Le immagini e le notizie che dovrebbero interrogarci ma non per tacere

Le immagini e le notizie che dovrebbero interrogarci ma non per tacere

Di fronte alle stragi in Medio Oriente, e alla punizione collettiva inflitta da Israele ai palestinesi di Gaza, come possiamo ancora parlare di umanità o civiltà?


Fulvio Poletti
Fulvio Poletti
Le immagini e le notizie che dovrebbero...

“Purtroppo il mondo non ha più coscienza”. Si tratta delle conclusioni cui giunge Suleiman Tawfik al Wafa, medico di Jenin e padre di Basel, ragazzo di 15 anni freddato insieme a un bambino di 8 anni dall’esercito israeliano, mentre si stava ritirando dopo un’incursione nel Campo profughi di quella cittadina della Cisgiordania. Il padre assicura che Basel non militava in alcun gruppo terroristico e che stava giocando insieme a degli amici più piccoli per strada. La vicenda è raccontata in uno dei bei servizi di Emiliano Boss andato in onda al TG delle 20 della RSI, il 30 dicembre.

Le immagini e le notizie di queste ultime settimane, dopo il barbarico attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, del tutto esecrabile, sono raccapriccianti e fanno sorgere la domanda: ma in che mondo viviamo? Con quale pudore riusciamo ancora a parlare di umanità o di civiltà?

Penso ad esempio ai due piccoli fratellini disseppelliti a mani nude da sotto le macerie dopo lo sbriciolamento del loro palazzo provocato dalle micidiali bombe lanciate a tappeto e indiscriminatamente su tutta la Striscia da Tsahal (con la beffa e il crudele gioco di intimare alla popolazione civile di spostarsi da nord a sud della Striscia per salvarsi e non incappare nelle operazioni belliche, per poi prenderli comunque di mira mentre ammassati all’inverosimile nei pressi del valico confinario di Rafah lottano ogni giorno per la sopravvivenza e per trovare uno spazio dove stare): impressionante vedere la loro compostezza, senza piangere, un po’ attoniti, ma come se fosse “normale” quanto succede loro. O forse è semplicemente lo shock insopportabile per un bambino cui han  sottratto persino lo sfogo delle lacrime e della disperazione ,  che raccoglie tutta dentro di sé, in un silenzio tombale. 

Moltissimi di questi bimbi si sono ritrovati in un attimo soli, dopo essere riemersi da calcinacci, detriti, rovine… per scoprire che madre, padre, fratelli, sorelle, zii, non c’erano più. Altri hanno visto genitori, fratelli, parenti trattati come bestie: denudati e caricati a forza su camion, le mani legate dietro la schiena, a testa china, radunati in campi di raccolta ed esibiti come trofei. Oppure, in Cisgiordania, hanno assistito alle violente aggressioni perpetrate da coloni inferociti che hanno scacciato dalle proprie terre famiglie palestinesi che le occupavano da sempre per allevare greggi e coltivare ortaggi e frutteti, unica fonte di sostentamento.

Quali sentimenti nutriranno le nuove generazioni – sempre ammesso che riusciranno a giungere all’età adulta –, crescendo in mezzo a un cumulo di macerie e in una devastazione totale, dove il procacciarsi il cibo, l’acqua e i beni di prima necessità diventa un’impresa giornaliera titanica? Una lotta continua per la sopravvivenza, con il sentimento di essere abbandonati da tutti, che di giorno in giorno si fa vieppiù una certezza, giacché gli aiuti umanitari non arrivano o giungono col contagocce, in termini assolutamente insufficienti. Ormai la quasi totalità dei gazawi risulta altamente sottonutrita e vi è il concreto incombere di malattie ed epidemie dovute all’indisponibilità di acqua non infetta.

Mentre la guerra sul campo ed elettronica, ad alta densità tecnologica continua, con l’uso di bombe potentissime, droni sofisticati, razzi teleguidati, blindati di ogni tipo, armi e proiettili micidiali, in un fazzoletto di terra dove la “prigione a cielo aperto” diventa sempre più una trappola di morte, in cui si esperisce il proprio annientamento, come punizione collettiva inflitta a un popolo intero.

Viene pure messa in atto la cosiddetta ‘intelligenza artificiale’ al servizio dell’apparato militare e delle intenzionalità bellici, che conferisce una parvenza scientifica alle operazioni condotte creando un’aura di legittimazione alla volontà di distruggere il nemico ad ogni costo, privandolo di qualsiasi connotazione umana. È la disumanizzazione dell’altro – data dalle umiliazioni inflitte, dall’esibizione di una forza smisurata, dall’arroganza di non sentire ragione che induca alla moderazione reattiva, dalla tracotanza di sentirsi sempre nel giusto e al di sopra di qualsiasi autorità morale –, di chi sta nel campo avverso, senza distinzioni di sorta, è una pratica ancestrale per giustificare qualsiasi mezzo e nefandezza, perché ciò che conta è annientarlo ad ogni costo come entità globale e indifferenziata.

Emblematiche le parole di un ufficiale dell’esercito israeliano, il quale in un’intervista rilasciata ai media del suo paese distingue fra i “barbari di Hamas” che lanciano razzi alla cieca sulle città israeliane e Tsahal che, incarnando la civiltà, non sgozza i civili, bensì lancia bombe scegliendo i bersagli con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. È stato così elaborato un programma denominato Habsora (Vangelo – !?) capace di generare automaticamente i suoi obiettivi e funzionante alla stregua di una ‘fabbrica del massacro’ (mass assassination factory). «Nulla accade per caso – spiega l’ufficiale – quando una bambina di tre anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che non era un grosso problema ucciderla, che era un prezzo da pagare per colpire un altro obiettivo. Noi non siamo Hamas. Questi non sono razzi casuali. Tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti danni collaterali ci sono in ogni casa» (vedi articolo di Enzo Traverso, riproposto da “Naufraghi/e” il 19 dicembre scorso).

Il che significa che gli oltre 20’000 morti palestinesi sono stati deliberatamente e intenzionalmente pianificati e voluti dal governo e dai vertici militari ebraici, per cui ricade su di loro una responsabilità etica diretta sull’elevatissimo numero di perdite civili (soprattutto donne e bambini), sempre ammesso non si voglia rifilare all’intelligenza artificiale la valenza morale delle conseguenze distruttive e impietose dei danni collaterali insiti nelle operazioni in corso.

Gli obiettivi principali e assoluti di quest’ultime – prima ancora di salvare gli ostaggi, verso i quali sin dall’inizio le istanze governative di Tel Aviv hanno dimostrato scarsa empatia – consistono, perlomeno nelle dichiarazioni ufficiali di Netanyahu, nel distruggere Hamas, smilitarizzare la Striscia e “deradicalizzare” il popolo palestinese.

Sotto sotto però, ma nemmeno troppo velatamente, il vero scopo sembra essere quello di cercare di deportare quanto rimane della popolazione palestinese insediata nella Striscia di Gaza e possibilmente anche quella della Cisgiordania verso la penisola del Sinai, in territorio egiziano, o in altri paesi islamici confnanti, così da liberare una volta per tutte l’intera Giudea dalla presenza araba, affinché sia a totale disposizione della componente ebraica della regione. Un vero e proprio disegno di pulizia etnica. 

I metodi adottati, sia prima sia dopo gli eventi del 7 ottobre scorso, invece di un annullamento delle potenzialità resistenziali dei palestinesi, sembrano proprio andare nella direzione di spingere verso un’ulteriore e più acuta radicalizzazione dei palestinesi, a seguito del trattamento a loro riservato. 

Da pochi giorni ci ha lasciati Dick Marty, il quale così si esprimeva sulla questione palestinese in un’intervista apparsa su “Azione” il 13.11.2023: «La tragedia della Palestina è sempre stata per me l’esempio apodittico dell’ingiustizia fatta subire a un popolo sia dal mondo occidentale sia da quello arabo. Una vicenda che comincia nel 1916 quando Francia e Regno Unito si dividono il Medio Oriente senza evidentemente chiedere il parere degli abitanti. Poi la promessa degli Inglesi di prevedere un territorio per gli ebrei, su di un territorio occupato da altri da cui furono cacciati nel 1948 con atti che oggi si definirebbero terroristici e di crimini contro l’umanità. E infine, e soprattutto, l’immane tragedia della Shoah, una delle peggiori di tutta la storia dell’umanità (ad opera di cristiani!). Credo che la nostra visione del problema sia offuscata dal tremendo rimorso per quanto capitato durante la guerra nei confronti degli ebrei, vittime dei nazisti, ma anche dall’indifferenza e dal silenzio di molti (Hannah Arendt parla dell’Eloquenza del diavolo, denunciando anche il silenzio di organizzazioni ebraiche americane), dal rifiuto di Paesi che hanno rifiutato di accoglierli. Uomini di Hamas hanno commesso atti ignobili e vanno considerati come degli assassini. Ma oggi il nemico principale di Israele è il suo Primo ministro, Netanyahu: da anni non solo tollera Hamas, ma come da lui stesso dichiarato (e mi stupisco che i nostri media siano silenti su questo aspetto) ha autorizzato il suo finanziamento da parte del Qatar. Suo scopo era di dividere i Palestinesi, impedire la soluzione dei due Stati e lasciar progredire l’insediamento dei coloni nei territori illegalmente occupati. Netanyahu si aggrappa al governo per sfuggire a un processo per corruzione. Intanto l’apprendista stregone ha creato due mostri: Hamas e il proprio governo, razzista e disumano. E tutti stanno a guardare come decine di risoluzioni dell’ONU sono sistematicamente violate, quasi che certi bambini morti valgano meno di altri».

È così che si vuole continuare a combattere il terrorismo, la radicalizzazione, le sommosse e le rivolte intercalantesi a decenni di soprusi e vessazioni? Cosa faremmo noi se, invece di stare ben comodi suoi nostri divani, con le pance piene, con i piedi bene al caldo e un tetto sopra la testa, ci trovassimo nell’inferno di Gaza?

Verosimilmente, con la nostra inazione, stiamo incubando una nuova generazione che potrebbe un giorno reagire in maniera ancora più virulenta di quanto abbiamo visto. Quando si è disperati, inascoltati e non si ha più nulla da perdere perché si è perso ogni cosa, si è disposti a tutto o ci si mette nelle mani di coloro che, pur improponibili, sembrano gli unici che ci stanno a sentire e addirittura si “immolano” per la causa della liberazione.

Per ritornare alla figura di Dick Marty, più volte rievocata in questi giorni, desidero riprendere soltanto uno dei suoi impegni internazionali più significativi, allorché fu alla testa di una commissione del Consiglio d’Europa incaricata di indagare circa le pratiche illegali adottate dagli Stati Uniti, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, quando il capo della Casa Bianca conferì alla CIA il potere di rapire e torturare sospetti di terrorismo – con accordi segreti presi sottobanco con alcuni governi, anche europei, nonché mediante le cosiddette ‘extraordinary rendition’ e le ‘tecniche di interrogatorio rinforzato’ –, in aperta violazione delle convenzioni sui diritti umani.

Con uno sparuto gruppo di collaboratori, con pochissimi mezzi a disposizione e senza una reale collaborazione delle autorità elvetiche (“Io ho avuto la netta impressione che certe cerchie della Berna ufficiale vedessero di cattivo occhio il mio mandato, perché pensavano che poteva turbare i rapporti con gli Stati Uniti. Io non ho avuto il minimo sostegno (…) le sole informazioni che io ho chiesto si sono rivelate assolutamente sbagliate”, parole pronunciate nel corso della trasmissione ‘Dick Marty: un grido per la giustizia’, RSI 2018) egli ha condotto un’inchiesta esemplare, producendo due rapporti di grande valore che hanno messo in evidenza, con metodo rigoroso e inconfutabile, certe pratiche assolutamente contrarie ai diritti fondamentali e alle convenzioni internazionali.

Non un antiamericanismo o un antioccidentalismo prevenuto, ingenuo o ideologico, bensì la forza di perorare, senza condizionamenti, la ricerca della verità e di affermare i valori e i principi democratici su cui si fondano (o dovrebbero ergersi) gli stati europei e occidentali più in generale, nella convinzione che solo nella salvaguardia dei medesimi, soprattutto all’interno dello stesso alveo dove sono stati coniati, si racchiude l’essenza di un’effettiva credibilità del quadro assiologico e degli orizzonti politico-istituzionali ai quali diciamo di ispirarci idealmente.

Ritengo tale atteggiamento di fondo dell’ex magistrato e politico ticinese, paradigmatico di un’etica laica, di una radicalità del portato liberale, di un pensiero libero e critico, nell’impegno civile per la giustizia sociale e a difesa dei diritti umani e fondamentali, a sostegno soprattutto di chi non ha voce in capitolo e viene prevaricato dalle potenze di turno o dalle forze dominanti.

La Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha reso noto che il Sudafrica ha denunciato Israele per atti di genocidio commessi a Gaza contro i palestinesi. Accusa che lo stato ebraico ha respinto “con disgusto”, dimostrando la solita arroganza auto-assolutoria.

Chissà se riusciremo a ritrovare un po’ di coraggio e spinta propositiva per esercitare un minimo di pressione su Israele, unitamente agli inossidabili alleati USA (che ormai abbiamo capito essere gi unici che possono avere qualche chance di indurre il governo Netanyahu a più miti consigli), uscendo da quell’omertoso e acritico allineamento per paura di qualche ripercussione negativa soprattutto sui nostri affari o tornaconti. Ne andrebbe della nostra credibilità e visibilità, nel riconoscimento di un ruolo sul palcoscenico geopolitico, che ci vede spesso impallidire per assenza di progettualità o prese di posizione, magari anche solo sostenendo o votando a favore di iniziative altrui.

Gli “amici” non vanno solo blanditi o riveriti, ma anche talvolta ripresi per consolidare quei legami che sulla franchezza rendono un’alleanza solida e in continua evoluzione migliorativa, per ristabilire sempre di nuovo quell’orizzonte intenzionale e valoriale da condividere e che non è mai raggiunto appieno e perciò va coltivato continuamente, anche superando qualche screzio e conflitto.

Purtroppo la voce stimolante e fustigatrice di Dick Marty si è spenta, così come quella di Antonio Gramsci (“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”, 1917) e di Stéphane Hessel (‘Indignatevi!”, 2011), solo per fare qualche esempio.

Al termine di questo anno triste e all’alba di quello nuovo che non appare tanto migliore, alla luce (o nelle tenebre) di quanto ci scorre sotto gli occhi quotidianamente, non brinderò, vergognandomi profondamente per la pusillanimità nostra, dei nostri paesi cosiddetti democratici e dell’immobilità paralizzante degli organismi internazionali ostaggi dei veti incrociati. 

E chiedo scusa al popolo palestinese per averlo lasciato solo in condizioni terribili, come peraltro è già successo molte altre volte per siriani, iracheni, libanesi, afgani, ceceni, armeni del Nagorno-Karabakh, e tanti, troppi altri popoli.

Nell’immagine: esempi d’uso del sistema militare Habsora

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