Gli slittamenti geopolitici alle porte dell’Europa non sono finiti

Gli slittamenti geopolitici alle porte dell’Europa non sono finiti

Anche la Serbia e la Georgia sempre più nell'orbita filorussa. E le prospettive di una loro adesione all'UE sono sempre più ridotte


Yurii Colombo
Yurii Colombo
Gli slittamenti geopolitici alle porte...

Dal nostro corrispondente a Mosca

La rielezione Ursula von der Leyen alla testa della Commissione Europea non ha certo sorpreso Vladimir Putin che da tempo sostiene l’impossibilità di trovare una lingua comune con le “decadenti élite occidentali”. Naturalmente il Cremlino aveva seguito con molta attenzione lo spoglio dei voti delle elezioni nell’Unione Europea e ancora di più quello delle elezioni legislative in Francia. Tuttavia, il mancato cambiamento dei rapporti di forza nel Parlamento Europeo a favore dei “sovranisti” e la frenata della Le Pen, ha convinto il presidente russo a mettersi in vigile attesa fino al 4 novembre per poter andare realmente a vedere le carte che Donald Trump potrebbe giocare sullo scenario europeo in caso di vittoria. 

Del resto a Mosca si pensa che l’Europa resti ai margini della contesa sull’Ucraina. La Presidente della Commissione ha fatto capire, nel suo discorso d’insediamento di qualche giorno fa, che la UE sarà sopraffatta politicamente e strategicamente se non deciderà di aumentare decisamente le sue spese militari. Secondo i calcoli di von der Leyen, la Russia ha aumentato il suo budget bellico negli ultimi anni del 300% contro il 20% dell’Europa, e la necessità di accelerare su questo terreno è indifferibile. Gongolando, il portavoce di Putin Dmitry Peskov, però, ha ricordato che “difficilmente i contribuenti europei accetteranno la crescita del comparto della Difesa a fronte del fatto che la Russia non rappresenta un pericolo reale per la sicurezza della Polonia e dei Paesi Baltici”.

La Russia quindi nei prossimi mesi si concentrerà su aspetti che da Bruxelles possono essere colti, superficialmente, come marginali. In primo luogo il posizionamento geopolitico della Serbia e della Georgia.

Il 18 luglio si è tenuto il quarto vertice della Comunità Politica Europea a  Woodstock in Gran Bretagna. Il tema principale di questo incontro, come già nei tre precedenti casi, è stato l’Ucraina. Qui il Presidente serbo Aleksandar Vucic, ha aggiunto la sua voce alle rimostranze del premier ungherese, affermando che gli era sembrato di partecipare a una riunione della NATO+ in cui tutti parlavano solo del fatto che “L’Ucraina deve vincere”. 

Belgrado ha culturalmente e tradizionalmente delle relazioni speciali con Mosca, che però ha dovuto negli ultimi anni raffreddare per non perdere definitivamente il treno della piena adesione all’Unione Europea.  Una piena adesione che in qualche misura significa, per usare un eufemismo, buoni rapporti con la Nato. Tuttavia il rafforzamento degli euroscettici in tutto il  Vecchio Continente e la concreta possibilità che Trump vinca le elezioni americane hanno fatto riemergere, nel Paese Slavo, la tendenza ad allinearsi con la Russia. Putin forse è davvero pronto a fare ponti d’oro a Vucic ma sa bene che la collocazione geografica della Serbia resta un problema che si trascina dalla Seconda Guerra Mondiale (quando Stalin e Churchill si accordarono per spartirsi la Jugoslavia) ed è improbabile che verrà risolto definitivamente nel prossimo futuro.

La questione georgiana per Putin è, se si vuole, ancora più importante perché si tratta di uno di quei Paesi che per la Russia sono  considerati “vicino estero” e che per secoli sono stati parte integrante dell’Impero Sovietico. Fino a poco tempo fa il piccolo Paese caucasico sembrava destinato all’integrazione europea a fronte anche della disastrosa guerra di annessione condotta dal Cremlino nei suoi confronti nel 2008. Tuttavia il pendolo georgiano ha iniziato da qualche tempo a oscillare verso la Russia.  

Il partito georgiano al potere “Sogno Georgiano” ha annunciato dieci giorni fa l’inizio della sua campagna elettorale (le elezioni parlamentari sono previste per il 26 ottobre). ll messaggio delle autorità al potere è estremamente duro: l’opposizione, in quanto agente del “partito della guerra globale”, deve essere schiacciata elettoralmente e nel futuro dovrà rispondere “dei suoi crimini di fronte al popolo georgiano”, soprattutto per “aver eseguito l’ordine del partito della guerra globale” e cioè “il partito della Ue e degli Usa”.

Il miliardario Bidzina Ivanishvili, fondatore del partito al potere, ha recentemente dichiarato che “il fronte interno della guerra globale” sta ancora esercitando “pressioni su Tbilisi per aprire un secondo fronte contro la Russia”. Non è un caso quindi che il “Sogno Georgiano” abbia fatto approvare recentemente delle leggi che puniscono gli “Agenti Stranieri” e la “propaganda LGBT”, molto simili a quelle già da anni in vigore nella Federazione Russa. Da parte sua il Segretario di Stato americano per la Sicurezza Civile, la Democrazia e i Diritti Umani, Uzra Zea, che ha visitato la Georgia qualche settimana fa, ha dichiarato in un’intervista al portale locale “Civil Georgia” che le autorità statunitensi “sono preoccupate per l’escalation di violenza e le intimidazioni nei confronti della società civile e dei rappresentanti dell’opposizione”. 

Per come è iniziata l’estate in Georgia, i temi delle relazioni russo-georgiane e delle probabilità di nuove esplosioni nell’ex URSS saranno inevitabilmente al centro della campagna elettorale.

I filo-europei di Tblisi sono da tempo in crisi di prospettive, e rischiano davvero una débâcle nelle urne, visto che reiteratamente Bruxelles ha mostrato di non aver fretta nell’integrazione della Georgia nell’Unione sia per i costi economici che la decisione avrebbe, sia per la tradizionale instabilità politico-sociale della Regione nel suo complesso (vedi Armenia).

Sembra così che in questa caldissima estate moscovita, nello scontro con l’Europa giochi a favore di Putin non tanto il suo proverbiale tatticismo, quanto l’incertezza di Bruxelles. Così, sempre di più, Volodimyr Zelensky sembra destinato a diventare un’inevitabile vittima sacrificale.

Nell’immagine: sostenitori di Sogno georgiano a Tbilisi (fotografia di Anna Woźniak)

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