La colpa è di Hamas. Biden sdogana l’attacco a Rafah

La colpa è di Hamas. Biden sdogana l’attacco a Rafah

Il presidente Usa e i leader di 17 paesi chiedono il rilascio degli ostaggi israeliani. Oggi salpa la Freedom Flotilla con 5mila tonnellate di aiuti per i palestinesi


Redazione
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Di Michele Giorgio, il manifesto

l via all’attacco a Rafah le Forze armate israeliane lo attendono dal gabinetto di guerra di Benyamin Netanyahu riunito ieri per una decisione definitiva sui tempi e modi dell’invasione della città in cui si ammassano gli sfollati palestinesi. Di fatto l’hanno ricevuto da Joe Biden e i leader di altri 17 paesi che ieri hanno rilasciato una dichiarazione comune in cui si attribuisce solo ad Hamas la responsabilità del mancato accordo per un cessate il fuoco a Gaza. «Chiediamo il rilascio immediato di tutti gli ostaggi israeliani detenuti da Hamas, ormai da oltre 200 giorni. Tra questi ci sono i nostri cittadini» è scritto nel comunicato. Biden e gli altri leader affermano inoltre che il rilascio degli ostaggi «faciliterebbe un’ondata di ulteriore assistenza umanitaria necessaria da fornire in tutta Gaza e porterebbe a una fine credibile delle ostilità» e al ritorno degli sfollati alle loro case.

Musica per le orecchie di Benyamin Netanyahu deciso ad usare la forza. La dichiarazione parla solo di ostaggi da liberare e non fa riferimenti ad una soluzione politica per i palestinesi sotto occupazione israeliana. Nei mesi scorsi l’Amministrazione Usa aveva evocato in più occasioni la soluzione a Due Stati, ossia la nascita accanto a Israele di uno Stato palestinese indipendente nei Territori occupati del 1967. Poi ha inserito la retromarcia e, dopo l’attacco dell’Iran a Israele di metà aprile, i rapporti tra Biden e Netanyahu sono nettamente migliorati. La Casa Bianca ha anche firmato senza esitare il pacchetto approvato da Camera e Senato che garantisce a Israele aiuti militari per altri 17 miliardi di dollari.

«La chiave, in realtà, sono gli ostaggi» ha detto un alto funzionario statunitense respingendo le accuse secondo cui Israele sarebbe il principale ostacolo alla conclusione di un accordo tregua e ha scaricato la responsabilità solo su Hamas. Parole che Netanyahu ha accolto con sollievo perché gli consentono di respingere l’accusa di «non aver fatto abbastanza» che gli rivolgono le famiglie degli ostaggi. Mercoledì sera, quando è stato diffuso il video di uno dei sequestrati da Hamas, il 24enne Hersh Goldberg-Polin, a Gerusalemme è esplosa la rabbia di centinaia di persone contro il primo ministro. Ora Netanyahu può dire che gli Usa confermano le sue buone intenzioni.

Un portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha risposto alla dichiarazione affermando che la pressione degli Stati uniti «non ha alcun valore». E ha ribadito la richiesta del ritiro delle forze di occupazione da Gaza e di una tregua permanente come unico percorso verso uno scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi. Poco prima, uno dei massimi dirigenti di Hamas, Khalil Al Haya, aveva usato toni morbidi a proposito di una soluzione alla guerra. In un’intervista all’agenzia Usa Associated Press ha affermato che la sua organizzazione è pronta ad accettare un cessate il fuoco di cinque anni e persino a disarmarsi se verrà creato uno «Stato palestinese indipendente pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e sarà attuato il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le decisioni internazionali». Al Haya ha sottolineato che tutti i gruppi che hanno combattuto contro gli occupanti «quando sono diventati indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro paese, poi si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti sono diventate l’esercito nazionale». Le interpretazioni di queste parole sono varie. Alcuni le considerano un tentativo da parte della leadership Hamas di rimettere la questione palestinese su binari politici dopo aver affidata negli ultimi 10-15 anni quasi esclusivamente alla sua ala armata. Per altri Hamas manda segnali all’opinione pubblica palestinese che, pur sostenendolo in modo ampio, non respinge un approccio più pragmatico tenendo conto della realtà sul terreno e di Gaza emersa distrutta dalla guerra. Al Haya comunque non rinnegato l’attacco del 7 ottobre nel sud di Israele e non ha fatto riferimenti a una riconciliazione con il partito Fatah e l’Anp di Abu Mazen. E a proposito del futuro di Gaza ha sottolineato che Hamas rifiuta qualsiasi presenza non palestinese nella Striscia, sia in mare che via terra, e tratterà qualsiasi forza militare, israeliana o meno, come una forza di occupazione. Si è riferito con ogni probabilità ai militari americani che si stanno dirigendo verso la costa di Gaza per costruire il molo temporaneo annunciato da Joe Biden per favorire l’ingresso di cibo a Gaza.

Verso la costa palestinese si dirigeranno anche centinaia di attivisti della Freedom Flotilla che, se non ci saranno impedimenti, salperanno oggi da Istanbul verso Gaza con oltre 5.000 tonnellate di aiuti umanitari. «Chiediamo ai governi dei 40 paesi rappresentati nella Freedom Flotilla di rispettare i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale e di chiedere che Israele garantisca alla flottiglia un passaggio sicuro verso Gaza», ha esortato ieri Huwaida Arraf, fondatrice della Freedom Flotilla. Anche il nipote di Nelson Mandela, Mandla, è tra gli attivisti pronti a salpare. Israele, che attua il blocco navale di Gaza, nei giorni scorsi ha segnalato che non lascerà passare aiuti che non sono stati ispezionati dalla sua sicurezza. La tensione, perciò, sarà alta a bordo della flottiglia. Nel 2010 il traghetto Mavi Marmara e altre navi dirette a Gaza furono intercettate e i commando israeliani uccisero 10 passeggeri turchi.

Nell’immagine: Gaza. Palestinesi in una casa colpita da un raid israeliano

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