Passim. Un ricordo di Werner Carobbio

Passim. Un ricordo di Werner Carobbio

La politica per lui fu una vocazione, il lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento nel tempo stesso


Virginio Pedroni
Virginio Pedroni
Passim. Un ricordo di Werner Carobbio

Consultando l’indice dei nomi della Storia del Partito Socialista autonomo di Pompeo Macaluso, alla voce Werner Carobbio non troviamo un elenco dei numeri di pagina, ma l’espressione latina passim, “qua e là”, usata negli indici quando la quantità di volte in cui il nome in questione viene menzionato è troppo grande per farne l’elenco. In quel libro la stessa cosa accade, e c’era da scommetterci, solo per un altro nome, quello di Pietro Martinelli.

Ma quel passim alla voce “Carobbio” vale per tutta la storia del socialismo ticinese degli ultimi decenni del secolo scorso, dai fermenti innovativi degli anni Sessanta alla riunificazione dei socialisti in quelli Novanta, in cui il suo apporto fu decisivo. Dunque ricordare il suo cursus honorum ufficiale, dal Consiglio comunale di Lumino al Consiglio nazionale, è doveroso ma anche riduttivo. Werner Carobbio è stato ben altro: un grande leader della sinistra ticinese. Fu in primo luogo un uomo di partito, nel senso più alto del termine, quando partito significava capacità di organizzazione, di sintesi e di manovra al servizio di uno scopo. Uno scopo che non poteva mai prescindere dal rafforzamento di quello stesso partito che ne era strumento indispensabile. Troviamo quindi Werner Carobbio spesso in posizioni di vertice sul piano politico-organizzativo: alla presidenza della Federazione giovanile socialista ticinese sin dal 1959, alla direzione della rivista Politica Nuova dal 1965, alla segreteria del PSA dal 1969. Se Pietro Martinelli ha rappresentato, nella storia della sinistra socialista, l’uomo delle svolte e anche degli strappi, nella direzione di strategie più moderate, liberal e istituzionali, Werner Carobbio, più vicino alle istanze più radicali e di classe, è stato l’artefice delle ricuciture e del costante sforzo di consolidamento nel nome di una certa continuità ideologica. Grazie al suo intuito, al forte radicamento nel partito, alla sua tenacia e capacità organizzativa, egli sapeva individuare nuovi punti di equilibrio stabilizzatore. Un uomo di partito, ma di un partito che rappresentava anche la volontà di andare oltre la tradizionale forma partito, nel nome di un rapporto più diretto e meno burocratico con i soggetti sociali.

Con la nascita del PSA si aprì per lui una stagione in cui vita privata e vita politica si intrecciarono inestricabilmente, affiancandosi a quella, a tempo parziale, di docente e, in seguito, a quella istituzionale di Consigliere nazionale. La sua dedizione alla causa e la sua capacità di lavoro erano eccezionali, fino a essere colui che, alla fine di lunghe e a volte concitate riunioni, trovava ancora il tempo, mentre gli altri si avviavano all’uscita, per fermarsi a svuotare i portacenere e i cestini della carta, prima di chiudere la sala. Un altro mondo, pensando a certe manifestazioni narcisistiche della politica di oggi, anche a sinistra.

La vicenda politica di Werner Carobbio è dunque legata ai traumatici tentativi di rinnovare il socialismo ticinese e svizzero a partire dagli anni Sessanta, dapprima con una dura battaglia all’interno del PST (assieme ai giovani del partito), poi dirigendo sapientemente il PSA. La sensibilità per i nuovi fermenti gli era venuta, fra l’altro, dall’incontro con un grande intellettuale ticinese quale fu Guido Pedroli, sostenitore di un marxismo antidogmatico. Come Pedroli, anche Carobbio riteneva che quella stagione, per molti versi gloriosa, in cui nel dopoguerra le socialdemocrazie europee avevano dato un grande apporto al progresso sociale dell’Europa, si stesse trasformando per la sinistra in una accettazione supina dell’esistente capitalista, in una rinuncia troppo sbrigativa a più ardite ambizioni di cambiamento. In Ticino i socialisti, con l’intesa di sinistra, erano da tempo organicamente inseriti in un sistema di governo che li vedeva presenti nella gestione del potere, in una posizione strategicamente subordinata e non certo estranea alle forme clientelari che aveva assunto la presenza crescente dello Stato. Per Carobbio la condanna al compromesso a ogni costo e alla perdita di ogni autonomia politica e culturale sembravano ormai caratterizzare una strategia priva di ogni respiro trasformativo.

La battaglia in seno al PST portò, come noto, all’espulsione di Carobbio da quel partito, assieme a Pietro Martinelli e a Elio Galli, e alla nascita, nel 1969, del PSA, di cui Carobbio fu segretario politico. Nelle posizioni radicalmente critiche di Carobbio si univa al vento del Sessantotto lo spirito delle battaglie del mondo operaio e sindacale nella più classica tradizione socialista, a cui egli restò sempre profondamente legato.

Le travagliate vicende del PSA lo videro, come detto, svolgere il ruolo centrale e mediatore, propenso a guardare a sinistra ma anche capace di elaborare sintesi con le proposte più moderate e distanti dalle posizioni iniziali del PSA. Un tale punto di riferimento era essenziale per un partito assai particolare quale fu il PSA, caratterizzato da una notevole discontinuità di linea politica, sintomo di vitalità, sperimentalismo, ma anche di fragilità. Insomma, una vicenda complessa, di cui Werner Carobbio ha costantemente curato l’ossatura, presupposto di tante battaglie di progresso sociale e di civiltà. Anche l’esperienza del PSA fu, come molte della sinistra, una sconfitta di successo, “un’impresa che ha costituito per la generazione del Sessantotto […] lo strumento per partecipare senza abiure alla conduzione del paese” (P. Macaluso, Storia del PSA, Dadò, 1997, p. 448).

Per Werner Carobbio la politica fu una vocazione, la Politick als Beruf di cui parla Max Weber in una famosa conferenza: “La politica consiste nel lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento nel tempo stesso. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile. Ma colui il quale può accingersi a quest’impresa deve essere un capo, non solo, ma anche – in un senso molto sobrio della parola – un eroe. […] Solo chi è sicuro di non venir meno anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuole offrirgli, e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò: ‘Non importa, continuiamo!”, solo un uomo siffatto ha la ‘vocazione’ (Beruf) per la politica”. (M. Weber, Politica come professione, in Id, Lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino, p. 121).

Credo che Werner Carobbio abbia effettivamente dimostrato una vocazione politica in questo senso.

Nell’immagine: Werner Carobbio nel 1995 (circa), da Archivi sociali svizzeri

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