Sulle tracce dei grandi interpreti della musica africana – 7
L'autentica musica africana di oggi nell'ultima tappa del nostro percorso estivo
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L'autentica musica africana di oggi nell'ultima tappa del nostro percorso estivo
• – Marcello Lorrai
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• – Marcello Lorrai
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• – Marcello Lorrai
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• – Marcello Lorrai
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• – Marcello Lorrai
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• – Marcello Lorrai
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• – Marcello Lorrai
L'autentica musica africana di oggi nell'ultima tappa del nostro percorso estivo
Apprezzato fra l’altro per la fluidità con cui rappa e per la sua padronanza di diversi stili di hip hop, nei suoi testi Sarkodie utilizza abbondantemente la lingua twi parlata in Ghana da milioni di persone. In Trumpet, brano/clip uscito nel 2016, Sarkodie offre una vetrina a sei rapper emergenti
Come abbiamo visto in queste puntate, un salto cruciale nella percezione della musica africana a livello globale si è verificato quando con gli anni ottanta la musica del continente nero non è apparsa più come un fenomeno riassumibile in poche, singole figure – Miriam Makeba, Hugh Masekela, Manu Dibango, Fela Kuti – ma come una scena attraversata da grandi filoni stilistici e popolata da una quantità di protagonisti. Oltre ai nomi appena citati, si è imparato a conoscere artisti e gruppi come Youssou Ndour, Toure Kunda, Baaba Maal, Salif Keita, Mory Kanté, Alpha Blondy, Franco, Tabu Ley Rochereau, Zaiko Langa Langa, Papa Wemba, King Sunny Ade, Mahlathini and the Mahotella Queens, e tanti altri. Molti dei musicisti africani venuti alla ribalta internazionale negli anni ottanta apparivano delle star al pubblico occidentale, e lo erano effettivamente nei rispettivi paesi, spesso con un seguito gigantesco.
Con qualche perdita (il grande Franco muore già nell’89) e il declino di alcune carriere, questo scenario popolato di molti personaggi si prolunga negli anni novanta – con addirittura qualche arricchimento, come l’assurgere a nuova star della già anziana Cesaria Evora, il successo di Ali Farka Touré, o l’affermazione della giovane cantante maliana Oumou Sangaré – dando al pubblico internazionale l’impressione che tutto proceda normalmente. Sotto questa apparenza, in realtà nella musica del continente nero avvengono dei cambiamenti enormi: in effetti il pubblico occidentale comincia a scoprire la musica africana proprio pochi anni prima che dei clamorosi mutamenti ne modifichino drasticamente il panorama.
Già alla fine degli anni ottanta si hanno le prime avvisaglie dell’emergere del rap, per esempio in un paese per certi versi molto avanzato come la Costa d’Avorio, che nei decenni precedenti è stato un importantissimo polo di industria musicale per l’Africa occidentale. Attraverso i canali della world music è poi soprattutto l’hip hop senegalese ad arrivare al pubblico europeo e statunitense: ma è un po’ come se fosse una curiosità, una ulteriore variante di musica africana. Invece negli anni novanta l’hip hop in Africa si diffonde a macchia d’olio. Naturalmente, per fare un esempio, in Senegal un artista come Youssou Ndour non smette di essere amato, ascoltato, e di essere una figura altamente rappresentativa dell’identità del proprio paese: ma i giovani delle aree urbane man man passano ad ascoltare prioritariamente altro, ad identificare se stessi e il tempo storico in cui vivono in un altro tipo di musica.
Che ci sia qualcosa che non quadra inizia a diventare evidente nel nuovo millennio, quando ci si comincia ad accorgere che nell’universo delle star della musica africana non c’è un ricambio, non ci sono delle giovani star che si affiancano alle vecchie; un po’ per volta poi diverse delle figure storiche vengono a mancare, e il firmamento che costituivano si restringe sempre di più.
Delle nuove star per la verità ci sono: solo che non assomigliano affatto alle vecchie star della musica africana a cui eravamo abituati dagli anni ottanta. Assomigliano molto di più alle star dell’hip hop, ai produttori di grido, agli alchimisti di successo dell’elettronica, ai deejay di culto della scena musicale internazionale. E della scena internazionale spesso fanno parte a pieno titolo: tanto che mentre è del tutto improbabile che di loro si accorga chi segue la musica africana attraverso i filtri mediatici della world music, è molto più facile che li conoscano invece dei giovani che senza nessuna motivazione specifica rispetto alla musica africana seguono però le novità dell’hip hop, dell’elettronica, delle musiche da ballo. Un mondo in cui musiche create da musicisti africani circolano attraverso canali – internet, social, videoclip, collaborazioni intercontinentali, ecc. – che non sono più quelli tradizionali attraverso cui ci arrivava la musica africana degli anni ottanta e novanta e che configurano una nuova dimensione di produzione e consumo.
Nella puntata precedente segnalavamo il paradosso per cui attraverso i canali della world music la musica del Mali, un paese povero e con una industria musicale ancora oggi piuttosto debole, appare enormemente più rappresentato della Nigeria, un paese con grandi risorse, una popolazione dieci volte più grande e una industria discografica e cinematografica poderose: non è un caso però se nella musica africana di oggi molte delle star con una dimensione panafricana e internazionale sono nigeriane.
Abbiamo tuttavia lasciato in sospeso una spiegazione del paradosso che abbiamo appena ricordato. Non c’è dubbio che la musica maliana meriti pienamente la sua esposizione internazionale. Ma come mai proprio la musica del Mali ha ottenuto tanta visibilità e tanto successo presso il pubblico occidentale? Diamo una risposta il più possibile semplice: da un lato a ben vedere nell’insieme le musiche del Mali corrispondono più delle musiche di altri paesi africani a dei canoni di bellezza occidentali, alla sensibilità estetica dell’ascoltatore europeo o statunitense; dall’altro allo stesso tempo soddisfano una idea romantica dell’Africa (che nell’immaginario occidentale convive comodamente col suo opposto, a cui è complementare, e cioè un’idea da incubo del continente, tutta bambini affamati, aids, ebola, guerre interetniche, massacri…), che nell’Africa cerca l’”altro” e l’”autentico”.
Nel ’99, in un famoso articolo apparso sul New York Times, David Byrne ironizzava brillantemente sull’ossessione occidentale per l’”autenticità”: “c’è un bisogno perverso di vedere gli artisti stranieri con gli abiti tradizionali del loro paese anziché con le magliette e i calzoncini che di solito indossano quando non sono sul palco. Non vogliamo che somiglino troppo a noi, e quando succede presumiamo che la loro musica sia calcolata, studiata a tavolino, impura”.
Con quell’idea di autenticità, molta della musica oggi di maggiore successo in Africa non ha molto a che vedere: ma quella di star come il nigeriano Burna Boy o il ghanese Sarkodie è autentica musica africana di oggi. A partire dagli anni ottanta la scoperta della nuova musica africana ha cambiato il nostro sguardo sul continente. Quello che abbiamo acquisito è stato importante, ma ormai è il momento di un’altra, radicalmente nuova scoperta della musica africana, che ci aiuti a vedere, senza lenti deformanti, la realtà dell’Africa di oggi.
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