Elogio alla mediocrità (politica)

Elogio alla mediocrità (politica)

Davvero per rappresentare il bene comune occorre elevarsi al di sopra della moltitudine? Sventurata la terra che ha bisogno di eroi (B. Brecht)


Aldo Bertagni
Aldo Bertagni
Elogio alla mediocrità (politica)

È sentire comune, ai piani alti dell’intelligenza comunitaria, considerare mediocre la politica dei nostri tempi. E mediocri, naturalmente, le donne e gli uomini che la fanno. La definiscono mediocrazia (vedi il filosofo canadese Alain Deneault). Un approccio datato e un po’ passatista, tant’ è che gli analisti di cui sopra, nel commentare cotanta mediocrità attuale, ricordano al contempo gli anni degli ideali nobili e gloriosi, dove tutto era possibile e il futuro a portata di mano. Molto ci sarebbe da dire e da scrivere su come sia poi finita, ma non è questo il punto. 

La questione è: e se la mediocrità politica fosse in realtà una virtù e non un difetto? Partiamo dalla definizione grazie al dizionario etimologico che ci descrive la mediocrità, dal latino mediocris, come una dimensione che sta in mezzo agli estremi o anche fra il molto e il poco, fra il buono e il cattivo. Uno stato medio, appunto. Nei secoli, la virtù umana è sempre stata riconosciuta in chi si è distinto, in chi ha dato prova di gloria e onore. Gli eroi, simboli virtuosi per antonomasia. In una società erede del progresso indiscusso, prima spirituale e poi umano, ancora oggi solo chi dà prova di “cambiare il mondo” può considerarsi vero rappresentante del bene comune. A prescindere che sia seguito, compreso, o meno. Anzi, il vero politico sarebbe colui che vede dove noi mediocri non vediamo. Al contrario, l’anonimo, il cittadino banale, modesto, piatto e magari anche scarso, non è certo – ieri come oggi – degno di elevarsi a rappresentanza dei molti. Essere eletto. 

Seguendo il sillogismo, si dovrebbe dunque concludere che la politica per essere davvero onorevole deve far capo agli eroi? Dall’Illuminismo ai nostri tempi, la risposta è nella domanda. Talmente scontata che la storia ci ricorda anche gli estremi, con le dittature e gli orrori della prima metà del Novecento. Eroi malefici, Belzebù ammalianti e potenti posseduti dalle stese virtù degli eroi virtuosi, ma usate a fin di male. Banalizzando, un politico mediocre non sarà mai un dittatore. Così come non è vero che la malvagità è mediocre. Anzi.

Estremi a parte, la mediocrità in politica altro non è che la miglior rappresentanza della propria realtà: non un passo indietro e non uno avanti. La politica “mediocre” ben evidenzia quanto necessità ora e qui; non un progetto rivoluzionario, non un sogno utopico, non uno scenario ipotetico. La mediocrità, in politica come altrove, è pragmatismo. E se altrove (nelle altre attività umane) spesso è un limite, in politica è capacità di rispondere alle esigenze di chi si rappresenta senza far capo a narrazioni immaginifiche o evocatrici di scenari mistici. Meglio, senza nessuna narrazione.

Troppo poco? In tempi come i nostri, dove le nuove tecnologie hanno l’ambizione di predeterminare il futuro dei cittadini-consumatori disegnando scenari decisamente distopici – o almeno eroici – e dove i fanatismi vecchi e nuovi mettono in forse la pace mondiale, il politico “mediocre” è un toccasana di realismo capace di traghettarci dall’ignoto a un nuovo mondo possibile. E non ultimo, ottimo lettore, quasi istintivo, dei bisogni e dei desideri di chi lo elegge. Senza sovrastrutture o acchiappa baci. 

Nell’immagine: Cetto c’è. Senzadubbiamente

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