Studenti, vi esorto a percorrere la strada dell’immaginazione

Studenti, vi esorto a percorrere la strada dell’immaginazione

Il discorso ai neolaureati dell’USI di Bruno Giussani, relatore ospite


Bruno Giussani
Bruno Giussani
Studenti, vi esorto a percorrere la strada...

Si è tenuta a Lugano la Cerimonia di consegna dei diplomi dell’Università della Svizzera Italiana, per la prima volta a facoltà riunite. Nella sala del LAC gremita si sono espresse/i la presidente dell’Università Monica Duca Widmer, la rettrice nominata dell’USI, Luisa Lambertini, il prorettore vicario Lorenzo Cantoni, la direttrice del dipartimento dell’educazione cultura e sport Marina Carobbio, il sindaco di Lugano Michele Foletti, i decani delle cinque facoltà di Scienze biomediche, Comunicazione cultura e società, Scienze economiche, Scienze informatiche e Teologia, e la responsabile del Servizio carriere e alumni, con intermezzi musicali da parte dei musicisti dell’OSI.

La relazione ufficiale è stata tenuta da Bruno Giussani, ticinese noto come curatore globale del think-tank TED e giornalista. Pubblichiamo di seguito il testo integrale del suo discorso alle e ai laureandi (pronunciato in italiano e inglese, le lingue d’insegnamento dell’USI) sui temi dell’immaginazione, del futuro e della digitalizzazione consapevole. (red.)

Signore e signori, gentili ospiti, membri dell’USI, e soprattutto voi, laureate e laureati, che oggi ricevete il vostro diploma: buonasera. Vorrei parlarvi per qualche minuto di immaginazione. Di quel tipo di immaginazione che plasma il nostro mondo.

Prendete un momento per guardarvi attorno e osservare questa sala. Pochi anni fa, questa sala non esisteva. Poi qualcuno l’ha immaginata. Ha immaginato che dovesse essere foderata di legno. Che dovesse avere le pareti curve, il soffitto ondulato, le poltroncine nere anziché rosse, un grande palco invece di uno spazio piccolo.

In questo momento, letteralmente, noi ci troviamo dentro l’immaginazione di qualcuno. Questa struttura – e tutto quello che contiene – esiste soltanto perché è stata dapprima concepita, ha preso forma nella mente di qualcuno, poi è diventata una visione condivisa da altre persone, che hanno contribuito a modificarla, aggiustarla, nutrirla, che hanno immaginato a loro volta gli strumenti per realizzarla, e per finire è stata materializzata, è stata costruita ed è diventata parte della normalità di questa città.

Questa è la dinamica dell’ingegno umano, che dà origine a tutto ciò che conosciamo che non sia naturale: 

  • le idee, come la democrazia o il libero mercato o la socialità; 
  • le infrastrutture, come le strade e gli ospedali; 
  • le regole, come il codice penale, e i metodi, come l’approccio scientifico; 
  • i modi di trasmissione del sapere, come la scuola e l’università; 
  • le tecnologie come i libri, i telefonini, i treni, l’elettricità, l’agricoltura, le macchine industriali, gli antibiotici, purtroppo anche i carri armati e le armi nucleari; 
  • e poi: l’alfabeto, la rima baciata, la tavola periodica degli elementi, le interfacce dei giochi video, la forma di una racchetta da tennis, gli algoritmi, la musica, i loghi dei marchi della moda e naturalmente il design dei loro prodotti.

Tutto ciò – e tutto il resto – è dapprima esistito nell’immaginazione di qualcuno o di qualcuna. Non necessariamente appartenente a quella categoria che oggi chiamiamo “i creativi”, ma nell’immaginazione di persone preoccupate, per esempio, come voi, della scienza, della comunicazione, dell’economia, dell’informatica, dell’etica e della morale, e in generale del futuro della società. 

E questo potere dell’immaginazione si sdoppia, naturalmente, nel potere delle storie immaginate, delle finzioni condivise che reggono la società umana. Pensate ai soldi, ai diritti umani, ai sistemi politici, all’economia globale: non sono realtà oggettive, ma costruzioni narrative condivise, alle quali tutti crediamo, e perciò funzionano.

E tutte queste immaginazioni del passato, che magari all’inizio, quando furono verbalizzate per la prima volta, furono qualificate come impossibili, irrealistiche, troppo ambiziose, formano oggi la nostra realtà. La nostra normalità. 

E così noi oggi siamo qui, in questa sala, nata da una scintilla d’immaginazione che ha incontrato altre immaginazioni, plasmandosi e nutrendosi a vicenda. Questa è la forza centrale della storia, del progresso, il meccanismo attraverso il quale creiamo, e abbiamo da sempre creato e modificato, la realtà nella quale viviamo.

Oggi in questa sala voi ricevete il vostro diploma, e mi congratulo con tutte e tutti voi: avete tutte le ragioni d’essere orgogliose e orgogliosi per aver raggiunto questo obiettivo. 

Doppiamente, poiché una parte importante del vostro curriculum universitario è stato fortemente influenzato da quello strano periodo storico che chiamiamo “la pandemia” – e in effetti anche cerimonie come questa si sono svolte negli ultimi anni online, grazie ad un’altra immaginazione, quella che ha creato i sistemi di videoconferenza.

Quindi, a tutte e a tutti, oggi: le mie più sentite felicitazioni! Laurearsi in un’università è un enorme privilegio. Il diploma che ricevete oggi lo si può guardare in molti modi. Io penso che il modo più interessante sia di considerarlo un invito, anzi, un mandato di utilizzare la vostra immaginazione.

Se la parola immaginazione sembra mancare di concretezza – anche se questa sala nella quale ci troviamo è molto concreta – usiamo pure altre parole. 

Perché là fuori c’è un futuro tutto da immaginare e creare – e abbiamo bisogno di voi e delle competenze che avete acquisito per immaginarlo e crearlo: un futuro fatto di energie pulite, di città ripensate, di vaccini contro il cancro, di tecnologie digitali che siano al servizio degli utilizzatori invece di sorvegliarli e manipolarli, di un’economia adattata alla società anziché viceversa, di relazioni sociali che rimettano al centro la fiducia, di meno “fake”, in ogni senso, di rispetto, pure in ogni senso, per il vivente, che è una parola migliore di “natura”, perché natura indica qualcosa di separato da noi, e da questa falsa separazione nascono molti dei problemi contemporanei.

Il sistema nel quale viviamo ha bisogno di ambiziose trasformazioni. E se guardando vicino e lontano possiamo avere l’impressione di un futuro carico di pericoli, caratterizzato dalla velocità e dal cambiamento, dobbiamo rimanere consapevoli che il futuro non è un luogo verso il quale camminiamo. Non è qualcosa che “ci succede”. È qualcosa che creiamo, giorno dopo giorno, immaginandolo e realizzandolo insieme.

Tra i tanti temi possibili, mi è stato chiesto di parlarvi per qualche istante di tecnologia, e in particolare dell’imperativo della digitalizzazione consapevole.

Viviamo ogni giorno, ogni minuto, in un mondo nel quale la tecnologia sta rapidamente cambiando e controllando il modo in cui viviamo, apprendiamo, lavoriamo, interagiamo e pensiamo. Abbiamo tutti, in tasca, un computer connesso molto potente, o forse due. Per molti di noi, la principale attività quotidiana è diventata l’interazione con schermi e interfacce digitali. E ora sono anche apparse macchine che possono conversare con noi – quel che si chiama “chat” – con un livello impressionante di plausibilità formale del linguaggio.

La digitalizzazione delle nostre vite ha portato grandi benefici, convenienza e ricchezze. Ma ha anche creato enormi sfide, disuguaglianze e rischi. Quindi, cari studenti, ora che vi apprestate ad uscire da questa sala per entrare nel mondo ed iniziare un nuovo capitolo della vostra vita, vorrei esortarvi ad usare la tecnologia in modo consapevole.

Digitalizzazione consapevole significa essere intenzionali su come usiamo la tecnologia, come la pensiamo e ne parliamo, come lasciamo che abbia un impatto sulla nostra vita e sulla nostra immaginazione.

Ciò inizia con la comprensione della tecnologia. Il che non significa che dobbiamo tutti diventare ingegneri. Ma significa riconoscere che gli strumenti digitali non sono solo strumenti, non sono neutri, ma hanno il potere di modellare i nostri pensieri, le nostre convinzioni e azioni. E quindi, che dobbiamo – tutti noi – investire sullo sforzo di essere tecnicamente competenti riguardo alle macchine che utilizziamo, per comprendere le loro implicazioni sociali, personali ed etiche, le relazioni di potere che creano e la loro influenza economica e cognitiva.

So che sembra un grande sforzo, ma è necessario, perché siamo diventati estremamente bravi a creare tecnologie straordinarie, ma siamo molto meno bravi a usarle correttamente e a comprenderne gli impatti.

La seconda condizione per una digitalizzazione consapevole è rimanere vigili. Siamo entrati nell’era della realtà artificiale. Molti di voi sicuramente conoscono, ad esempio, ChatGPT, il chatbot messo sul mercato circa sei mesi fa che potrebbe essere la tecnologia adottata più velocemente nella storia (finora). Alcune frasi di questo discorso sono d’altronde state scritte da ChatGPT, il che è stato utile e interessante. 

I sistemi di intelligenza artificiale possono sbloccare capacità senza precedenti, offrendo grandi opportunità per lavorare diversamente e migliorare la vita delle persone, ma sollevano anche paure e preoccupazioni molto valide su tutta una serie di problemi. Ad esempio, ChatGPT ha una relazione molto casuale con i fatti. La costante vigilanza su queste tecnologie è il prezzo che dobbiamo pagare per mantenere una società e un pianeta funzionanti. Il vero rischio delle tecnologie che chiamiamo intelligenza artificiale non è che prendano il controllo del mondo, come accade nei film di Hollywood. È piuttosto che influenzeranno, confonderanno e alla fine prenderanno il controllo delle nostre menti.

Infine, c’è un terzo elemento fondamentale da considerare: dobbiamo rimanere umani. Digitalizzazione consapevole significa anche prendersi delle pause dalla tecnologia, disconnettersi dai dispositivi digitali, dimenticare gli hashtag, dare spazio e valorizzare le relazioni umane, preservare la gioia dell’umanità.

Troppo spesso diamo la priorità al tecnico, al virtuale, al reale.

Mi direte che il virtuale è anche molto reale, nel senso che ciò che accade online ha effetti offline. È vero. Ma dobbiamo stare attenti a non lasciare che la tecnologia diventi il principale – o unico – canale attraverso il quale creiamo e manteniamo connessioni interpersonali e sociali e attraverso il quale sperimentiamo la realtà. Occorre resistere al semplicistico impulso di definire le questioni politiche e morali come problemi tecnici nella speranza di poterle poi affrontare con soluzioni tecnologiche.

Quindi, cari laureati, mentre state entrando in un mondo difficile da decifrare, e state per applicarvi le vostre capacità e la vostra immaginazione e confrontarvi con tecnologie che continuano a svilupparsi in modo esponenziale, vi invito a tener presente queste tre modeste regole:

Restate vigili. Imparate a conoscere e capire le tecnologie che utilizzate. E mantenete la vostra umanità.

La tecnologia è anch’essa una manifestazione dell’immaginazione umana. Sta a voi usarla per ampliare il campo del possibile, in modo consapevole.

Ed è un campo quasi infinito, il campo del possibile. I suoi soli limiti sono dati dalle leggi della fisica. Tutto il resto – come abbiamo visto – sono costruzioni culturali che cambiano ed evolvono, sono finzioni narrative condivise, momenti di immaginazione materializzati – e quindi cose che possiamo cambiare e fare evolvere.

È venuto il vostro momento d’immaginare e di creare. Scegliete, se potete, di immaginare e creare cose importanti. Non importanti nel senso di grandi o globali o famose o che fanno tanti soldi. Ma importanti nel senso di non banali, nel senso di non dannose, nel senso di necessarie e pratiche e giuste.

Scegliete, se potete, di immaginare e creare insieme ad altri, perché tutte le grandi sfide del nostro tempo hanno un elemento in comune: non possono essere affrontate se non attraverso un’azione corale.

Scegliete con cura le nuove storie da raccontare, ma anche quelle obsolete da lasciare indietro, perché le storie che ci raccontiamo definiscono la nostra realtà e il nostro impatto.

Felicitazioni per il vostro diploma. È il momento per voi di sentirvi orgogliose e orgogliosi, realizzate e realizzati, e piene e pieni di speranza per il futuro. E poi di andar là fuori ed immaginarlo, e crearlo, quel futuro.

Grazie, e auguri!

Nell’immagine: Agustín Ibarrola, Bosque de Oma (Guernica) 

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