Olimpia sacra, Olimpia profana. Non c’è più religione… o sì?

Olimpia sacra, Olimpia profana. Non c’è più religione… o sì?

L’atletica leggera ricompenserà la medaglia d’oro a Parigi con 50'000 dollari. Breve storia dello ‘sterco del demonio’ (greco-pagano e cristiano)


Libano Zanolari
Libano Zanolari
Olimpia sacra, Olimpia profana. Non...

Su un punto i ‘pagani’ greci di Giove Ottimo Massimo  e i cristiani nostri vicini di casa del vescovo Ambrogio e del predicatore nord-africano Agostino (di seguito Santi) erano d’accordo: si gareggia in onore degli Dei dell’Olimpo (gli antichi greci) o per la competizione pacifica, incruenta fra popoli e razze (il cattolico De Coubertin). Non per i soldi. Perché il Semidio Ercole ha portato a termine le sue 12 fatiche in espiazione dei suoi peccati (ha ucciso moglie e figli) in onore degli Dei e sempre in loro onore ha fatto 600 passi in linea retta (192,28 metri) senza ricompensa alcuna, inventando lo stadion, il nostro sprint.  E perché Pierre Fredy, barone di Coubertin, vuole assolutamente separare la sua Olimpiade dai giochi da baraccone inventati dagli impresari di fine ottocento, basati spesso sulle scommesse; fra i più ricchi e i più seguiti, le sfide fra i podisti inglesi e ‘Deer Foot’ (Piede di Cervo), un pellerossa.

Il termine preferito da De Coubertin è ‘cavalleresco’, sull’esempio del nobile cavaliere medioevale che trafigge il drago e salva la pulzella in pericolo: nel 1928  il vogatore australiano Henry Pearce è citato ad esempio perché si qualifica a stento per la finale (che vincerà) lasciando passare un’ anatra con i suoi anatroccoli che gli tagliavano la strada. 

Ma c’è dell’altro: gli inglesi che stanno codificando lo sport (il nostro sport) appartengono alle classi alte, sono educati a Eton, Rugby, Cambridge, Oxford. 

I loro ‘tutor’ li educano al ‘fair-play’ esattamente per separarli dalla suburra che trasportava una vescica di maiale giocando a ‘foot-ball’ da un villaggio all’altro senza regole e con molti gravi feriti. E si inventano le regole del dilettantismo: in pratica, gareggiano solo tra di loro, i ‘labourer’ sono esclusi. Immaginatevi un incontro di boxe fra un pallido figlio di Eton e uno scaricatore da porto sul Tamigi, una corsa fra loro e i ‘foot-men’, i messaggeri professionisti spesso preferiti alle diligenze, sovente assaltate. Insomma una netta separazione di classe (di ceto se non vi piace).

E così uno dei più grandi atleti della storia, Jim Thorpe (Stoccolma 1912), vincitore dell’eptathlon e del decathlon, viene squalificato per aver giocato a baseball ricevendo un’indennità di trasferta di 25 dollari. 

Thorpe, figlio di un irlandese e di una squaw Sioux che lo chiama Wha To Hook (Sentiero Lucente) morirà in miseria nel 1953, riabilitato dal presidente del CIO Lord Killanian nel 1982 e poi dal presidente statunitense Carter. Ultimo squalificato eccellente Karl Schranz, alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Sapporo, nel 1972. Era stato accusato da Avery Brundage (sesto a Stoccolma nel decathlon e fors’anche delatore di Thorpe) di essere pagato sottobanco dalla sua marca di sci. Ci avviciniamo alla fine di questo anacronismo, di questa straordinaria ipocrisia-crudeltà di classe (di ceto) nata nell’Ottocento.

I ricchi non avevano bisogno di soldi per sopravvivere, i poveri non potevano preparare per quattro anni le Olimpiadi senza qualche sponsor, senza qualche vil moneta. Lo stesso De Coubertin s’era accorto dell’assurdità e aveva dichiarato di essere stato costretto ad accettare il punto di vista inglese sul dilettantismo  per poter rifondare dopo 1503 anni i Giochi Olimpici (1896).

E aveva poi paragonato la purezza dell’atleta a quella del servizio religioso con una famosa sentenza: ‘A nessuno viene in mente di scomunicare l’elemosiniere che in Chiesa passa a chiedere l’obolo’. Non sempre dunque il denaro è ‘lo sterco del demonio’.

E così nella città sacra arrivano i ricchissimi fenomeni del basket americano (1984) e poi del tennis (1988) e poi tutti gli altri. A un patto: durante i Giochi niente pubblicità sulle maglie e niente soldi. Ma solo da parte del Comitato Olimpico. Le Federazioni di tutti gli sport hanno sempre ricompensato i loro eroi: al ritorno, come i greci ricompensavano lautamente i loro campioni, che dopo Olimpia avevano un circuito ricchissimo di giochi (Pitici, Istmici, Nemei, ecc.). O con un vitalizio per assistere gratis agli spettacoli. O con litri e litri di olio. Il saggio Solone pone un massimo di 500 dracme  (la paga annua di un docente) al ritorno dell’eroe olimpico.

Olimpia attrae tutti i grandi, anche i più ricchi e famosi, anche Federer che per la Svizzera ha sempre disputato il doppio di Davis di malavoglia, ma con Wawrinka ha vinto l’oro a Pechino 2008. L’eterno trionfo dell’olimpico Zeus e del suo seguace-rivale, il cristiano De Coubertin. L’oro olimpico, in realtà argento placcato in oro, vale ben più degli 800 dollari ufficiali. Il cuore di De Coubertin, murato in una colonna a Olimpia, riposa in pace. E con legittimo orgoglio.

Ora i soldi sono semplicemente annunciati pubblicamente dall’ex grande atleta Sebastian Coe, che per Los Angeles 2028 nell’atletica leggera prevede premi anche per l’argento e il bronzo. Molte nazioni hanno un sistema analogo a quello dell’atletica che ai Mondiali va dai 50-70’000 dollari o euro per l’oro ai 4’500 -5’000 per un ottavo posto: ma solo al ritorno del culto olimpico greco-pagano e cristiano, sia chiaro.

Nell’immagine: Imagerie d’Épinal, “Le grand diable d’argent”

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