culto di questi (falsi) eroi e idoli di cartapesta? Al culto di un Neymar che in Brasile
di costruisce una residenza da milionario deviando un fiume per la piscina e il laghetto privato?
Sappiamo quanto la moderna vita di rotelle nelle mani di un ignoto padrone, senza volto e spesso
senza pietà, necessiti di un Ersatz, di una sostituzione che ci dia una parvenza di vita giocata
a viso aperto, di una rappresentazione in cui il valore, l’eccellenza umana sia messa in gioco
davanti a tutti, con tanto di regole del gioco e di arbitro.

Ma celebrare il ‘panem et circenses’ in un Paese che fa a pezzi e fa sparire (dato ai porci?)
il collega Kashoggi, in un paese che condanna a morte ragazzi di 12-16 anni per aver partecipato a manifestazioni antigovernative, per essere decapitati o crocefissi al 18.mo anno di età,
in un paese alleato dello Yemen che spara ai profughi in cerca di un approdo, non è proprio il massimo.

Non resta che sperare che gli appassionati di calcio ci facciano qualche pensierino.
Magari dopo aver visto un incontro di poveri ‘piernas quadras’, piedi rettangolari (Maradona dixit) delle divisioni inferiori, sporchi e ruspanti, in campo per prendere a calci (quando non si
solleva la zolla) una palla per il piacere della partita, per una cena a fine stagione, o poco più.

Nell’immagine: un’offerta che non si può rifiutare

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