“Io capitano” – Uno straziante urlo di speranza
Alla recente Mostra del cinema di Venezia è stato presentato e giustamente premiato un film italiano che non può lasciare indifferenti, forte, coraggioso e con un eccezionale attore protagonista
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Alla recente Mostra del cinema di Venezia è stato presentato e giustamente premiato un film italiano che non può lasciare indifferenti, forte, coraggioso e con un eccezionale attore protagonista
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Alla recente Mostra del cinema di Venezia è stato presentato e giustamente premiato un film italiano che non può lasciare indifferenti, forte, coraggioso e con un eccezionale attore protagonista
Sono parecchi gli spunti che si affollano nella mia mente dopo la proiezione della nuova opera di Matteo Garrone. La prima cosa che penso è che raramente, negli ultimi anni, ho visto un film in grado di scuotere così le nostre sensibilità. Forse perché il soggetto viene dalla cronaca, dal tema dei migranti, mostrato però da un’angolazione diversa. Una vicenda che (seppur molto superficialmente) crediamo di conoscere, mentre qui ci viene raccontata in modo differente.
Non credevo, ed è la seconda riflessione, che si potesse fare un film italiano su un dramma senza fine con attori sconosciuti -attori “locali”- e praticamente parlato in wolof, la lingua senegalese, coi sottotitoli. Il cineasta, fresco vincitore del Leone d’argento per la regia di “Io capitano” alla Mostra del cinema di Venezia, dimostra che ci si può davvero spingere fino a qui, anche se commercialmente (e politicamente) pare un’operazione rischiosissima.
Non è questo ciò che conta, comunque. Raccontare la fuga di due ragazzi africani verso l’Europa alla ricerca di un futuro migliore è prima di tutto un atto di coraggio, doveroso proprio perché, come detto, il punto di vista è alternativo alla narrazione dei telegiornali. “Volevo fare un controcampo, mettere la camera dall’altra parte” ha spiegato l’autore. Che così parla di un’odissea vista dall’interno, esaminando le varie tappe che la compongono. Anche quelle riguardanti i momenti più terribili, quando le persone vengono ridotte a merce, a schiavi derubati dei pochi soldi che possiedono e che dovranno, lavorando, rimettersi a guadagnare, sempre che sopravvivano a maltrattamenti e torture…
Garrone non vuole commuovere a tutti i costi, non cerca né l’effetto lacrima né di alleggerire una situazione drammatica. Benché qua e là ci siano situazioni ricostruite con immagini oniriche, possiamo dire che il racconto è onesto e che risce a non esasperare nulla.
Come risolvere una questione in cui l’Europa e il mondo devono fare la propria parte? Domanda difficilissima, nessuno ha trovato (o voluto trovare) una soluzione. Intanto l’esempio di cui parliamo dimostra che l’arte non è inutile: serve a renderci consapevoli di come ogni percorso individuale sia intriso di sofferenza.
Presumo che “Io capitano” non sarà apprezzato da tutti, perché è una risposta a chi in politica usa o ha usato espressioni come “gente che fugge da guerre finte”, che si affidano ai “taxi del mare”, o che ha spesso detto “aiutiamoli sì, ma a casa loro!”. Ci sono persino giornalisti (vergogna!) che, commentando le tragedie del mare, non trovano di meglio che affermare “L’avevamo detto. State a casa, partire è un po’ morire!”.
Garrone probabilmente non poteva non vincere un premio con una produzione del genere. Tuttavia lo merita, per la sfida realizzativa e per la sfida alle nostre coscienze.
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