Morti a quota 999, il Ticino è un hotspot
Con 283 morti su 100’000 abitanti sarebbe al 5° posto nella classifica mondiale
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Con 283 morti su 100’000 abitanti sarebbe al 5° posto nella classifica mondiale
È il numero di morti per il SARS-CoV-19 in Ticino, raggiunto, dopo una lunga pausa, dall’arrivo della «nuova (4ª?) ondata»: siamo a 283 morti su 100’000 abitanti. In Svizzera sono 127, in Italia 214. Il Ticino sarebbe al 5° posto nella lista degli Stati della John Hopkins University, dopo Perù (609), Ungheria (308), Bosnia Erzegovina (296) e Cechia (285). Siamo un hotspot: una piccola regione con molte vittime. 350 nella primavera dell’anno scorso: per i molti morti in case anziani, non protetti a sufficienza, per la vicinanza con il focolaio italiano e il carnevale… si è detto. Poi però altre 645 durante lo scorso inverno, senza spiegazioni se non «voglia di libertà» e minore autodisciplina.
Dati John Hopkins University [inserimento Ticino della redazione]
Cercando questi dati sui siti delle autorità sanitarie e delle università, non ho trovato – grazie agli algoritmi che scelgono le fonti più apprezzate – quanto citato ogni giorno sui social media dagli scettici: interviste con premi Nobel, professori, medici che esprimono la loro opinione, senza affrontare il dibattito scientifico, basato su dati e non su episodi aneddotici. Sorgono due domande: come mai così tante persone oggi non hanno idea del metodo scientifico? E perché l’informazione, nelle bolle negazioniste, ma anche sui media tradizionali, è così caotica? La natura e la diffusione del virus SARS-CoV-2 sono un ottimo esempio di come la scienza affronta una situazione nuova. Il virus e la malattia da lui causata non erano conosciuti: i dati, spesso raccolti su gruppi poco numerosi, sono a volte contrastanti, le terapie sono testate man mano che la malattia si diffonde. Chi non è preparato vi legge confusione e contraddizione «ognuno dice tutto e il contrario di tutto». Si tratta invece del normale modo di lavorare degli scienziati. All’inizio per esempio si temeva il contagio con le goccioline degli starnuti e dei colpi di tosse. Qualcuno avanzava già l’ipotesi che anche gli aerosol (goccioline microscopiche, trasportate dall’aria) potessero avere un ruolo importante. Ipotesi non accolta con molto interesse dalla comunità scientifica perché in contrasto con i modelli dominanti. Poi, nonostante le difficoltà sperimentali, quando ci sono di mezzo persone umane, i dati non hanno permesso altra interpretazione. Per dire che è vero che c’è una certa inerzia, ma che chi dispone di dati certi vede puoi accolte le sue ipotesi. A differenza dei vari «superesperti» sempre pronti a gridare al complotto, quando i loro dati aneddotici non trovano rispondenza.
E così ci troviamo con solo il 55% di vaccinati in Ticino (anche se agli inizi della campagna, molte voci si erano levate criticando la lentezza del Consiglio federale nell’approvvigionamento di vaccini). L’ondata già iniziata, anche a causa di mutazioni più aggressive, potrebbe portarci alla situazione iniziale, quando è stato necessaria una chiusura totale. La vera discriminazione sarebbe allora se chi è vaccinato dovesse subire un altro lockdown. Più corretto, nonostante i dubbi dei filosofi, limitare certe attività più rischiose a chi non è vaccinato.
Oltre a portare avanti da noi una campagna di vaccinazione convincente, è indispensabile agire in quei paesi dove il tasso di vaccinazione non raggiunge il 10%: regalando vaccini o diminuendone il prezzo, limitando l’effetto dei brevetti.
Per questo grande bacino andranno trovate forme di convivenza con il SARS-CoV-2, come con il tetano (vaccinazione di richiamo sempre pronta in caso di ferite), con l’HIV (protezione e terapie che prolungano la vita) o con l’influenza stagionale (vaccini ripetuti). Raggiungere un alto tasso di vaccinazione è però l’unica via per trovare una certa normalità.
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