Il diritto alla parola

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Una delegazione di rappresentanti di popoli indigeni in viaggio dalla Colombia alla Svizzera per parlare dei propri diritti umani calpestati


Redazione
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Tre minuti non sono niente, se ti devono bastare per spiegare settant’anni di conflitto mai superato, nonostante i numerosi accordi di pace firmati. Se vuoi far capire che il tuo popolo, di cui sei uno degli ultimi a padroneggiare la lingua, è ufficialmente a rischio di sterminio fisico e culturale. Se hai 31 anni e hai già subito sette tentativi di omicidio da quando hai scelto di dirigere un gruppo di persone che difendono il territorio dal narcotraffico, dai gruppi paramilitari e dalle multinazionali, il tutto senza l’uso della violenza.

Oveimar Tenorio durante una seduta del Meccanismo di esperti sui diritti dei popoli indigeni

L’avvocato Francisco Henao, il rappresentante del popolo Je’eruriwa Oswaldo Rodriguez Macuna (Ipurepi, nella sua lingua), il coordinatore della Guardia indigena del Cauca Oveimar Tenorio hanno fatto esattamente questo, nel corso dell’ultima settimana: hanno partecipato a innumerevoli incontri, riunioni, sessioni, nell’ambito della 17esima sessione del Meccanismo di esperti sui diritti dei popoli indigeni dell’ONU che si è tenuta dall’8 al 12 luglio a Ginevra. Per rivolgersi all’assemblea avevano esattamente tre minuti di tempo, non un secondo in più.

Ma valeva comunque il lungo viaggio, ci assicurano: “Il Meccanismo di esperti sui diritti dei popoli indigeni è ben lungi dall’essere perfetto, ma resta un momento importante per i rappresentanti dei popoli indigeni di varie parti del mondo, che qui si incontrano e portano la testimonianza di cosa succede nelle loro terre – ci spiega Tullio Togni, cooperante di Comundo in Colombia, che ha accompagnato questa delegazione colombiana nel suo tour svizzero e che abbiamo incontrato a Ginevra – Non ci si aspettano risposte immediate, ma c’è una grande volontà di condividere e rendere pubbliche le situazioni che stanno vivendo, sperando che chi ne ha il potere faccia qualcosa”.

“È così, – gli fa eco Oveimar Tenorio – l’esempio della Guardia indigena, 12’000 membri tra uomini, donne, bambine e bambini, persone anziane, non è preso in considerazione dal Governo colombiano nella costruzione della pace. Noi vogliamo ribadire che siamo coscienti che forse dovremo dare la vita per la nostra terra, ma non siamo disposti ad allontanarci dai nostri valori ancestrali: quando siamo uniti ci sentiamo forti e agiamo con il potere della parola dei nostri antenati”.

Ipurepi con l’ambasciatore colombiano a Ginevra Gustavo Gallón (a destra) e il consigliere Ramón Maria Muñoz Castro (a sinistra)

Agli antenati si rivolge anche Ipurepi, che è capo spirituale del suo popolo: “Abbiamo conoscenze ancestrali che ci permettono di vivere in armonia con gli elementi e dare un futuro al nostro mondo. Ma se ci allontaniamo dal nostro cammino, non arriviamo da nessuna parte”. Lo sa bene lui, che ha vissuto personalmente più fasi di sfollamento forzato, che a causa dell’incontro (contaminazione, la chiama) con l’uomo bianco non aveva più diritto di vivere secondo le credenze del suo popolo, che non poteva nemmeno più parlare la sua lingua: “Alla scuola cattolica, che eravamo obbligati a frequentare, era proibita”. Ipurepi però non ha dimenticato. E non dovrebbero farlo neppure i tribunali colombiani, aggiunge Francisco Henao, avvocato per una corporazione giuridica in cui lavora la cooperante di Comundo Laura Kleiner: “Abbiamo documentato innumerevoli casi di violazione dei diritti umani: oltre agli sfollamenti ci sono il reclutamento forzato, gli assassinii, la tortura. Spesso si conoscono i responsabili, ma non vengono processati. Gli interessi sono troppi”.

Il lavoro può essere sfiancante, conferma Laura Kleiner: “Con la corporazione giuridica presentiamo continuamente istanze alle organizzazioni competenti a livello nazionale. Gli strumenti giuridici ci sono, ma non vengono applicati e nemmeno le convenzioni internazionali sono rispettate”. Ma la speranza in un cambiamento non manca: “Continueremo a lavorare a livello locale, ma attraverso la partecipazione agli incontri dell’ONU speriamo anche di attirare l’attenzione internazionale sulla situazione attuale di migliaia di persone, che è peggiorata negli ultimi anni, con l’aumento della violenza e del conflitto armato”.

Il contributo di Comundo

Francisco Henao (sulla sinistra) e tutta la delegazione a colloquio con l’avvocato specializzato nella difesa dei diritti umani Olivier Petter (sulla destra)

Ecco perché è importante che il lavoro di organizzazioni come Comundo, che finanzia la presenza di Laura e Tullio in Colombia e che ha permesso questo viaggio di sensibilizzazione in Svizzera, possa continuare: “Il mio ruolo all’osservatorio dei diritti umani di un’organizzazione del dipartimento del Cauca che raggruppa 11 popoli indigeni mi permette di raccogliere informazioni di prima mano sulla base delle quali si possono fare delle indagini approfondite” – precisa Tullio. “Quest’anno abbiamo consegnato al relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni un rapporto che conteneva un’analisi del contesto attuale e della violenza socio-politica in cui denunciavamo gli attacchi sistematici all’integrità fisica e alle caratteristiche etno-culturali dei popoli indigeni. Stiamo a vedere cosa succede”.

Sperando che oltre alle denunce e alla repressione, ci sia anche spazio per la guarigione e la ricostruzione: “È necessario cercare la verità, generare memoria su quello che è successo e creare le basi affinché la violenza non si ripeta”, conclude Oveimar. “Ecco perché l’unico strumento che usiamo per contrastare la violenza è la parola. È per questo che siamo venuti qui”.

Nell’immagine: Tullio Togni, Oveimar Tenorio, Oswaldo Rodriguez Macuna (Ipurepi), Laura Kleiner e Francisco Henao davanti alla sede ONU di Ginevra

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