Quel pericolo della rabbia, dal privato al pubblico

Quel pericolo della rabbia, dal privato al pubblico

Gli effetti devastanti del rancore generalizzato, cioè di chi agisce solo contro qualcosa o qualcuno, non per qualcosa o qualcuno


Saverio Snider
Saverio Snider
Quel pericolo della rabbia, dal privato al...

Tutti noi conosciamo, purtroppo, persone che, prima di uscire di casa il mattino, devono decidere contro chi o cosa avercela quel giorno. È questa la molla che li motiva, che li fa muovere, che li stimola ad affrontare l’altrimenti ripetitiva quotidianità. Una volta si definivano persone “cattive”, sempre arrabbiate, ed erano in fondo rare. Oggi ho l’impressione che si siano moltiplicate in modo allarmante, e forse sbagliando si tende ancora a ritenerle più che altro solo ipercritiche o semplicemente sempre scontente. Sono quei tipi che già durante la prima “pausa caffè” offrono il meglio di sé arringando i colleghi, segnalando il malfunzionamento di questo o di quello, imprecando contro Caio e Sempronio, cogliendo poi ogni occasione per ampliare il particolare al generale, concludendo che se “gh’è pü da religion”, ci sarà pur qualcuno che saprà mettere a posto le cose, che sappia trovare i giusti rimedi allo sfacelo. E “ul bel vedee – per questi – l’è poc distant”. A che prezzo comunque non si sa.

Il guaio oggi è che questo atteggiamento negativo privato si riflette  sempre di più nella sfera delicata e pubblica della politica, entro la quale cominciano a dominare coloro che agiscono in primis contro qualcosa o qualcuno, tanto da far apparire una minoranza patetica quelli che invece ancora si sforzano di lavorare per qualcosa o qualcuno. D’altra parte è più semplice raccogliere, consolidare e ampliare i malcontenti che riuscire a inventare e studiare soluzioni efficaci o almeno praticabili a medio termine senza che si provochino eccessivi dolori collaterali. I primi vincono e impongono il loro vuoto e distruttivo potere immediato, i secondi perdono e basta, senza la forza di creare consenso  nel formulare alternative efficaci sul piano di una concretezza quanto mai necessaria. Questo tanto più quando a mancare per davvero è la pagnotta da mettere in tavola.

Il fatto è che ormai la pagnotta in tavola non la sa mettere più nessuno nel quadro desolante di un sistema socioeconomico fattosi aberrante come è quello schizofrenico che stiamo conoscendo: la si promette, la si garantisce a parole, la si dice d’imminente arrivo: bisogna solo aspettare la raccolta dello “sgocciolamento” della farina dal tavolo degli Epuloni, ma intanto chi può mangiare lo fa beatamente e chi non ci riesce si arrangi. D’altronde se sei povero è colpa tua visto che la libertà gioiosa del mercato permette a tutti, se si impegnano, di entrare nell’Empireo dei beati che appunto mangiano.

Quanti errori sono stati commessi dalla caduta del muro di Berlino! La bella e inopinata (adesso vien da dire solo illusoria) vittoria della democrazia liberale è stata rovinata e deviata nella sua strada, che pareva  positivamente consolidata nei suoi equilibri, dalla sistematica applicazione delle ricette perverse dell’ultraliberismo economico e filosofico (cioè dall’esaltazione dell’individualismo, in più edonistico), che non hanno certo favorito la distribuzione e la diffusione intelligente della ricchezza, bensì la sua semplice concentrazione. I contrasti sociali che ne sono derivati e che sono destinati a crescere, le tante speranze venute meno, sono sotto gli occhi di tutti: una vera manna (come la storia insegna che è sempre avvenuto in analoghi frangenti) per i populismi, i nazionalismi, i regimi violenti e totalitari costruiti sulle nostalgie, e per tutto ciò che insomma trae la sua origine da un rancore generalizzato, tanto più inquietante e forte quanto più globalizzato e monopolio delle masse dei perdenti.

Non per nulla le voci che maggiormente si sentono sono quelle bellicose delle destre, tipiche di chi rappresenta solo il risentimento e di chi non ama il popolo pensante e parlante ma solo silente e plaudente. Questo mentre a sinistra (come ad esempio è accaduto nella vicina Italia) vi sono ancora tante “anime belle” che si ostinano a discutere piuttosto che dei diritti materiali non soddisfatti (il pane da mettere in bocca e il lavoro che consente di farlo), soprattutto di quelli solo postmateriali come la possibilità di avere due mamme o due papà, di avere figli arcobaleno fatti nascere nei modi più strani. Sembra di ascoltare l’orchestrina suonare imperturbabile mentre il Titanic affonda.

La democrazia ateniese (che non era per nulla la nostra) è durata solo poco più di ottant’anni.  Quanto resisterà ancora quella dell’Occidente così come la ammiriamo e la conosciamo? Anche nel nostro Paese – diciamo la verità – non tutti la amano come una volta. Ogni anno che passa non diventa forse anch’essa più fragile se appena si osserva che continuano ad aumentare coloro che non vanno a votare o coloro che pensano, ad esempio, che i partiti non dovrebbero contare ma solo le singole persone, o ancora che i parlamenti siano inutili luoghi di perditempo brizzolati?

Essere pessimisti – lo so perfettamente – non serve a nulla, ma almeno cominciamo a pensarci e a preoccuparci un po’ di simili nodi, in modo previdente. E se non ora, quando? Quando anche l’immaginaria figura di Guglielmo Tell, nella sua inventata positività, non sarà nemmeno più nella memoria dei vecchietti?

Nell’immagine: sta cominciando a svanire

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