Nove minuti che hanno cambiato l’America

Nove minuti che hanno cambiato l’America

Lo storico verdetto contro l'ex agente che ha ucciso George Floyd e il futuro dell'antirazzismo in America


Andrea Vosti
Andrea Vosti
Nove minuti che hanno cambiato...

Guilty, colpevole. Una parola scandita per tre volte dentro l’aula del tribunale di Minneapolis, come tre erano i capi di imputazione nei confronti dell’ex agente di polizia Derek Chauvin, giudicato responsabile della morte di George Floyd: omicidio colposo, omicidio involontario di secondo grado e omicidio di terzo grado. Tra otto settimane il giudice stabilirà la sua pena, con Chauvin che rischia fino a 40 anni di carcere.

40 anni di prigione per quegli 8 minuti e 46 secondi con il ginocchio premuto sul collo di Floyd che hanno indignato, risvegliato e forse cambiato l’America. Forse, perché la sentenza di colpevolezza non elimina certo le discriminazioni razziali e il razzismo sistemico negli Stati Uniti – presenti in ogni ambito della società, dalla brutalità della polizia all’accesso a cure sanitarie.

Ma il verdetto di Minneapolis rappresenta comunque un “passo gigante” verso la giustizia per tutti, come ha detto il presidente Joe Biden rivolgendosi alla nazione in diretta televisiva, perché interrompe il vergognoso ciclo dell’omertà e dell’impunità: dal 2005, secondo una statistica tenuta da Vox, soltanto sette agenti di polizia sono stati incriminati e condannati per omicidio, e questo benché ogni anno centinaia di persone perdano la vita per l’uso eccessivo della forza da parte degli agenti. Il messaggio è chiaro: donne e uomini in uniforme non sono al di sopra della legge.

La condanna di Chauvin, per nulla scontata malgrado il video straziante che inchioda l’ex agente, è importante anche per un altro motivo: di fronte all’inaccettabile gratuità della violenza – George Floyd era disarmato e aveva comprato un pacchetto di sigarette con una banconota da 20 dollari falsa – per la prima volta le istituzioni si sono schierate dalla parte della vittima. E questo è stato evidente soprattutto con l’elezione di Joe Biden e di Kamala Harris: se l’anno scorso Donald Trump aveva bollato i manifestanti Black Lives Matter come “estremisti” e minacciato di dispiegare la guardia nazionale, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha denunciato il razzismo sistemico come una “macchia sull’anima dell’America”.

Di una cosa gli attivisti per i diritti civili sono però concordi: il verdetto di colpevolezza contro Chauvin non deve costituire un punto di arrivo, bensì offrire l’occasione per un nuovo inizio nel lungo e tortuoso percorso verso una società davvero post-razziale. E che la strada sia tutta in salita lo dimostra l’ennesima tragica coincidenza: mentre a Minneapolis il giudice leggeva la sentenza, in Ohio una quindicenne afroamericana veniva uccisa da un agente di polizia bianco.

Rest in peace, George Floyd, riposa in pace: forse non hai cambiato l’America, ma almeno ne hai risvegliato la coscienza.

Andrea Vosti è giornalista e autore di “America First. Cronaca, storie e aneddoti di un paese in crisi di identità”, Armando Dadò editore

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