Il peggio dovrebbe avere  un limite

Il peggio dovrebbe avere un limite

I commenti biliosi che trasudano dal domenicale leghista a proposito della mobilitazione degli scorsi giorni si nutrono sempre più di argomentazioni discriminatorie e razziste francamente inaccettabili


Enrico Lombardi
Enrico Lombardi
Il peggio dovrebbe avere un limite

Che il “Governicchio” fosse richiamato a non “calare le braghe” poteva anche essere messo in conto come dato inevitabile nella reazione e nei commenti del Legolas dei poveri di Via Monte Boglia sul “Il Mattino” di ieri. Il partito che rimpiange (e commemora) il suo nume tutelare e fondatore in nome di un movimentismo perduto da ritrovare adesso si scatena contro ogni tipo di manifestazione venga organizzata a Bellinzona in opposizione a decisioni e misure governative.

Sicché, per difendere l’esecutivo a maggioranza relativa leghista (ricordiamocelo e ricordiamoglielo), ci si atteggia ad  “istituzionali”, ma berciando contro chi si mobilita, con l’utilizzo di termini e di argomentazioni fra le più tristemente e volgarmente strumentali.

Prendiamo la reiterata distinzione fra pubblico e privato, ad esempio: ecco, in piazza a Bellinzona lo scorso 29 febbraio c’erano i “privilegiati” del settore pubblico che con lo sciopero (peraltro legalissimo) e le loro rivendicazioni (relative a misure adottate automaticamente nel resto della Svizzera) offenderebbero per l’ennesima volta i 170 mila lavoratori del settore privato che guadagnano molto meno e, accidenti, sono pure costretti a pagare le tasse per mantenere chi sta meglio di loro e va pure in piazza a scioperare, a cominciare da quei leggendari “scioperati” che sono gli insegnanti.

Riecheggiano parole tragicamente assurde come quelle di Paolo Pamini, che mesi fa, nel suo blog, aveva affermato che gli “statali” sono a carico di chi lavora nel privato e che paga le tasse per mantenerli. Ora, c’è qualcuno che voglia una volta chiedere a Pamini e al suo codino associato in sciocchezze, se sono al corrente del fatto che chi lavora nel settore pubblico paga anch’ esso le tasse?

E se difende i salari (i più bassi della Svizzera) fa non solo il proprio dovere, ma si batte per tutti, proprio tutti, sia esigendo il rispetto del rincaro (e dunque un potere d’acquisto che in gran parte implica poi l’accesso a “beni” prodotti dai privati) sia volendo mantenere uno stipendio che comunque sarà tassato molto più di quello di chi guadagna meno. Per non dire poi del fatto, che si è ripetutamente verificato, per cui lo Stato, con i suoi mezzi, deve intervenire nell’incentivare, aiutare, salvare imprese e banche, con i soldi di tutti, anche di chi con gli affari privati, magari gestiti colpevolmente a colpi di speculazioni finanziarie, non ha proprio nulla a che fare.

Da troppo tempo, il fronte politico che si nutre di parole d’ordine che ruotano attorno ad un fantomatico “rigore finanziario” (che per definizione implica ovviamente la difesa a priori delle attenzioni verso i ricchi sgocciolanti), ha impugnato una concezione antagonistica fra pubblico e privato, che appare del tutto immotivata, infondata, irragionevole, ma strumentalmente utilissima per assegnare al servizio pubblico tutte le colpe di una situazione finanziaria certamente difficile, ma non perché inficiata dalle cosiddette “pretese” di chi rivendica semplicemente quanto gli spetta, ma perché così gestita da chi è in maggioranza in Governo e in Parlamento.

Ancor più paradossale, in questo senso, pare il ricorso sistematico all’evocazione della mitica quanto dorata “piazza finanziaria”, ormai solo un pallido ricordo di un benessere acquisito grazie all’evasione fiscale altrui. Ma vuoi mettere, si stava tutti meglio. Certo, e con i soldi che venivano da oltreramina. Adesso, da oltreramina arrivano lavoratori anche molto qualificati che permettono al nostro Cantone di “sopravvivere”, perché l’economia (privatissima, e sostenuta dal potere politico e dai soldi pubblici) deve pur sempre ottenere i suoi margini di guadagno e dunque ridurre sistematicamente i salari. 

Se i 170 mila del settore privato, come invoca retoricamente il domenicale maniacale, scendessero davvero anch’essi in piazza, lo farebbero non per accanirsi sugli statali (come piace immaginare al “Mattino”), ma per dire proprio le stesse cose sostenute e gridate in piazza giovedì scorso. Il fatto è che a diventare obiettivo di una tale manifestazione (che potremmo immaginare verrebbe sostenuta anche dai sindacati del servizio pubblico) sarebbe anche in questo caso il Governo e quella maggioranza di destra che (con l’avallo di liberali e centristi) sta conducendo il paese a questo punto. 

Per evitare che si possa arrivare ad una messa in comune delle rivendicazioni (per molti aspetti analoghe) di settore pubblico e settore privato, Lega Udc e qualche altro loro ambizioso alleato (che a seconda della convenienza trovano un po’ qui e un po’ là) devono assolutamente dividere, programmaticamente, quello che diverrebbe un ipotetico “fronte unito”.

Così, ecco che i frontalieri (assunti, per altro, in gran quantità, nel privato come nel pubblico e parapubblico per mancanza di personale “indigeno”) diventano utile pretesto in negativo per ribadire che la soluzione ideale da sempre evocata sarebbe la “chiusura delle frontiere” (un’allucinante prospettiva antistorica). Non solo, quali responsabili della situazione attuale e della conseguente mobilitazione si additano pure, come fossero fomentatori e sobillatori, “elementi esogeni alla nostra cultura”, una definizione del nostro Lombroso di Corticiasca che meriterebbe da sola un trattato di antropologia. E chi sono costoro? Un docente “azzurro” aderente alla rete ErreDiPi e un “argentino” che dirige “La Regione”: due “menatorrone” verso cui si indirizzano esplicitamente gli strali razzistici di chi sta seduto in due istituzioni pubbliche ed è responsabile, a Lugano, del dicastero “Formazione, sostegno e socialità”. 

Di paradosso in contraddizione, non se ne può veramente più di questa tiritera, sciorinata domenicalmente, indegna di un dibattito che si voglia dir “civile”, tanto più se viene da chi si porta a casa oltre 200.000 franchi di stipendio (pubblico) all’anno per sputare veleno sui presunti privilegi degli statali e seminare zizzania in nome del presunto “spregio” verso il settore privato. Si apra un bar, lo Zio Bill, dove il cazzeggio è di casa; o, meglio ancora, un negozio di cornici, dove i quadri stanno al loro posto.

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