Da ancella a protagonista: il lungo percorso della grafica verso la pari dignità

Da ancella a protagonista: il lungo percorso della grafica verso la pari dignità

Al MASI di Lugano, nella sede del LAC, 300 capolavori della Graphische Sammlung del Politecnico federale di Zurigo in mostra fino al 4 gennaio 2024 – Un’esposizione da non perdere


Michele Ferrario
Michele Ferrario
Da ancella a protagonista: il lungo percorso...

Per incitare qualcuno a visitare una mostra – mi chiedo – è necessario descriverne, anticipandoli, i contenuti, i punti fermi, le curiosità? No, tutto questo lo scoprirà il visitatore che darà seguito all’invito di recarsi al MASI di Lugano (nella sua sede del LAC) prima del 4 gennaio. Lì lo aspetta un percorso silenzioso, denso ed emozionante attraverso oltre cinque secoli di arte grafica, lungo il quale si imbatterà in una disciplina che, rispetto alla scultura e alla pittura, ha sempre vissuto un po’ nell’ombra: una sorta di ancella, un dio minore, un succedaneo didattico e divulgativo dell’Arte che si riteneva degna di essere scritta in maiuscolo; un linguaggio, per capirci, che si reggerebbe più sulla perizia tecnica e la conoscenza-padronanza dei supporti da parte di quanti lo utilizzano, che non sulla forza immaginifica della creazione.

Da Albrecht Dürer a Andy Warhol. Capolavori dalla Graphische Sammlung ETH Zürich smentisce in pieno questo luogo comune e ricolloca – qualora ve ne fosse bisogno – la grafica, le sue tecniche, i suoi esiti migliori nel rango che loro spetta. Tagliando a fette grosse, è comunque vero che la grafica assume piena dignità di genere e valenza d’arte solo dopo l’avvento della fotografia, attorno al 1850. E solo nel Novecento diventa (anche) genere a se stante, disciplina in cui sperimentare tecniche, materiali, linguaggi nuovi.

Meraviglioso il catalogo edito in italiano dalle Edizioni Casagrande di Bellinzona (a cura di Arianna Quaglio, Linda Schädler e Patrizia Keller). Dieci i contributi, uno più interessante dell’altro: schede descrittive dettagliate, sempre comprensibili, spesso appassionanti esse stesse; riproduzioni impeccabili di buona parte delle 300 opere esposte; un utilissimo glossario per i non specialisti, che aiuta a districarsi tra acquaforte e acquatinta, incisione e  litografia, ma anche tra le diverse tecniche di stampa: in cavo, in piano, in rilievo, puntasecca, serigrafia, xilografia, eccetera.

Come scrive il direttore del MASI, Tobia Bezzola, “Dal Rinascimento in avanti l’arte grafica, grazie alla sua riproducibilità, ha svolto un ruolo decisivo nello sviluppo e nella diffusione dell’arte europea. Per secoli, fino all’avvento della fotografia, ha permesso di far conoscere e circolare dipinti e sculture ed è spesso stata usata anche come strumento di ausilio per lo studio e l’insegnamento. Le stampe erano tra i pochi strumenti didattici utili per la trasmissione delle conoscenze di storia dell’arte e per la formazione artistica, a disposizione di studenti, artisti, ma anche di collezionisti e appassionati di arte”.

Albrecht Dürer, Rhinocerus (1515)

Di fronte ci troviamo riproduzioni a volte invariate, pedisseque, realizzate per divulgare e moltiplicare la conoscenza dei capolavori; altre volte consapevolmente modificate con intenti irriverenti e caricaturali; ma anche strumenti umanistici di studio, ricerca scientifica e insegnamento: esemplare il Rhinocerus di Albrecht Dürer esposto, un’opera dalla storia avvincente. 

Riproduzioni ad usum studii che legano il materiale esposto ad una delle più prestigiose istituzioni formative, ben oltre i confini svizzeri, il Politecnico di Zurigo, fondato nel 1855, che delle opere esposte a Lugano è il proprietario e il custode: la storia della Graphische Sammlung è ben narrata in catalogo da Linda Schädler.  Al LAC sono a disposizione oltre 600 mq di spazio per esporre una pur minima parte (300 su 160 mila) di questi tesori. Nell’austero, imponente, quasi impenetrabile edificio al 101 di Rämistrasse, proprio per mancanza di spazio e non certo per volontà della stessa ETH, le preziose cartelle “vivono” nell’ombra, in cassettiere, quasi sempre al riparo da sguardi esterni. Lo sottolinea, sempre in catalogo, Philip Ursprung (che all’ETH insegna storia dell’arte e dell’architettura) in un altro bel testo che, una volta vista l’esposizione al MASI, dovrebbe invogliare a prendere il treno per Zurigo: 

(…) Sulla tempia destra o, meglio ancora, sulla guancia destra dell’edificio principale del Politecnico federale, che veglia su Zurigo come la testa di un gigante, trovate la Graphische Sammlung. Dovete accedere al Politecnico e seguirne i corridoi per entrarci; la collezione non ha un portale tutto suo. Se una gigantesca testa di donna – una xilografia di Franz Gertsch – vi saluta, allora siete sulla strada giusta. Entrate pure, la porta di solito è aperta. All’interno sentirete i vostri passi e lo scricchiolio del pavimento di legno chiaro. Slanciate colonne di ferro strutturano l’ambiente. Ora vi trovate nell’unico ambiente originale che si è conservato fin dai tempi della fondazione del Politecnico, nel bel mezzo delle collezioni. Niente paura, non è un laboratorio, non ci sono macchine né prodotti chimici! Qui tutto è di carta. Reale e utopico al tempo stesso. Avvicinatevi pure tranquillamente! I fogli potete leggerli come le pagine di un libro oppure guardarli come un quadro appeso alla parete, usarli come una mappa o decifrarli come una formula. Avvicinatevi tranquillamente e immergetevi nelle immagini! Permettono di accedere al passato e al futuro, ma anche al qui e ora. È un luogo unico. Ed è qui per voi!”.

A Lugano la curatrice della mostra, Linda Schädler, è riuscita ad allestire un percorso, per larghi tratti cronologico, che prende letteralmente per mano il visitatore e lo accompagna – tra luci rispettosamente soffuse e condizioni igrometriche tali da non arrecar danno alla fragilità intrinseca della carta – da Dürer a Warhol, passando per Rembrandt (di cui la raccolta del Poli comprende 300 pezzi), Piranesi, Goya, fino a Pablo Picasso e Paul Klee. L’invito del sottoscritto è di soffermarsi sul già menzionato Rhinocerus (1515) e sulla sua storia: Giorgio Manganelli ne avrebbe tratto un racconto fantastico. Quella xilografia notissima, in cui l’ungulato è ritratto con fattezze parzialmente immaginarie, figura sulla copertina della traduzione italiana dell’omonima pièce teatrale di Eugene Ionesco (1959), pubblicata da Einaudi nel 1964. 

Edvard Munch, Angoscia (1896, dettaglio)

Completano l’esposizione poche opere a matita o dipinte, tra cui spiccano alcune gouaches di Egon Schiele. Non manca, infine, una sezione architettonica (da Le Corbusier a Peter Zumthor a Mario Botta, presente con una serie di acqueforti legate alla progettazione-ricostruzione della Chiesa di Mogno). 

Personalmente, esco dal LAC colpito soprattutto da quelle opere di epoche più vicine alla nostra, eseguite quando il linguaggio della grafica aveva definitivamente compiuto il salto: da raffigurazione “pura e semplice” ad espressione autonoma e originale di stati d’animo, emozioni, sentimenti. Opere fortemente espressive-espressioniste firmate Edvard Munch (guardate il suo Autoritratto (1895), Pechstein, Heckel; capolavori assoluti come quelli di Käthe Kollwitz (del cui valore universale il Deposito Matasci a Lavertezzo è un altro testimone);  ma anche gli 11 fogli della serie xilografata Intimités (1898) del losannese  trapiantato a Parigi Félix Vallotton: gioie e dolori, vette e abissi della coppia, in cui bulino e sgorbia diventano sferzante strumento di satira di costume. 

Ultima segnalazione: in concomitanza con la mostra luganese, la Graphische Sammlung ETH Zürich ospita, fino al 12 novembre, Fokus Tessin, che espone 120 opere su carta di artisti ticinesi o che a sud delle Alpi hanno lavorato dal XVII secolo ai giorni nostri. Il Ticino, insomma, come soggetto ispiratore, luogo di creazione artistica, punto d’incontro di scuole, stili, esperienze. 

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