Ci sono libri che suscitano semplicemente una sana invidia. Perché si intuisce che chi li ha scritti si è preso tutto il tempo necessario per immaginarli, concepirli, pianificarli, viverli, raccogliere con tutta calma le informazioni tenendo nel contempo bene aperta la porta a eventuali sorprese. Poi la stesura e il confezionamento possono anche essere stati fatti in tempi record, come vogliono le dinamiche commerciali, ma nulla tolgono alla sana impostazione iniziale. E poiché siamo in ambito medievale, verrebbe voglia di parafrasare un celebre titolo di Jacques Le Goff: Tempo della Chiesa, tempo del mercante… e tempo dei due cavalieri solitari della bicicletta Antonini e Ferretti, che muniti persino di stemma araldico che allude alle loro sudate fatiche (è uno dei meriti della grafica del libro) hanno attraversato l’Europa da sud a nord, da Assisi a Bruges, alla ricerca della vera essenza del Continente, spinti da una fascinazione che deve averne alleviato di molto gli sforzi.
Quello di Jacques Le Goff (1924-2014) non è un nome richiamato a caso, perché “Monsieur Moyen âge” è stato davvero il terzo pellegrino silente di questo viaggio; di più, una sorta di Virgilio – come lo chiamano gli autori – che con la sua guida sicura ha dettato i passi con intelligenza in quell’epoca affascinante e tormentata che furono i mille anni tradizionalmente attribuiti all’Età di Mezzo, dal V al XV secolo dell’era cristiana (ma il dibattito è tuttora aperto). Di Le Goff si pubblica alla fine del volume un collage di interviste raccolte a Parigi da Antonini nei suoi ultimi anni di vita, e se affianchiamo le sue parole alle generose pagine introduttive firmate dalla scrittrice Marta Morazzoni e da Federico Fioravanti, l’ideatore del Festival del Medioevo di Gubbio, non possiamo che giungere alla medesima conclusione: il Medioevo non fu l’epoca buia che ci hanno insegnato a scuola. O comunque non solo: basterebbe citare quelle due-tre invenzioni di non poco conto come le università, le cattedrali, le banche, il formato-libro (il codice manoscritto) e poi la stampa a caratteri mobili, senza dimenticare le rivoluzioni agricole e più in generale il rilancio dell’economia internazionale su base borghese che ha rappresentato la vittoria finale della città sul contado (la Svizzera delle origini ne sa qualcosa). Quei mali che per pigrizia, a scuola come nei media, continuiamo ad attribuire al Medioevo – dall’inquisizione spagnola alla caccia alle streghe – sono infatti in gran parte tipici dell’epoca cosiddetta “moderna” (XVI-XVII secolo). Per i dubbiosi consiglio i podcast di Alessandro Barbero che smontano tre falsi miti come quelli dello ius primae noctis, della terra piatta e delle paure dell’anno mille. Tutte invenzioni e misinterpretazioni successive.
Per tornare al libro, introdotto da una presa di posizione che è già una dichiarazione d’intenti (“Sopravvivrà davvero qualcosa della nostra epoca, sfilacciata nelle sue incertezze, nella sua laicità incapace di costruire un’etica alternativa, nel suo approccio individualistico e nella sua struttura liquida”), gli autori hanno individuato un format che funziona molto bene: ognuna delle 33 tappe del viaggio tra l’Umbria e le Fiandre, per un totale di 2’315 chilometri, presenta una piantina, una traccia GPS scaricabile con il cellulare e una cronaca in tempo reale di Ferretti su “come sono andate le cose” dal punto di vista del loro viaggio (non senza simpatici aneddoti e considerazioni pratiche utilissime su ristoranti e alloggi: unico appunto, il libro è un mattone da comodino e non una pratica guidina tascabile…); a seguire, le pagine di Antonini sui principali monumenti e i fatti storici che caratterizzano i luoghi attraversati in giornata. Cercarli sulla mappa dell’Europa è un vero piacere: si incontrano luoghi irrinunciabili (Assisi, Perugia, Arezzo, Siena, Lucca, poi Lucerna e Berna, Beaune, Digione, Reims, Gand, Bruges) e altri in cui si inciampa quasi per caso, ma che non per questo mancano di svelare i loro segreti (da Pienza ad Angera, da Pontarlier a Namur). Il viaggio ha percorso a ritroso un bel pezzo della via francigena, barando soltanto un po’ perché i pellegrini medievali, a piedi, percorrevano 25-30 km al giorno e non i 70-90 dei nostri ciclisti. Per farsi perdonare non resterebbe che completarla da Assisi in giù, verso Bolsena, Viterbo, Roma, e poi Lucera di Puglia (la città musulmana voluta da Federico II) per chiudere in bellezza nella Sicilia normanna. E perché non un attraversamento dell’Europa da ovest a est? Da Santiago alle città tedesche su su fino alla Livonia o magari diritti fino a Praga… Insomma, i due cavalieri del pedale sembrano già pronti a una nuova partenza. Ne volessero un terzo, compatibilmente con gli impegni professionali e familiari, dovrebbero soltanto fare un fischio: uno di quelli che hanno appreso per richiamare il falcone.