La scommessa dell’atomo ha costi alti e tempi lunghi, il clima non può attendere

La scommessa dell’atomo ha costi alti e tempi lunghi, il clima non può attendere

I dubbi sull’intesa firmata alla Cop28. Per costruire le centrali ci vogliono decenni: per restare entro gli 1,5 gradi di riscaldamento dovremmo tagliare le emissioni del 42% da qui al 2030


Redazione
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La scommessa dell’atomo ha costi alti e...

Di Luca Fraioli, La Repubblica

Il nucleare è in prospettiva uno dei possibili sostituti dei combustibili fossili? Sì. L’energia atomica può aiutarci nell’immediato a uscire dalla crisi climatica, in cui ci siamo cacciati bruciando per duecento anni carbone, petrolio e gas? No. Occorre avere ben presenti queste due risposte, condivise dai climatologi e dalle principali agenzie internazionali che si occupano di energia, per poter giudicare l’annuncio arrivato ieri dalla Cop28: oltre venti Paesi hanno promesso di triplicare l’uso dell’energia nucleare.

È stata così confermata l’anticipazione che l’Inviato speciale per il clima italiano Francesco Corvaro aveva dato a Repubblica nel corso di una intervista il 21 novembre scorso: «Da quanto ci risulta, Stati Uniti e Francia proporranno la triplicazione del nucleare installato». E in effetti tra i primi firmatari dell’impegno “atomico” preso ieri a Dubai ci sono Washington e Parigi, oltre a una serie di nazioni che contemplano già il nucleare all’interno del loro bouquet energetico: Canada, Regno Unito, Ucraina, Giappone. 

Significa che dopo Cop28 vedremo spuntare centrali nuclearicome funghi nei 22 Paesi che hanno firmato l’accordo? Difficile. E infatti ci si è dati come obiettivo il 2050. Ma il problema sono proprio i tempi. Al netto della sindrome Nimby, cioè dell’opposizione di chi non vorrà reattori atomici a un passo da casa, tra la pianificazione di un impianto e il suo allaccio alla rete elettrica passa almeno un decennio, se tutto va bene dal punto di vista tecnico e ingegneristico. Se poi ci sono intoppi, e in Europa non sono mancati, tempi e costi lievitano. 

Certo, ci sono aree del mondo dove si va più spediti, in Cina per esempio. O proprio negli Emirati Arabi Uniti che ospitano Cop28. Qui, some ricorda il presidente dell’Associazione italiana nucleare Stefano Monti, «sono passati, in poco più di un decennio, dal non avere nemmeno un ingegnere nucleare alla messa in funzione di tre reattori. E un quarto è in costruzione». Ma Cina ed Emirati hanno grandi risorse economiche (quelle di Abu Dhabi, per paradosso, derivano dal petrolio venduto all’Occidente) e opinioni pubbliche il cui parere, per usare un eufemismo, non è dirimente nella definizione delle politiche energetiche.

Supponiamo ora che, come per incanto, tutti i Paesi che a Dubai hanno annunciato di voler puntare sul nucleare dispongano delle finanze, delle opinioni pubbliche e degli spazi disabitati di Cina ed Emirati, e che in 12-15 anni riescano nello stesso “miracolo nucleare”. Problema risolto? La risposta è appunto: no.

Secondo l’Emission Gap Report 2023, pubblicato dall’Unep, il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite, alla vigilia di Cop28, per restare entro gli 1,5 gradi di riscaldamento dovremmo tagliare le emissioni del 42% da qui al 2030. Tra appena sette anni, troppo pochi per confidare sulla rinascita del nucleare. È alla luce di dati come questo che Francesco La Camera, direttore dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), boccia l’atomo: «Le risorse economiche sono poche: occorre fare delle scelte e darsi delle priorità. Se si riconosce che il riscaldamento globale è una vera emergenza, allora occorre puntare su soluzioni che ci aiutino nel minor tempo possibile a tagliare le emissioni di CO2».

L’Inviato speciale Corvaro, un tecnico di nomina governativa, lo ha detto ai suoi due referenti politici, i ministri Tajani e Pichetto Fratin: «Giusto continuare a fare ricerca. Ma si tratta di una soluzione non praticabile nel breve termine in Italia, sia per questioni tecniche che di accettabilità sociale. E i tagli alle emissioni di CO2 vanno fatti subito». Forse si spiega così la cautela della premier Meloni sull’argomento ieri a Dubai.

Ma allora che prospettive ha il nucleare a uso civile? Di più lungo termine: il 2050, appunto, quando il mondo dovrebbe tagliare il traguardo “emissioni zero”. Lo conferma il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) Fatih Birol: «Il nostro fabbisogno di elettricità continuerà a crescere, ne servirà sempre di più. E anche se le rinnovabili faranno la parte del leone, l’energia atomica avrà comunque un ruolo importante. Per questo sono convinto che ci sarà un ritorno al nucleare».

Nell’immagine: un impianto nucleare di ultima generazione

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