Tredicesima AVS – Che tipo di società vogliamo?

Tredicesima AVS – Che tipo di società vogliamo?

In votazione una questione cruciale che riguarda il sostegno verso i meno abbienti ed il mantenimento di un primo pilastro le cui sorti non dipendono dall’invecchiamento della popolazione ma dal fatto che si alimenta anche con investimenti finanziari a rischio


Spartaco Greppi
Spartaco Greppi
Tredicesima AVS – Che tipo di società...

L’Assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS) non ha mai sofferto di problemi finanziari in maniera duratura, anche grazie, bene ricordarlo, alle riforme che hanno esteso la sua base contributiva, traducendo una chiara volontà popolare più volte espressa nel corso dei decenni. I problemi più significativi degli ultimi anni, nel 2002 con la crisi di internet e nel 2008 con la crisi dei subprime, sono da imputare all’andamento dei mercati finanziari. L’AVS, infatti, dispone di un capitale che le consente di far fronte ai propri impegni nei periodi in cui le entrate dovessero essere insufficienti a coprire le uscite.

Tale capitale, che per legge deve almeno coprire le uscite di un anno dell’AVS, è gestito da un Fondo che lo investe per maturare degli interessi, esponendosi ai rischi insiti ai mercati finanziari. Le prospettive finanziarie dell’AVS stanno indubbiamente cambiando, ma è importante notare che le ragioni non sono prevalentemente demografiche, bensì economiche, legate alle frequenti crisi dei mercati finanziari e al diffondersi della precarietà, dei bassi salari e della scarsa qualità del lavoro.

Tuttavia, il problema demografico è ancora quello maggiormente evocato a giustificazione di una riforma delle pensioni. La popolazione invecchia, vive più a lungo e in buona salute, si reitera. Un dato che, secondo molti, giustificherebbe un incremento dell’età pensionabile, non tiene però conto del declino secolare delle ore lavorative derivante dai progressi tecnologici e dai miglioramenti nella produttività che hanno contribuito ad aumentare i salari e ridurre i costi dei beni e dei servizi, comprese le attività ricreative di cui i pensionati sono consumatori interessati e interessanti.

Sebbene sia vero che le aspettative di vita si sono allungate notevolmente, è altrettanto vero che questo aumento non è uniforme, e che anche nella morte ci sono forti differenze di classe. Nonostante l’AVS realizzi un’elevata ridistribuzione della ricchezza tra ceti ricchi e ceti modesti, in virtù del fatto che l’ammontare delle rendite è limitato all’interno di una “forchetta” in cui la rendita massima è il doppio di quella minima, consentendo agli assicurati a basso reddito di ricevere rendite più elevate in proporzione a quanto hanno contribuito rispetto ai ceti più abbienti, bisogna però riconoscere che l’effetto ridistributivo reale è limitato dal fatto che la speranza di vita è più elevata per le classi ad alto reddito, che beneficiano mediamente più a lungo della rendita AVS. Una forma di ridistribuzione al contrario, che si inserisce nella logica del funzionamento dell’AVS.

L’AVS è un’assicurazione sociale che protegge tutta la popolazione che versa un “premio”, se del caso con il contributo dei datori di lavoro. Il suo scopo è “coprire adeguatamente il fabbisogno vitale”, scopo che, in assenza di risorse supplementari da parte di chi ne beneficia, raggiunge solo con l’intervento delle Prestazioni complementari (PC), un altro baluardo del cosiddetto primo pilastro della previdenza vecchiaia. Accanto all’AVS, che opera secondo un principio assicurativo (sei tutelato dall’assicurazione se contribuisci al suo finanziamento) e universalistico (l’obbligo di affiliazione è esteso a tutta la popolazione residente), operano le PC che invece funzionano in maniera selettiva, indirizzando i propri interventi a chi ha risorse considerate insufficienti dalla normativa.

Ecco perché un aumento delle rendite AVS, anche in forma di tredicesima rendita, non può che andare indistintamente a beneficio di tutti e tutte. Tutti e tutte pagano e tutti e tutte hanno diritto a beneficiarne. Un principio semplice, giustamente e opportunamente richiamato da Giuseppe Sergi in un contributo apparso su ‘laRegione’ e ripreso il 16 febbraio da questo sito. Non si capisce perché lo si voglia mettere in discussione, e questo dopo aver difeso sgravi fiscali ad annaffiatoio che tendono a favorire i redditi elevati, piuttosto che aver offerto un reale sostegno alle fasce più deboli della società, incluse quelle, relativamente povere, che sono esonerate dal pagamento delle imposte e che perciò non beneficiano di alcuno sgravio fiscale.

Ma che beneficerebbero della tredicesima rendita AVS! A chi sostiene di rafforzare le PC, anziché distribuire a tutti e tutte una tredicesima rendita AVS, si ricorda che a causa delle recenti misure di risparmio adottate a livello federale, numerosi beneficiari non beneficeranno più o beneficeranno di meno prestazioni, per un risparmio lordo di quasi mezzo miliardo all’anno da qui al 2030. Inoltre, le PC vanno a beneficio di coloro che hanno risorse modeste, ignorando, tra le altre, proprio quelle classi medie che si dice di voler rappresentare e difendere. Infine, puntare sulla selettività, addirittura estendendola, dopo averne ridotta la generosità, significa rafforzare l’idea che esiste una fascia di popolazione che non ce la fa con i propri mezzi e che ha bisogno di un aiuto mirato e perciò stesso stigmatizzante.

I cambiamenti demografici, insieme alle fluttuazioni dei rendimenti finanziari che influenzano il Fondo di compensazione dell’AVS, sono considerati ineluttabili e spingono a misure volte a garantire l’equilibrio tra entrate e uscite, a scapito della generosità nei confronti degli assicurati.

Tuttavia, i pensionati contribuiscono anche alla domanda di beni e servizi, e mantenere basse le erogazioni non favorisce l’economia. A livello macroeconomico, la pensione sostiene il reddito individuale nel periodo finale della vita e contribuisce a sostenere la domanda globale, anche se mediamente le prestazioni in denaro dell’AVS, circa 1870 franchi al mese, sono modeste.

L’approvazione di una tredicesima rendita AVS solleva indubbiamente la questione del finanziamento, che spetterà al Parlamento dirimere. Un’opzione potrebbe essere un aumento dei contributi dei dipendenti, per esempio. In questo caso, nel primo anno d’introduzione della tredicesima rendita AVS, i contributi dei dipendenti e dei datori di lavoro aumenterebbero complessivamente dall’attuale 8,7% al 9,4%, secondo le stime della Confederazione. Anche una combinazione di fonti di finanziamento, incluso l’aumento della quota dello Stato attraverso una riallocazione o un’estensione delle risorse fiscali, appare ragionevole, innanzitutto in considerazione delle crescenti disuguaglianze e dei risparmi operati recentemente, anche attraverso l’aumento dell’età di pensionamento delle donne.

Se vogliamo una società più egualitaria e solidale e meno ingiusta, occorre ricominciare ad occuparci seriamente di chi non sta bene e fa fatica, come peraltro ci invita a fare la Costituzione federale.

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