Distrazione e stordimento

Distrazione e stordimento

Se la politica è sostituita da manipolazione di parole, di concetti svuotati, di bagarre e di “manuali Cencelli” per spartirsi le poltrone


Orazio Martinetti
Orazio Martinetti
Distrazione e stordimento

Domanda: che cos’è la politica? Risposta: è l’arte dell’intorbidare le acque. Di creare confusione manipolando parole e svuotando concetti, con l’obiettivo di tramortire i cittadini-spettatori-lettori. I quali, alla fine, non sapranno più distinguere il vero dal falso. Siamo ben oltre il «troncare sopire» di manzoniana memoria. Sospinti in un mare di nebbia, vagolano privi d’orientamento, tranne le tifoserie fedeli al leader di turno, aizzate da testate che se ne infischiano dei codici di deontologia professionale. Sciolgono i cani a comando per annientare o ridicolizzare l’avversario ridotto a nemico. I pochi che ancora acquistano e leggono i quotidiani assistono ogni giorno ad una specie di guerra civile combattuta con la penna intinta nel fiele.

Ciò che è accaduto ad Antonio Scurati lascia allibiti. Il suo monologo censurato dalla Rai è rimbalzato nell’opinione pubblica avvolto in accuse, contro-accuse, mezze-verità (o mezze falsità), allo scopo di non far ricadere sull’azienda, e in ultima istanza sul governo che la sta occupando, la responsabilità dell’intervento censorio. Insomma, la colpa è di Scurati stesso, scrittore e divulgatore in cerca di pubblicità, autore fors’anche avido, intellettuale antifascista ovviamente «di sinistra», e questo è probabilmente, nell’Italia odierna, il capo d’imputazione più grave.

Impossibile non provare sconcerto di fronte a queste dispute; sconcerto e delusione per la piega che il dibattito politico-culturale ha assunto negli ultimi anni, con una curvatura autoritaria da quando al governo è giunta una figlia della tradizione neofascista. Dov’è finita la Rai come spazio di innovazione e di sperimentazione intellettuale? La Rai 3 diretta da Angelo Guglielmi, per intenderci, e poi, risalendo gli anni, l’azienda in cui operavano figure come Umberto Eco, Gianni Vattimo, Beniamino Placido?

Conosciamo l’eziologia: l’occupazione della Rai da parte dei partiti che, ad ogni tornata elettorale e sulla base dei consensi ottenuti, avanzano pretese sull’organigramma e sui palinsesti. Una spartizione degli incarichi – definita nel cosiddetto «manuale Cencelli» – che finora nessuno ha saputo o voluto estirpare, nonostante le assicurazioni contrarie. Riguarda la Rai come anche il vasto mondo delle società statali e parastatali. Questa prassi ha fatto – e continua a fare – numerose vittime. La principale è senz’altro la qualità dell’informazione, sacrificata sull’altare degli interessi partigiani; un’altra vittima è la messa al bando delle opinioni dissonanti che non portano al collo la medaglietta di partiti, associazioni, camarille. Chi rappresenta solo sé stesso non troverà mai posto nei salotti televisivi, anche se ha prodotto un’opera importante.

Tutto questo danneggia il patrimonio culturale italiano e la sua irradiazione oltre il perimetro nazionale, nella multiforme area italofona che segue i programmi provenienti dalla penisola. Si vorrebbe poter beneficiare di un’informazione meno schierata, generata e diffusa da giornalisti e non da gladiatori: si vorrebbe meno chiacchiericcio e più competenza; meno urla e più ragionamento. Si vorrebbe… ma probabilmente è solo una pia illusione, dentro un’offensiva mediatica che sta colonizzando sempre più le nostre vite e il nostro immaginario. Con grave danno per la salute democratica di tutta la collettività.

Articolo pubblicato da laRegione

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