Come S. Ambrogio impose a Teodosio la chiusura dei Giochi

Come S. Ambrogio impose a Teodosio la chiusura dei Giochi

E come il cattolico (?) De Coubertin li rifondò dopo 1503 anni (393-1896)


Libano Zanolari
Libano Zanolari
Come S. Ambrogio impose a Teodosio la...

La storia delle Olimpiadi (e del nostro sport) ruota attorno alla percezione che abbiamo del corpo: per i Greci, in assenza di macchine, il corpo è tutto, in pace e in guerra; decide chi sarà libero e chi schiavo. Gli ellenici lo celebrano nel recinto sacro di Olimpia ai piedi della statua criso-elefantina (d’oro e d’avorio) dello Zeus di Fidia alta almeno 10 metri, e fissano il calendario in periodi (Olimpiade) di 4 anni.

Lo sciita Anacarsi, uno dei sette Sapienti dell’Antichità, chiede ai Greci (che non stima) perché, in compagnia di plebei, aristocratici e filosofi, dovrebbe assistere ai Giochi Olimpici: Luciano di Samòsata gli risponde per bocca del saggio Solone: “vedresti forme umane meravigliose, corpi capaci di ogni prodezza”.

Pindaro dice che ‘cantare’ (celebrare) l’agone olimpico vale di più, supera il canto dedicato all’oro scintillante o a un astro più luminoso del sole. Ma Platone, che da giovane (poco ‘platonico’…) partecipa ai Giochi Istmici di Corinto, al corpo aggiunge l’anima che definisce “per sua natura simbolo di purezza e spiritualità, costituita dalla sostanza degli Dei”. Degli Dei? I Cristiani li giudicano “falsi e bugiardi”, per loro il corpo è la “prigione dell’anima”. “Vegliate e pregate per non cadere in tentazione” dice S. Matteo: “lo spirito è forte ma la carne è debole”. Molti si ritirano nel deserto in compagnia di fiere e scorpioni, penitenti in attesa del ritorno di Gesù, del Giudizio universale. Fra questi il più famoso è S. Girolamo, rappresentato da tutti i grandi pittori del tempo.

Malgrado le privazioni, confessa alla vergine Eustochia che spesso si sentiva trasportato in mezzo a fanciulle danzanti”. Girolamo era un candidato alla Soglia papale, ma la morte della nobile Blesilla in seguito ai suoi digiuni forzati, gli aveva attirato molti nemici, e lo aveva indotto a ritirarsi nel deserto siriaco: vicinia sunt igitur venter et genitalia – ventre e genitali sono contigui. Gli Dei greci, Eros e Afrodite in particolare, sono i grandi nemici del Cristianesimo che all’inizio è perseguitato dagli imperatori romani, ma diventa legale con Costantino che dichiara il culto di Gesù ‘religione dell’Impero’. Nel 380, con l’editto di Tessalònica, Teodosio stabilisce che: “Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre persone uguali: chi li segue sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri stolti eretici”. Gli ariani in particolare. Il Cristianesimo aumenta i suoi adepti e con Ambrogio, vescovo di Milano, impone la Religione allo Stato, al punto da umiliare tre volte Teodosio in uno storico ‘braccio di ferro’.

Una prima volta l’Imperatore è sloggiato dal presbiterio di una Chiesa e accomodato tra i fedeli, uno fra i tanti. Nel 388 i cristiani di Callinicum sull’Eufrate (odierna Raqqa, che fu sede dell’Isis) incendiano la Sinagoga. Teodosio, che pur essendo cristiano pensa a gestire in modo equo i molti culti (ben 18 sono le ‘sette’ cristiane) impone il risarcimento agli ebrei e la ricostruzione del tempio. Ma Ambrogio si oppone dichiarando che lui stesso, sul posto, avrebbe appiccato il fuoco. Il peggio accade due anni dopo quando la folla lincia il pretore romano di Tessalònica (Salonicco) Buterico che aveva imprigionato l’auriga piú famoso, accusato di perdere apposta le gare per favorire gli scommettitori che avevano puntato su cavalli molto più deboli del suo, secondo altre fonti accusato anche di pederastia, immorale per i cristiani. La guarnigione di mercenari – non sappiamo se con il consenso (magari tacito) di Teodosio – raduna nell’arena almeno 6-7’000 persone con la promessa di gare atletiche e ippiche e le massacra.

Ambrogio, inorridito, nega i sacramenti all’Imperatore e gli impone di entrare in Chiesa vestito da penitente e a chiedere perdono, ciò che accade.

Il ‘Kulturkampf” fra Cristiani e greco-pagani volge al termine. Ora i massacri, i linciaggi, le distruzioni dei luoghi di culto sono reciproci. Nel 415, una setta di monaci fanatici denudano, torturano e smembrano una della menti più alte della Scuola neoplatonica di Alessandria d’Egitto, Ipazia, pagana e per di più donna, i cui miseri resti vengono trascinati per strada.

A questo punto si può chiudere con i balabiott olimpici, massima assemblea, massima celebrazione degli Dei e del corpo umano. Accade secondo alcune fonti nel 393, dopo 1169 anni, secondo altre, in modo definitivo, nel 435, quando Teodosio II incendia il tempio di Zeus a Olimpia. L’Accademia di Atene sarà chiusa nel 529 da Giustiniano. Fine della civiltà ellenica.

Nel 1877 l’archeologo tedesco Ernst Curtius riporta alla luce la statua di Hermes che regge il fanciullino Dioniso, il volto di Apollo, Nike, la Dea della vittoria alata che sembra vincere la forza di gravità con la sua grazia e la sua leggerezza.

L’Europa rimane a bocca aperta: come fu possibile definire blasfema, demoniaca, tanta bellezza, tanta nobiltà? Un giovane barone, figlio di un pittore di soggetti religiosi e di una madre discendente da un crociato, Pierre Fredy de Coubertin, rimane folgorato sulla via di Olimpia: definisce la vecchia scuola, la sua (cristiana) “depositaria di una filosofia tarlata”. Aggiunge che “l’esercizio fisico dà una sana ebbrezza del sangue chiamata gioia di vivere. Questo sapevano gli Antichi: corpo e anima non sono entità separate: dobbiamo ricomporle, non senza fatica”. Alle Olimpiadi di Stoccolma (1912) vince il concorso di poesia sotto un doppio pseudonimo: Georg Hochrod e Martin Eschbach: “O sport, piacere degli Dei/ essenza di vita apparso all’improvviso/dove si affanna il travaglio/ingrato della moderna esistenza/radioso messaggio delle età sepolte/dell’era in cui l’umanità sorrideva!” Sicuri che il Barone non sia un apostata? Un neo-pagano? Il dubbio pare lecito ai cattolici conservatori, qualcuno lo sospetta di essere un massone, ma il mite Pierre Fredy (1863-1937) ha la tempra dell’acciaio, dell’unto di Dio (degli Dei dell’Olimpo?). Tira dritto per la sua strada, inflessibile.

Nel 1896 ad Atene, dopo 1503 anni, i Giochi Olimpici rinascono dalle ceneri e ripropongono l’antico agon, la lotta mors tua, vita mea in forma incruenta: il giovane più valoroso non è quello che trapassa il petto del maggior numero di nemici con il giavellotto, ma chi lo scaglia più in alto e più lontano, oltre la cruda sentenza di Omero: “e bramavano di massacrarsi l’un l’altro col ferro puntuto”.

Nell’immagine: Antoon van Dyck, “Sant’Ambrogio impedisce a Teodosio di entrare nella cattedrale di Milano” (1619-20)

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