La mancanza d’umanità al potere

La mancanza d’umanità al potere

Due bambini rifugiati, ben inseriti e ben accolti, vengono inspiegabilmente trasferiti. Si raccolgono le firme, ma sui motivi della decisione Bellinzona tace


Federico Franchini
Federico Franchini
La mancanza d’umanità al potere

È difficile essere oggettivi quando si scrive di fatti che in qualche modo ti riguardano. È il caso della chiusura del Centro richiedenti l’asilo presso l’Hotel Vezia, decisa di recente dal Cantone senza fornire convincenti spiegazioni. Una bambina e un bambino residenti in questa struttura, Valentina e Cihan, sono stati in classe per un anno con mia figlia. Hanno frequentato insieme la prima elementare presso l’Istituto scolastico di Lamone-Cadempino e, in particolare con Valentina, è nata una bella amicizia. Oggettivo quindi, non lo sarò. Ma ecco i fatti.

Venerdì 14 giugno, i volti dei bambini, delle mamme e dei papà della classe non erano raggianti come dovrebbe essere all’ultimo giorno di scuola. Si sono viste delle lacrime e nell’aria aleggiava una strana sensazione di tristezza. Il motivo: con la chiusura del centro di Vezia prevista entro il 30 di giugno le famiglie di Valentina e Cihan verranno trasferite altrove, sparpagliate nel cantone secondo criteri non meglio definiti. A nulla sembra essere servito il tentativo di noi genitori di chiedere alle competenti autorità di trovare una sistemazione sul territorio di Lamone o Cadempino in modo da garantire la continuità del percorso scolastico a questi due bambini che, in pochi mesi, hanno imparato l’italiano e sono entrati nel cuore di compagni e maestre.

Rispetto ad altri non-luoghi dell’ ”accoglienza”, il Centro di Vezia è da molti considerato un’esperienza positiva di convivenza e integrazione. Gli ospiti si sono trovati molto bene e non hanno mai creato problemi. Alcuni sono stati assunti da ditte della regione e delle attività economiche hanno potuto prosperare attorno alla struttura. Il servizio catering, ad esempio, è stato affidato ad un’azienda di Comano che ha potuto assumere direttamente quattro rifugiati: «Con la chiusura di Vezia, resteranno purtroppo senza lavoro» ci ha detto amareggiata la titolare della società.

Il Cantone si è limitato a spiegare che la decisione è stata presa nel rispetto degli accordi fatti in precedenza con la proprietà dell’Hotel. Proprietà che, ad ogni modo, sarebbe stata ben disposta a proseguire l’esperienza. Sui motivi concreti che hanno spinto il Dipartimento della sanità e della socialità (DSS) a non andare avanti non è stata fornita nessuna spiegazione. La decisione è stata presa dall’Ufficio richiedenti l’asilo e rifugiati (URAR) di concerto con la Croce Rossa Ticino che, su mandato del Cantone, assicura la presa a carico e l’accompagnamento degli ospiti di questa e di altre strutture. La scelta è stata poi avallata dalla Sezione del sostegno sociale del DSS. Sull’esperienza di Vezia, tuttavia, confermano laconici da Bellinzona, non è stato stilato nessun rapporto e non è stato fatto un bilancio scritto.

Al di là della chiusura in quanto tale, lascia perplessi anche la gestione delle famiglie con dei bambini che frequentano le scuole dell’obbligo. E qui ritorno al caso che mi tocca più da vicino. In pochi giorni è stata raccolta un’ottantina di firme tra le mamme e i papà dell’istituto scolastico di Lamone-Cadempino per chiedere alle autorità di trovare una soluzione abitativa all’interno di questi due comuni. Niente di impossibile essendoci su questo territorio una buona disponibilità di alloggi a pigione moderata. Una società immobiliare ci ha persino bloccato due appartamenti. Invano! «Les jeux sont fait» mi ha detto al telefono il responsabile dell’URAR, Renzo Zanini, che mi ha risposto sbrigativamente al telefono cinque minuti prima della chiusura dell’anno scolastico e dopo svariati (16) tentativi, fatti nei giorni precedenti, di entrare in contatto con lui. Il capoufficio mi ha fatto capire che non dispongo di tutti gli elementi necessari per comprendere la decisione. In dialetto si direbbe che mi ha dato il classico “mena via”.

Attendo ora senza grandi aspettative la risposta scritta, dato che al telefono non vi è più stato modo di parlare. Nel frattempo una delle due famiglie, con due bimbe e la mamma incinta di una terza bambina, non sa ancora dove andranno fra una settimana. Le domande che mi pongo sono molte. Perché spezzare un’integrazione che ha funzionato? Perché non venire incontro alle esigenze (semplici e realizzabili) di due famiglie e dei loro bambini che, dopo essersi ambientati in un territorio, dovranno ricominciare tutto da capo? Perché non considerare poi il lavoro e le risorse messe in campo dalle insegnanti e dall’istituto scolastico durante l’anno?

La risposta che mi do è una sola: considerato il contesto in cui si situano le questioni dell’asilo – all’interno cioè di un dibattito pubblico dominato dalle paure fomentate dalle destre – chi deve decidere della vita degli esseri umani più vulnerabili non deve avere tra i requisiti… l’essere umano.

Nell’immagine: l’Hotel Vezia quando era una struttura turistica

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