Così la guerra riduce i russi a volenterosi servi dello Zar

Così la guerra riduce i russi a volenterosi servi dello Zar

Da Caterina a Vladimir il dispotismo risorge in chiave imperiale e ritorna pure la domanda di La Boétie: perché il popolo non si ribella?


Redazione
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Così la guerra riduce i russi a volenterosi...

Di Domenico Quirico, La Stampa

Elezioni, elezioni in tempo di guerra a Mosca: poco o nulla. Come era scontato, increspature su masse compatte e vischiose, piccole nubi a cui forse il tempo darà senso e segno, in un gioco in cui tutto è accuratamente orchestrato nel retropalco da un piccolo uomo dagli occhi freddi che è in verità il solo autentico elettore della scena politica russa. Nulla di nuovo nella eterna battaglia del potere contro la società. La battaglia di un potere carnivoro che, in nome dell’interesse dello Stato che spesso è largamente un fantasma, per l’ennesima volta con metodo implacabile divora i contro-poteri che sorgono di volta in volta, e il suo popolo che sognerebbe, ma il condizionale è d’obbligo, libertà, stato di diritto e se vogliamo esagerare l’Occidente.

La verticale del potere così cara alla più recente versione dello zar, del segretario generale, del Capo, ha funzionato, come era prevedibile, benissimo smentendo incauti birignao che intravedevano fratture autocratiche sotto l’urto delle nostre scomuniche. Rendiamo omaggio ai nuovi decabristi che come i loro antenati, straripanti di idee illuministe, hanno tentato, sfidando micidiali ukaze, di strappare il velo alla depredazione oligarchica, cekista, putiniana. Ma che soccombono nella mischia tra forze concorrenti che attraversa la storia russa, Stato contro società, burocrazia e individuo, Occidente ed Eurasia, ordine e libertà. Senza dimenticare gli “aggiustamenti tecnici” del voto, le intimidazioni, la eliminazione anche fisica dei concorrenti (pratiche peraltro considerate accettabili e normali per decine di altri autocrati nostri carissimi alleati!) bisogna purtroppo riconoscere che il potere russo, dopo la breve parentesi dell’autoaffondamento del totalitarismo comunista, ha di nuovo confiscato il voto dei cittadini instaurando un ormai ventennale potere autoritario. La maggioranza si rimette alla “Guida” a cui delega il suo avvenire perfino nella tragedia sanguinosa della guerra. Anzi: soprattutto per la tragedia della guerra. Come se solo il piano Putin fissato all’inizio del millennio, (…voi farete di nuovo paura al mondo che vi vuole come sempre strangolare…) potesse definire il futuro; come il piano Lenin tracciava la via verso il sole radioso dell’avvenire comunista.

Il filosofo Vladimir Soloviev propose un’idea, curiosa ma seducente: la mancanza di materiale da costruzione ha impedito in Russia di edificare ovunque città in pietra; e quindi l’individuo con esse ha smarrito il lessico anche delle regole del diritto, dei contro-poteri, della proprietà e delle libertà individuali che vanno di pari passo. L’uomo russo ha dovuto identificarsi con valori più globali e appetiti dalle masse come lo Stato, l’impero, il potere, la potenza.

l giorno dopo le elezioni, con la guerra che si sente crepitare verso inevitabili paurosi sviluppi, siamo dunque di fronte alla grave domanda, in chiave russa, a cui Etienne de la Boétie non fece a tempo a trovare una risposta credibile prima di spirare a 33 anni consolato dal suo amico Montaigne: come è possibile che tanti uomini, milioni di coraggiosi, forti, abituati a ogni sofferenza, orgogliosi, obbediscano a un uomo solo il cui potere di nuocere è quello che loro stessi gli concedono? Cosa è mai questa servitù volontaria? Un vizio? Una disgrazia? È solo paura? Perché sacrificano la vita per un “ometto”, solo, non avvezzo alla polvere della battaglia, un funzionario di un apparato che non ha saputo prevedere neppure la propria autodistruzione, un mezze maniche dello spionaggio? E l’umanista seicentesco, parola ahimè oggi da ricercare con pazienza in vecchi libri e non nella cronaca dei giorni, ricordava che per quell’uomo andavano in guerra con coraggio, accettavano la morte, offrivano i propri figli perché li conducesse al macello. Riuscite a immaginare una descrizione più aderente della tragedia dei campi di Ucraina che dura da due anni?

L’ingenuo La Boétie, abituato a più primitivi assolutismi, constatava: eppure per abbattere questo isolato tiranno non sarebbe neppur necessario levarlo di mezzo, basterebbe non regalargli nulla, basterebbe non agire contro se stessi. Così l’autocrate cadrebbe da solo.

Allora perché milioni di russi, da più di vent’anni, si sottopongono con limitate eccezioni a questa servitù volontaria? La paura, l’apparato repressivo, la mistificazione propagandistica non spiega tutto. I russi hanno combattuto rivoluzione e guerra civile, resistito alla mostruosa pianificazione staliniana, resistito a Stalingrado e marciato fino a Berlino sgretolando la più oliata e mostruosa dittature del Novecento, hanno superato la stagnazione brezneviana e la “democrazia” criminale di Eltsin. Nessun Kgb basterebbe a salvare il Palazzo dalla loro ira. Allora? Certo pesa l’abitudine all’assolutismo, a una implacabile potenza. In fondo il dispotismo russo, da Caterina a Putin compreso, ha affascinato Voltaire e imitatori fino a ieri, “l’eccezione russa”, fascino e repulsione, Mecca ideologica e poi scudo al monopolio americano, il limes mentale dell’Europa, la punta estrema del suo immaginario.

Si può aggiungere lo strascico di un Potere putiniano che tra favori, maneggi, complicità nella usura di un capitalismo nazionalistico-mafioso, moltiplica gli obbedienti boiari per interesse e necessità. E poi funziona l’odio per l’Occidente, la psicologia della fortezza assediata, la volontà di rivincita, un nazionalismo estremista e un imperialismo senza complessi. Siamo noi occidentali che dobbiamo passarlo, l’imperialismo, nel brodino dell’ipocrisia e delle giuste cause. In questo piano la guerra per Putin era un passaggio essenziale. La generazione russa che coincide con il suo avvento al potere, lo avrebbe, se fosse cresciuta nella pace, consegnato a un passato di rovine, esigendo di far parte di quel Terzo Occidente verso cui si sono levate utopistiche speranze. È la guerra che stanno combattendo e combatteranno che li rinchiude nella prigionia della servitù volontaria. Le trincee, la scoperta della morte, la lotta inumana contro il Nemico, indicato nei traditori di Kiev e nell’Occidente subdolo, creano consenso e devozione per il Capo. I reduci, come è accaduto nel 1918 non esigono democrazie, credono nelle tirannidi.

Nell’immagine: la Pravda online oggi. “Il trionfo di Vladimir Putin: non ha mai avuto un tale sostegno”. E nel testo: “Il presidente [nel suo discorso agli elettori] ha criticato aspramente il sistema elettorale negli Stati Uniti, che non può affatto essere considerato democratico a causa della persecuzione dei candidati presidenziali e del massiccio riempimento di voti con il pretesto del “voto per corrispondenza” [traduzione automatica]

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