Empatia, compassione, rabbia. Ma alle donne perseguitate non basta

Empatia, compassione, rabbia. Ma alle donne perseguitate non basta

La persecuzione specifica di genere deve essere riconosciuta come motivo di richiesta di asilo


Pepita Vera Conforti
Pepita Vera Conforti
Empatia, compassione, rabbia. Ma alle donne...

Oggi 8 marzo, Giornata internazionale delle donne, sarò alla manifestazione di solidarietà con le donne e ragazze iraniane e con quegli uomini che le hanno sostenute nella loro battaglia di liberazione. Uomini consapevoli che il controllo dei corpi femminili imprigiona anche le loro possibilità di vivere nel mondo.

Sento già le voci che non hanno mancato di esprimersi in più occasioni: “ma dove sono le femministe, quelle che erano contro il divieto del velo?”

Appunto contro il divieto, contro ogni forma di esercizio di controllo delle scelte femminili governate da stati e religioni. Mai sostenuto che il velo fosse simbolo di libertà, e neppure che lo fossero i tacchi a spillo. Nella storia ogni parte del corpo femminile ha turbato i sonni di chi si arrogava il diritto di controllo della vita delle donne: in particolare i capelli da coprire con veli o cuffiette, o tagliati pubblicamente per punire, o ancora i piedi, bendati fino a deformarli.

Ma il velo è stato anche il simbolo delle Madri argentine di Plaza de Mayo. Il problema non è quindi l’indumento, ma sempre e comunque la libertà di scelta, anche quando ai nostri occhi sembrano scelte non in linea con le nostre convinzioni.

Abbiamo bruciato crinoline, corpetti, reggiseni, veli in nome della libertà. Continueremo a bruciare ogni simbolo che concretamente limita la nostra libertà di donne, ma anche questa è una scelta, non un obbligo sancito da chi ci vorrebbe diverse.

Partecipare oggi al sostegno della coraggiosa lotta delle donne iraniane è anche un monito all’immobilismo politico del nostro paese, è chiedere ancora con forza che i delitti di genere siano riconosciuti come motivo di richiesta d’asilo in Europa: stupri sistematici, rapimenti, coercizione da parte di ogni tipo di guardiano della morale, impedimento violento alla scolarizzazione, sono solo alcune delle forme di persecuzione specifica di genere.

Greta Gysin lo scorso 8 marzo 2022 ha chiesto al Consiglio federale se viene effettivamente tenuto in conto il Cpv 2 dell’art. 3 della Legge sull’asilo che recita “Sono pregiudizi seri segnatamente l’esposizione a pericolo della vita, dell’integrità fisica o della libertà, nonché le misure che comportano una pressione psichica insopportabile. Occorre tenere conto dei motivi di fuga specifici della condizione femminile.”

La risposta del Consiglio Federale sembrerebbe rassicurarci, ma al momento non abbiamo dati specifici per capire se e come la specificità della condizione femminile venga presa in considerazione.

Oggi centinaia di donne afgane con i loro figli sono imprigionate nelle carceri pakistane per essere scappate da un regime che le vuole morte, non istruite, senza lavoro. Oggi centinaia di studentesse iraniane sono gassate nelle scuole, imprigionate, picchiate.

Bella ciao è ancora un canto di libertà che commuove il mondo. È fondamentale provare empatia, compassione, rabbia. Ma non potremmo offrire qualcosa in più, come ad esempio garantire una protezione provvisoria alle ragazze e le donne iraniane e afgane? A loro è stata mossa una vera e propria guerra per il fatto di essere nate femmine.

Il Manifesto dello Sciopero femminista del 2023, che sarà presentato al Collettivo di sciopero femminista a Bellinzona questa sera, ribadisce la necessità di una migliore protezione e dell’accesso a tutti i servizi di aiuto alle vittime, perché la pratica della solidarietà si deve concretizzare in politiche di inclusione e di parità. Sarà il mio terzo sciopero nazionale organizzato dalle donne e non mancherò all’appuntamento.

Nell’immagine: bambini e donne afghane rifugiate in Pakistan, arrestate dalla polizia e in attesa di deportazione (fotografia di Jamaima Afridi)

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