Il Ticino maglia nera per salari  e adeguamenti al caro vita

Il Ticino maglia nera per salari e adeguamenti al caro vita

l’Ufficio federale di statistica conferma la crescita delle disparità salariali del Cantone rispetto al resto della Svizzera: nel 2022 salario mediano oltre Gottardo di 6.788 franchi, in Ticino di 5.590. Analisi e prospettive


Spartaco Greppi
Spartaco Greppi
Il Ticino maglia nera per salari e...

I risultati dell’Inchiesta svizzera sulla struttura dei salari non offrono buone notizie nel complesso. Non emerge una tendenza al miglioramento generale, ad eccezione del ravvicinamento tra le remunerazioni delle donne e degli uomini. Tuttavia, la struttura salariale, la piramide dei salari, rimane stabile nel periodo compreso tra il 2008 e il 2022. Nel frattempo, le condizioni economiche si sono deteriorate, con l’aumento dell’inflazione e delle spese obbligatorie, in particolare quelle per l’assicurazione contro le malattie. Questi fattori colpiscono maggiormente la classe media, che ha maggiori difficoltà ad accedere alle prestazioni sociali riservate a coloro in situazioni più precarie e ha visto un aumento delle remunerazioni inferiore rispetto ad altre classi.

Inoltre, la struttura dei salari riflette la struttura produttiva e le notevoli disparità tra settori. Ciò incide sulla struttura dei salari del Ticino, regione caratterizzata da un elevato numero di aziende attive in settori a basso valore aggiunto e con un’elevata incidenza di bassi salari.

Probabilmente, i salari dei frontalieri influenzano questa struttura produttiva, che a sua volta ne favorisce l’assunzione. La presenza di una numerosa forza lavoro transfrontaliera, attratta da un mercato del lavoro dinamico ma con debolezze contrattuali, ha un impatto significativo sull’economia e sulla struttura salariale del paese.

È tuttavia del tutto inopportuno escludere i frontalieri dalla statistica, al solo fine di mostrare un relativo avvicinamento dei salari dei residenti con i salari mediani delle altre regioni svizzere. Questa operazione non ha senso, poiché i frontalieri ci sono e contribuiscono in modo significativo a definire la struttura economica e produttiva del paese. Inoltre, escluderli porterebbe a confronti distorti e poco accurati. Se togliamo da una parte, dobbiamo togliere anche dall’altra. Altrimenti l’operazione non sarebbe solo inconsistente dal punto di vista economico, ma anche fallace da quello statistico. 

Che fare? Per affrontare il problema strutturalmente consolidato messo in rilievo dalla statistica in questione, come da molte altre proposte a livello federale, dovremmo cominciare a considerare seriamente di puntare su un’economia incentrata non solo sull’industria manifatturiera e sull’high tech, ma anche sulla capacità di riproduzione e sviluppo delle forze lavoro del Paese. Il futuro del lavoro risiede nella valorizzazione del lavoro relazionale e umano, oltre che delle tecnologie avanzate. Questo approccio, suggerito da autori come Nick Srnicek e Helen Hester nel loro libro “Dopo il lavoro”, è supportato da tendenze osservate negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove la crescita occupazionale è maggiormente concentrata nei settori dei servizi alla persona e dell’assistenza sanitaria. 

Per promuovere questa transizione, lo Stato dovrebbe svolgere un ruolo attivo, agendo sulle leve a sua disposizione, specialmente nei settori dell’amministrazione pubblica, in quello socio-sanitario, della cultura, dell’istruzione e della ricerca e sviluppo, favorendo quei lavori che hanno al centro il relazionale e danno un tocco umano alle loro attività, il cosiddetto “human touch” dell’economista William J. Baumol: oltre che “high tech”, più “high touch” ben remunerato, per parafrasare Nick Srnicek e Helen Hester. Si dovrebbe inoltre considerare l’implementazione di salari minimi che possano garantire un tenore di vita dignitoso e sostenere i diritti sociali, a cominciare da quelli pensionistici. 

Mentre teoricamente l’introduzione di salari minimi può comportare sia effetti positivi (sulla produttività) che negativi (sui prezzi e sui profitti), le evidenze empiriche non supportano in modo definitivo l’idea che possano danneggiare l’occupazione. Inoltre, a parità di tutte le altre condizioni, aumentare i salari minimi potrebbe portare a maggiori entrate fiscali e minori spese sociali, contribuendo alla crescita economica e al benessere della società. 

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