Fratture sociali e spaziali

Fratture sociali e spaziali

Dalla recente votazione sulla 13esima AVS sono emersi aspetti politici e storici che forniscono del nostro Paese un’immagine fatta di divisioni forse più che di coesione


Orazio Martinetti
Orazio Martinetti
Fratture sociali e spaziali

«Tutto aumenta, signora mia…», avrebbe esclamato Alberto Arbasino. Luce, gas, nafta, tasse varie, abbonamenti, balzelli inattesi, il lungo corteo delle assicurazioni… Sono numerosi i fattori che concorrono a questo generale rincaro, dalla speculazione interna all’andamento dei mercati mondiali, dai costi crescenti nel settore sanitario alla raffica di offerte di servizi nel campo della telefonia mobile e dell’intrattenimento televisivo (consumi indotti). Di fronte a questa ondata, spesso imperscrutabile da parte degli utenti, i cittadini hanno accolto un’iniziativa, quella sulla 13esima AVS, che in altri tempi sarebbe stata bocciata (com’era già accaduto nel 2016 con AVSPlus). Risultato storico, si è detto, e a ragione, perché finora ogni tentativo sorretto da un robusto afflato sociale non ha mai superato la prova delle urne: settimana lavorativa di quarant’ore, salari equi, sei settimane di vacanze per tutti, pensionamento flessibile… La strada della socialità elvetica è costellata di sconfitte, di ritardi, di rinvii a tempi migliori (che non arrivano mai). Ma per fortuna le nuove generazioni trovano la forza per superare lo scoramento e di riprendere in mano la questione.

Certo, da sola la sinistra non riesce a spuntarla, sul piano elettorale la sua forza è nettamente inferiore a quella di centro-destra. Ma questa volta governo e parlamento hanno sbagliato i calcoli. O meglio: pensavano di liquidare l’iniziativa senza troppi fastidi come nel 2016, facendo leva sullo spettro del dissesto finanziario. Ma sotto sotto il pensiero era un altro: che i ceti popolari dovessero accontentarsi di quello che passava il convento, senza un centesimo di più. La sicumera (parente stretta della protervia) era talmente radicata da rendere superfluo perfino un controprogetto. Tutto doveva restare com’era, come gli ordini durante l’antico regime: «bellatores, laboratores, oratores…». 

Subito è esplosa la battaglia sul finanziamento, con accenti intimidatori. Dove prendere i soldi? Le associazioni padronali hanno già escluso le fonti consuete, come il prelievo sui salari, l’aumento dell’Imposta sul valore aggiunto (Iva), una maggiore tassazione degli alti redditi. La destra sociale (Lega) vorrebbe rastrellare i denari che oggi la Confederazione versa ai rifugiati e alle organizzazioni umanitarie operanti nel Terzo Mondo. Ovvero: aiutare i penultimi (i nostri vecchi bisognosi) aggravando la condizione degli ultimi (i poveracci in attesa di asilo). La contesa ha il sapore della rivalsa, benché non si profili nessuna «punizione» per le classi abbienti, come voleva anni fa uno slogan dell’estrema sinistra italiana: «anche i ricchi piangano». Qui, semmai, a piangere saranno soltanto lo spirito di collaborazione e le politiche redistributive in un’ottica di riduzione delle disparità sociali (una via che il neoliberismo elvetico aborre).

Alla disuguaglianza sociale va aggiunta quella tra le regioni. Il voto favorevole è giunto dai cantoni maggiormente sofferenti, come il Ticino (70,9%) e il Giura (82,5). Il ricco e poco solidale Zugo l’ha invece respinta (58%). Ma oltre agli aspetti sociali, sicuramente decisivi, c’è anche da considerare l’eredità storica e religiosa. Sui sette cantoni che nella prima metà dell’Ottocento dettero vita alla Lega separata (Sonderbund), ben cinque hanno rigettato l’iniziativa. Sono i cantoni «primitivi» cattolici di Lucerna, Uri, Svitto, Obvaldo-Nidvaldo e Zugo. Friburgo e Vallese, cantoni bilingui e quindi maggiormente gravitanti nell’orbita romanda, l’hanno invece approvata. Colpisce inoltre la distanza che separa il Giura (82,5 di sì) dall’Appenzello interno (68,5 di no). Se volessimo rimanere su questi dati, parrebbe davvero arduo immaginare una volontà riconciliativa sotto il manto di Helvetia… [qui tutti i dati]

Che il confronto politico si sia incattivito, è evidente, così come l’asprezza dei toni. Probabilmente è venuta meno l’opera di mediazione delle società civiche che in passato promuovevano il dialogo tra le classi sociali e tra le regioni linguistiche. Sottrarre ruolo e finanziamento a questi luoghi di dibattito non è stata una buona idea. Speriamo che i politici più avveduti se ne siano accorti e che provvedano presto a ricostruirli, per il bene di tutti.

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