L’opportunismo degli intolleranti: perché il fascismo non è d’altri tempi

L’opportunismo degli intolleranti: perché il fascismo non è d’altri tempi

Le scappatoie di chi non vuole smarcarsi da quel regime che rimane attuale e che si rinnova con il Tribalismo


Redazione
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L’opportunismo degli intolleranti: perché il...

Di Gustavo Zagrebelsky, La Repubblica

Insistere per avere una chiara dichiarazione antifascista da chi ha avuto cento occasioni per farla e non l’ha fatta è utile? Fascismo e antifascismo non sono due sfumature politiche: sono visioni che dividono la concezione del mondo in due (due Weltanschauungen, nel lessico fascista tedesco). L’una contraddice l’altra nell’essenziale, e non c’è spazio per una terza. È una autentica dicotomia: ciò che sta in una parte non può stare nell’altra. Non si può essere in entrambe per convinzione, ma solo per opportunismo. Ma non si può neanche stare in nessuna delle due, se non per ignavia, ignoranza, passività, indifferenza. L’opportunismo è una colpa grave, ma ancor più grave è l’ignavia. Superfluo citare l’anti-inferno dantesco.

Poiché non osiamo neppure pensare che i governanti che non si pronunciano siano degli ignavi, resta l’opportunismo: il fascismo è cosa d’altri tempi; i problemi degli italiani sono diversi; antifascista a modo proprio; fascismo e antifascismo sono fatti miei; il fascismo ha fatto cose brutte ma anche belle; la resistenza, e non solo il fascismo, si è macchiata di crimini. Tante scappatoie, la più ignobile delle quali, di fronte a un conflitto storico che non solo ha generato grandi contrasti ideali ma ha provocato immani sofferenze con milioni di morti, è un gioco di parole: a-fascismo e a-antifascismo. Non c’è modo per costringere gli svincolanti che da ultimo hanno inventato la furba e, al tempo stesso, sciocca domanda retorica: tu che mi chiedi, tu sei anticomunista?

Allora, si continui a pungolare, ma non ci si aspetti altro che vuote parole. È già chiaro: quando l’alternativa è netta – o di qua o di là – e non stai con chiarezza da una parte, ciò significa che stai dall’altra, anche se non vuoi o non puoi dirlo. Tutti hanno capito, dunque basta.

L’opportunismo

Del resto, in politica quanto contano le parole? Volano e si posano a piacere dove si vuole. Si dice, ci si contraddice, si mente, ci si smentisce, ci si dimentica: tutto per piacere o non dispiacere al proprio pubblico che della coerenza, per lo più, non sa che farsene. Che cosa costerebbe una facile dichiarazione: sì, in passato sono stato o stata pro-, ma ora sono anti-fascista? Il coro che incalza per avere “la dichiarazione” sarebbe in un momento ridotto al silenzio. Forse scontenterebbe i fedelissimi alla “Idea”, ma basterebbe una strizzatina d’occhio per intendersi e tenerli tranquilli. In fondo, penserebbero che “Parigi val bene una messa”. Sarebbe, però, comunque, un cedimento d’immagine incompatibile con l’onore che, da quelle parti, è intensamente coltivato. Perciò, merita rispetto chi non si smentisce ma, non smentendosi, conferma. D’altra parte, per gli antifascisti, che cosa conterebbero parole pronunciate con riserve mentali? Contano i fatti e gli atti concreti, cioè i frutti da cui si riconosce la pianta.

L’argomento più ricorrente per evitare lo scoglio, tuttavia, è questo: il fascismo è cosa d’altri tempi, non c’è più, né più ci sarà. Chi s’immagina i figli della lupa, i gerarchi in orbace, la violenza squadrista e tutto l’armamentario al tempo stesso folcloristico e violento di quel tempo tragico? Il fascismo voleva essere una rivoluzione anti-borghese, ma oggi siamo o vogliamo tutti essere borghesi. Il fascismo fu la risposta al vento del bolscevismo russo, ma dove sono oggi i bolscevichi. Se dunque il fascismo non esiste più, che senso ha dividersi tra chi è pro e chi è contro? Sono cose d’altri tempi. I problemi degli italiani sono altri. Davvero?

Il significato

Fascismo e antifascismo sono la versione moderna d’un conflitto profondo e perenne che modella la vita degli individui nei rapporti sociali, le concezioni e le forme della politica e perfino i rapporti tra gli Stati. Il fascismo che abbiamo conosciuto e conosciamo è solo una manifestazione storica di un unico concetto politico che ha assunto diverse forme concrete, adeguate alle variabili circostanze in cui si è affermato. Per esempio, la dittatura fascista non è riuscita a raggiungere il totalitarismo nazista. Lo stesso si può dire del falangismo franchista o dell’estado novo portoghese.

Ma, al di là delle circostanze, c’è qualcosa di comune, di profondo e radicato nell’animo umano e nelle pulsioni sociali che spiega la naturale convergenza di tali regimi, al di là delle specificità. Questo nucleo comune emerge e riemerge di tempo in tempo. Come possiamo definire con una parola il “fascismo perenne”, l’Urfaschismus (il prefisso ur indica qualcosa di originario, di primordiale)? Nel 1945, con sullo sfondo le tragedie europee tra le due guerre, è stata introdotta la parola “tribalismo” che dà anch’essa, tuttavia, un’idea di qualcosa di arcaico, di appartenente a tempi addirittura preistorici. “La cosa”, al di là della parola, invece, è attuale, sempre. Ne vediamo i contenuti, non necessariamente tutti insieme e non sempre tra loro coerenti: nazionalismo e purismo etico ed etnico; rifiuto della modernità e dei diritti universali; restaurazione dei valori tradizionali; irrazionalismo e avanguardismo; primato dell’azione, anche violenta, sulla riflessione e sulla discussione; anti-intellettualismo; accentramento del potere, decisionismo e antiparlamentarismo; occupazione e normalizzazione delle istituzioni; disprezzo della cultura e culto della forza; “machismo” e antifemminismo; intolleranza alle critiche; ostilità nei confronti della libertà di pensiero, scienza, arte e stampa; esaltazione dell’uomo normale; risentimenti e aspirazioni mediocri; senso comune; concezione del popolo come massa organica indifferenziata; corporativismo; intolleranza verso i “diversi”, “non integrabili”; xenofobia e razzismo conclamati o dissimulati; unanimismo; complesso del complotto; nazionalismo ripiegato su se stesso contro internazionalismo, universalismo e cosmopolitismo; superiorità o unicità nazionale; vittimismo aggressivo.

Le parole d’ordine

Forse non si è riflettuto a sufficienza sul significato della triade Dio, Patria, Famiglia: parole d’ordine del fascismo, recentemente riportate in vita e pronunciate con la naturalezza dell’ovvio. Innanzitutto, la triade traccia un tragitto dall’alto in basso, un flusso autoritario. Eleggere un dio a protezione della propria parte politica, è invocare la fonte suprema della legittimità del potere: non il consenso, non la libera discussione, non la democrazia. La “secolarizzazione”, cioè la fondazione laica della vita sociale e politica, diventa una deviazione del corso di una storia da correggere. La Patria, poi, è usata come pretesa dei governanti di parlare, agire e decidere nel nome di tutti, ed è un efficace argomento per dividere i buoni cittadini – i patrioti – dai cattivi, i dissidenti. Ed è anche la via per gonfiarsi ridicolmente agli occhi altrui invocando la nostra storia eccezionale, la nostra cultura e il nostro paesaggio inuguagliabili, la creatività delle nostre imprese, fino al made in Italy culinario. Infine, la Famiglia di cui parlano è, ovviamente, quella tradizionale che assorbe le singole persone nelle loro funzioni organiche, ciò che soprattutto tocca la donna procreatrice.

Il tribalismo

Tutti questi ingredienti sono sostanza del fascismo del nostro tempo e di sempre: la società come blocco unico. Il tribalismo, cui sopra s’è fatto cenno, significa precisamente questo. Il fascismo storico, dichiaratamente già nel suo simbolo, il fascio dei littori romani, esprimeva questa idea della vita “in blocco” garantita dalla scure del potere. L’antifascismo operoso non è tanto contro le esteriorità del fascismo, quanto nella reazione alla plumbea concezione della vita che esso perennemente propone. È nella ugualmente perenne rivendicazione e nell’esercizio pratico delle libertà in tutte le pieghe delle relazioni umane, al fine di “sbloccarle”.

In fondo, antifascismo e democrazia coincidono e questa coincidenza ha la sua tavola fondativa nella Costituzione. È un caso che chi non vuole dichiararsi antifascista sia lo stesso che, la Costituzione, vuole cambiarla?

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