Penuria di farmaci, un’occasione da non sprecare
Non trovare certe medicine nelle nostre farmacie aiuta a riflettere sull’errore di dipendere troppo dall’estero per una serie dei prodotti strategici
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E se l’attuale penuria di medicinali nelle nostre farmacie rappresentasse un’opportunità? Un’occasione per correggere finalmente quello sviluppo del capitalismo che ha perso una grande battaglia nel confronto con l’interventismo alla cinese? Nell’ultimo ventennio, l’industria farmaceutica ha lasciato che il paese di Xi Jinping occupasse quasi tutto il mercato: i salari nel “Paese di Mezzo” sono meno cari; Pechino sovvenziona la sua economia; ma, soprattutto, il Vecchio Continente ha… lasciato fare.
Ha consentito che espatriassero i suoi ‘fiori all’occhiello’ del settore: quelli che negli Anni Novanta producevano ancora la maggior parte delle sostanze attive consumate al mondo; invece oggi è tutto ‘made in China’, poiché i criteri che privilegiano i prezzi bassi hanno smisuratamente condizionato le strategie industriali.
Quindi: riequilibriamo gli scambi, facciamo in modo che l’economia mondiale sia più interdipendente, privilegiamo i ‘circuiti corti’. Si tratta al tempo stesso di una questione di salute, un problema climatico, e una sfida geopolitica.
Nel 2010 il gigante cinese, in gara col Giappone, aveva privato l’arcipelago delle ‘terre rare’, indispensabili per produrre componenti di prodotti d’alta tecnologia, di cui era e rimane in gran parte l’unico fornitore. Così Pechino aveva trasformato in un’autentica arma le sue materie prime e strategiche. Ora può fare la stessa cosa grazie ai medicinali.
La guerra in Ucraina e il Covid hanno consentito ai politici svizzeri ed europei di rendersi conto di quanto sia pericoloso dipendere in maniera così massiccia dagli altri: dalla Russia sul fronte energetico, dall’Asia per le “row materials”, e in particolare per i prodotti farmaceutici. Oppure dal Mar Nero per il rifornimento di cereali: anche questi ultimi, a causa dell’‘economia di scala’, risultano sempre meno diversificati; ovunque non si mangia che grano e riso, anche là dove un tempo i regimi alimentari mutavano da un luogo all’altro. E questa uniformità pone anch’essa problemi di salute, di geopolitica, di un numero troppo limitato di ‘granai agricoli’.
Rafforzando le proprie industrie, senza pensare a una utopistica autonomia, l’Europa e la Svizzera potrebbero dimostrare, soprattutto a sé stesse, che i loro sistemi democratici e federalisti sono all’altezza della sfida, che possono recuperare terreno in fatto di dipendenza dal resto del mondo in tutti i settori ritenuti strategicamente vitali. In questo senso un primo passo dovrebbe essere compiuto a metà marzo, quando la Commissione europea dovrà annunciare una revisione della sua legislazione farmaceutica. C’è da scommettere che sarà nella giusta direzione.
Traduzione a cura della redazione
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