Intifada americana

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Campus in rivolta, 2000 arresti. Si mobilita la California: «È il nostro ’68, ascoltateci». Biden chiude: «No a violenze e antisemitismo, non cambio la politica in Medio Oriente»


Redazione
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Intifada americana

Di Alberto Simoni, La Stampa

ll’interno della Millar Library dell’Università di Portland in Oregon, i manifestanti hanno ricoperto i muri di scritte. Una di queste recita: «Finiremo l’occupazione di questo palazzo, quando Israele cesserà l’occupazione di Gaza». L’ambizioso programma è stato stravolto dal blitz della polizia ieri mattina.

Da lunedì, una trentina di giovani era barricata nella struttura, all’alba è stata liberata con un blitz dopo tanto di ultimatum e trattative finite in nulla.

Dodici persone sono state arrestate, le altre sono uscite con le mani dietro la nuca e si sono dileguate. I riflettori d’America sulle proteste nei campus che da oltre due settimane scandiscono le giornate di giovani studenti, professori, dirigenti, politici – molti accorsi a sostenere chi i filo palestinesi e chi gli studenti ebrei o a difendere il free speech o a chiedere l’intervento radicale delle forze dell’ordine – sono puntati a Ovest.

Dopo lo sgombero martedì notte dell’accampamento della Columbia University, la polizia ha affrontato il capitolo UCLA. Il campus di Los Angeles ieri mattina anziché tende e manifestanti, fra i 300 e i 500 accalcati a intonare slogan pro Palestina e i duemila che stavano lungo il perimetro, aveva una ruspa al lavoro e un grande cassone di ferro per la raccolta dei rifiuti. C’è finito dentro di tutto: bottigliette, coperte, tende dopo che la polizia ha deciso che il braccio di ferro era durato troppo. Gli arresti sono stati 200. La contabilità del New York Times dice che in due settimane in America sono state fermate 2000 persone, nelle ultime 48 ore però sono stati i blitz della polizia – chiamata da rettori e presidenti a ripristinare ordine e attività nei campus – ad accelerare la conta: 17 in Texas, 12 in New Hampshire, 9 in Florida, poi Fordham, Yale, New Orleans. Sono 282 a New York fra Columbia e City College. La metà di questi non avrebbe nulla a che fare con le università, non sono studenti né professori. 

A UCLA sino all’ultimo avevano provato a risolvere la questione con il dialogo, poi martedì la vicenda ha preso una piega brutta. Alcuni contromanifestanti hanno assaltato il campus dei filopalestinesi, tensioni, strattonamenti, spray al peperoncino, mazze e bastoni. La polizia del campus solo mercoledì mattina ha ripristinato l’ordine. I dirigenti universitari hanno parlato di “istigatori” riferendosi ai contromanifestanti e ordinato un’inchiesta. Ma ormai il clima era troppo pericoloso. Alle 3:15 (mezzogiorno di ieri in Italia) circa 250 agenti della California Highway Patrol sono entrati nel cortile del campus, grande come un campo da football. Hanno sparato fumogeni, qualche granata stordente e si sono protetti dal lancio di estintori e mazze da parte degli studenti. Alcuni di loro si erano preparati per tempo al confronto con le forze dell’ordine: indossavano occhiali di plastica per proteggersi dal fumo; elmetti da operai, maschere per respirare. Ma è finita con la tendopoli sgomberata e 132 ammanettati.

La mappa d’America descrive proteste e arresti ovunque. Pochi Stati sono immuni da quello che alcuni commentatori cominciano a etichettare come un simulacro del 1968. E come nel 1968, la Convention democratica si svolgerà a Chicago, le proteste attorno alla United Arena dove Biden otterrà il 22 agosto la nomination del Partito sono scontate e già preannunciate. Quanto l’onda durerà però resta la grande incognita. Alcuni analisti ritengono che, con la fine delle lezioni – entro due-tre settimane –, le proteste potrebbero perdere d’intensità.

I giovani sono la prima linea ma hanno retroguardie ben fornite. In molti casi professori e personale dei college si è mobilitato. Alla George Washington University, i docenti delle facoltà ieri hanno fatto da cordone sanitario lungo H Street per separare il sit-in degli attivisti pro-Palestina dai filo-israeliani – fra loro anche famigliari degli ostaggi detenuti dal 7 ottobre a Gaza – che manifestavano 4 strade più in là. L’idea era evitare un bis di quanto accaduto a UCLA. Mark Lance, docente di politica internazionale alla Georgetown, ha spiegato: «Siamo qui per difendere i pro-palestinesi dalle aggressioni».

Le proteste hanno stravolto ogni piano. A Columbia la polizia resterà nel campus sino al 17 maggio, due giorni dopo la cerimonia dei diplomi; all’Università della South California non ci saranno cerimonie; in Florida invece oggi ci sarà la festa per i laureati confidando non vi siano disordini.

Il presidente Biden ieri ha per la prima volta interrotto il silenzio. E forse non è un caso che l’abbia fatto oltre 24 ore dopo le dichiarazioni di Trump sul blitz a Columbia University: «È bello vedere il raid della polizia contro i pro-palestinesi e gli anti-israeliani». Il presidente ha inserito all’ultimo minuto nel suo programma un intervento di pochi minuti in cui ha detto che gli americani «hanno il diritto di protestare non quello di creare caos». Ha rifiutato però, rispondendo a due domande, dapprima l’idea che possa essere schierata la Guardia Nazionale e quindi ha specificato che le manifestazioni non gli stanno facendo cambiare idea e linea verso il Medio Oriente. «Distruggere la proprietà non è una protesta pacifica. È contro la legge. Il vandalismo, la violazione della proprietà, la distruzione dei vetri, la chiusura dei campus, obbligare a cancellare lezioni e cerimonie, nulla di tutto questo è pacifico». Biden ha quindi sottolineato che «non siamo una nazione autoritaria dove le persone vengono silenziate e il dissenso schiacciato. Il popolo americano è ascoltato. Le proteste pacifiche sono nella migliore tradizione di come l’America risponde alle questioni. Ma, non siamo nemmeno un Paese senza legge, siamo una società civile e l’ordine deve prevalere».

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