Il paesaggio alpino? “Un lusso che non possiamo più permetterci”

Il paesaggio alpino? “Un lusso che non possiamo più permetterci”

Avenir Suisse propone di abbandonare zone dell’arco alpino. Una proposta cinica e miope  che ci invita a rileggere Plinio Martini


Fabio Dozio
Fabio Dozio
Il paesaggio alpino? “Un lusso che non...

Le regioni di montagna sono minacciate non solo dal maltempo e dalle catastrofi naturali, ma anche da un nemico infido che le vorrebbe far sparire: Avenir Suisse. Il pensatoio liberal padronale, infatti, propone di abbandonare le regioni periferiche al loro destino. “Fino a quando vogliamo mettere in sicurezza l’arco alpino per renderlo vivibile? È una questione politica.” Ha affermato Lukas Rühli, una delle teste d’uovo dell’associazione. E ancora: “Non riguarda tutto l’arco alpino (grazie per la magnanimità, ndr), ma singole valli e insediamenti. Sicuramente alcune valli in futuro non saranno più abitabili” (vedi il Tg RSI del 4 luglio).

Avenir Suisse afferma: “crediamo nel proverbio della goccia liberale che cadendo con costanza scava la pietra dello statalismo”. Pensiero limpido che, per goccia, può intendere anche nubifragio. “Inoltre queste valli discoste – sentenzia AS – si stanno spopolando comunque per ragioni demografiche. Ogni danno della natura e del clima accelererà questa tendenza e si arriverà in ogni caso a un ripensamento politico”.

Il pensatoio liberal padronale intende allearsi con le catastrofi naturali per liquidare le zone discoste dell’arco alpino. Per esempio, il comune grigionese di Brienz, minacciato da una frana, va abbandonato: spendere 40 milioni di franchi per garantire la sopravvivenza a un villaggio di cento persone? Giammai!

L’istinto distruttivo di Avenir Suisse, in nome del meno Stato e del risparmio, viene contraddetto da più voci.

Thomas Egger, presidente del Gruppo svizzero per le regioni di montagna, risponde: “Abbandonare valli laterali non è un’opzione. Bisogna pensare alle misure di protezione e adattarle ai rischi che vediamo adesso. Ogni persona in Svizzera deve essere protetta anche se abita in una zona laterale”.

L’Alleanza patriziale ticinese (ALPA) si distanzia fermamente dalle posizioni di Avenir Suisse e non accetta che alcune regioni di montagna abbiano “ormai il destino segnato e occorra accettare il loro abbandono”. Sarà invece determinante – scrive l’ALPA – prestare ancora maggiore attenzione e supporto a queste regioni “che devono avere pari dignità ed essere trattate allo stesso modo rispetto alle regioni urbane e ciò anche grazie al loro ruolo complementare nonché al grande patrimonio storico, naturalistico, culturale, socioeconomico, turistico e antropologico”.

Ha reagito anche la presidente della Conferenza dei governi dei cantoni alpini (CGCA) Carmelia Maissen, mettendo in guardia da una “visione cinica e a corto termine”. “Potrebbero esserci singoli casi di reinsediamento – ha dichiarato Maissen – ma non rinunceremo a intere valli”. L’insediamento decentrato, precisa la consigliera di stato dei Grigioni, è inoltre sancito dalla Costituzione federale: “Dobbiamo quindi fare tutto il possibile e sensato per garantire che ciò rimanga così”.

Il dibattito sull’abbandono delle valli discoste è iniziato una ventina di anni fa con la pubblicazione, a cura dello Studio Basel, della ricerca “Svizzera. Un ritratto dello sviluppo urbano”. La pubblicazione abbandonava l’idea dell’idillio rurale elvetico, della Svizzera a immagine di Heidi, e sottolineava la nuova veste urbana del paese. Si trattava di “una provocazione”, afferma oggi uno degli autori, il sociologo Christian Schmidt. Veniva introdotto il concetto di terreno incolto alpino, un deserto che “in realtà abbiamo inteso in senso positivo e attivo, come un invito a riflettere”, ma il clima politico generale indurì i fronti e, in particolare, – aggiunge Schmidt – “all’epoca, l’UDC aveva assunto una posizione di destra conservatrice nei confronti delle aree rurali e il contrasto tra città e campagna era stato reinterpretato politicamente. La nostra analisi ha dimostrato che questa contrapposizione non esiste in questa forma nel mondo reale. La Svizzera è più diversificata, più piccola e molto più complessa della semplice idea di ‘divisione tra città e campagna’”.

Dunque, vent’anni dopo, Avenir Suisse sulle tracce dell’UDC: niente di nuovo per i liberali elvetici.

Christian Schmidt rilancia il dibattito e si chiede: “Perché ogni valle laterale deve essere abitata tutto l’anno? Ci sono modi di vivere più adatti al mondo montano del futuro?”

“Vogliamo spendere milioni di franchi per proteggere tre case unifamigliari?” domanda David Bresch, professore al Politecnico di Zurigo.

È necessario non confondere le cose. Un conto può essere il problema relativo a due o tre case, un altro sono le valli di montagna, anche discoste. In Ticino, l’esempio paradigmatico può essere la Valle Bavona, meravigliosa e incantevole. Poco abitata, diventata meta turistica. Magistralmente descritta da Plinio Martini,  lo scrittore ticinese scomparso nel 1979. Una valle povera, dalla quale nell’Ottocento il 70 per cento della popolazione scappava, emigrando. “È un paese da lasciare alla vipere” scrive Martini ne “Il fondo del sacco”, o alle ortiche, narrando di cento anni fa.

Abbandonare in futuro la Val Bavona, come vorrebbe Avenir Suisse? Intanto bisogna ricordare e sottolineare, a questi pensatori, che se si lasciassero al loro destino le montagne, le catastrofi naturali avrebbero ripercussioni a valle: quindi attenzione, non investire in alto potrebbe creare disastri in basso.

Torniamo a Martini, che ci illumina: “Tu sai come vanno le cose – spiega il Giudice Venanzio ne ‘Il fondo del sacco’ – : i furbi sono pochi e i creduloni molti, e così a un certo punto nel nostro Gran Consiglio ci si accorge che l’acqua valmaggese è un valore, e si pensa che sarebbe un atto generoso sacrificarla sull’altare dell’economia nazionale, tanto più che la si consegna nelle mani di gente cordiale e democratica, gente, per esempio, con cui è bello cenare insieme. In pratica i nostri onorevoli con quella concessione senza condizioni spogliavano una poverissima valle in favore del grasso Altopiano, ed era farci un torto enorme: ma loro, con i loro calcoli di uomini d’affari, con la loro mentalità di commercianti, magari credevano di venirci incontro, di liberarci dalla miseria…”

Lucido e lungimirante Plinio Martini, capace di descrivere in poche parole un aspetto del colonialismo svizzero. E aggiungiamo un passaggio memorabile: “Il Canton Ticino, chiuso al nord delle Alpi e al sud dal confine, è come una forma di formaggio che non prende aria e fa i vermi; i vermi sono gli avvocati, i consiglieri, i galoppini dei consiglieri, i galoppini dei galoppini, e dietro i capimafia; chi vuol farsi strada deve rinunciare in partenza alla propria dignità; i pochi onesti, quelli che capiscono, lasciano cascar le braccia e si tirano in disparte, mentre il popolo – ma siamo un popolo? – chiedeva – continua a votare per i medesimi partiti, come se in quel caso la fedeltà fosse una virtù.”

Plinio Martini descriveva il comportamento dei nonni dei pensatori di Avenir Suisse. Ma la verità è che i paesaggi alpini potranno avere un futuro prezioso per tutto il paese. Il cambiamento climatico spingerà a rivalutare le zone fresche, il lavoro a distanza potrà favorire il decentramento, il turismo sostenibile porterà gente anche nelle valli discoste. Sarà necessario pensare alla protezione di queste zone, considerando i rischi provocati dal clima e dai fenomeni naturali. Non si tratta di abbandonare le valli alpine, in nome di un ottuso risparmio, ma valorizzarle, promuovendo la coesione nazionale.

Nell’immagine: un fotogramma dal servizio della RSI

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