Quella parità che ancora non c’è

Quella parità che ancora non c’è

Per la Costituzione, a pari lavoro uomini e donne devono ricevere lo stesso stipendio, ma in Svizzera ancora non è così - Di Luigi Maffezzoli


Redazione
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Quella parità che ancora non c’è

La parità salariale tra uomini e donne è iscritta nella Costituzione federale dal 1981. Non solo: è pure specificata nella legge federale sulla parità dei sessi entrata in vigore nel 1996. La parità salariale è quindi un obbligo che si applica in tutte le relazioni di lavoro, sia nei rapporti di lavoro di diritto privato, sia in quelli di diritto pubblico. Sapete cosa succede a quei datori di lavoro che non rispettano questa legge e non applicano la Costituzione? Niente. Assolutamente niente.

In Ticino nel 2020, i dati sulla disparità salariale mostrano una differenza tra uomo e donna del 14% (calcolando non proprio la media che sarebbe più alta ma, semplificando, una sorta di via di mezzo, denominata “mediana”). In Svizzera, la percentuale scende al 10.8% con punte però del 17% per i quadri dirigenti (in realtà, un altro dato che analizza la media dei salari, e non la “mediana”, parla del 19%!). Eppure, non si ha notizia di denunce e processi nei confronti di chi non rispetta la legge in questo settore. In pratica, chi vìola questa legge resta impunito.

Non solo. Se in Svizzera una parte della disparità la si può spiegare con una diversa composizione della manodopera femminile, in Ticino – secondo l’Ufficio statistica – la disparità risulta totalmente inspiegabile. Cioè, non si capisce perché a parità di età, mansioni, orari di lavoro, le donne debbano prendere il 14% in meno dei loro colleghi uomini. È pur vero che nel 2020 la revisione della legge sulla parità dei sessi – introdotta appunto nel 1996 – obbliga le aziende con più di 100 dipendenti a condurre un’analisi sull’applicazione della parità di salario. I datori di lavoro, cioè, devono individuare eventuali disparità di trattamento tra donne e uomini, farle verificare da un organo indipendente, e informare dei risultati entro il 30 giugno di quest’anno, tutti i propri dipendenti.

Probabilmente se ne vedranno delle belle, e lavoratrici e lavoratori non devono lasciarsi scappare questa opportunità per denunciare eventuali discriminazioni, anche se – come dicevamo – queste denunce non porteranno a niente. Il limite di questa revisione di legge è proprio questo: non prevede alcuna sanzione nei confronti di quei datori di lavoro che discriminano le donne sotto il profilo salariale. A cosa serve allora? Sicuramente a sensibilizzare i dipendenti su un aspetto – quello salariale – che è sempre stato un tabù (meglio non far sapere al collega quanto si prende in busta paga…) trasformandolo in occasione di confronto e di rivendicazione in favore delle donne.
Ma, attenzione: stiamo parlando soltanto delle aziende più grosse, quelle con più di cento dipendenti, dove spesso la presenza sindacale è già attiva e il controllo è già in parte possibile. Tutte le altre – tantissime – piccole e medie imprese restano fuori da questa riforma e potranno continuare a fare il bello e il cattivo tempo senza che nessuno chieda loro di mostrare i libri paga, e quindi di analizzare, verificare e informare, come si chiede invece alle aziende più grosse.

A rimetterci, alla fine, sono tutti, persino i datori di lavoro che pensano di risparmiare qualche franco sulle spalle delle donne. La parità salariale infatti sarebbe vantaggiosa, non solo per le donne e le loro famiglie, ma anche per l’economia e la società nel loro insieme. A dirlo è la stessa amministrazione cantonale, affermando che la parità salariale tra donne e uomini “costituisce un notevole incentivo al (re)inserimento e alla permanenza delle donne sul mercato del lavoro ed è quindi vantaggiosa anche per le aziende”.

Riducendo lo scarto salariale tra i sessi, si offre alle coppie la possibilità di ripartirsi in modo più equilibrato l’attività professionale (remunerata) e il lavoro domestico e di cura (non remunerato, che si fa gratuitamente a casa propria) senza che debbano subire perdite dal profilo finanziario. Parità salariale è sinonimo di pari opportunità e di libera scelta dei modelli familiari e professionali più adatti a ciascuno. Queste ingiustizie devono finire. Ce ne siamo accorti durante la pandemia di quanto il lavoro delle donne proprio nei settori delle cure, dell’educazione e della sanità sia stato fondamentale per tutti noi. È venuto il momento di riconoscerlo.

Luigi Maffezzoli è candidato al Gran Consiglio  (Il Centro)

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