Quei matrimoni che non si riescono a fare

Quei matrimoni che non si riescono a fare

Si continua anche in Ticino a parlare di alleanze partitiche, ma intanto le diversità e il nervosismo aumentano


Saverio Snider
Saverio Snider
Quei matrimoni che non si riescono a fare

Nel gioco della politica non sono previsti i matrimoni per amore, ma solo per interesse, cioè per semplice convenienza. Esattamente come nulla può essere dato per scontato e nulla è per sempre. È un dato di fatto evidente se appena si pensa a ciò che ci insegna la storia ormai lunga della nostra tradizione culturale, ma anche la cronaca spicciola legata alla limitata “memoria d’uomo” riconducibile alla comunità nella quale viviamo.

Nell’orto del Ticino è un continuo parlare di alleanze partitiche, l’altro ieri come ieri e come oggi. D’altra parte in fondo è persino bello farlo: un segno positivo di vitalità e creatività, di “apertura mentale”, forse anche di consapevolezza che ogni tanto unirsi in qualche modo (almeno fra ”cugini”) possa far bene non solo ai pochi direttamente interessati bensì a tutti. È in quest’ottica positiva, ad esempio, che ho interpretato le recenti dichiarazioni del vice sindaco di Lugano Badaracco che ha auspicato (a livello locale) una stretta collaborazione  per le prossime elezioni comunali fra la forza liberale e quella del Centro. Ma si sa che fra il dire e il fare c’è poi sempre di mezzo il mare. 

Nella più nobile delle ipotesi, le unioni si fanno per realizzare qualche progetto di interesse pubblico che entrambe le parti giudicano vantaggioso, aumentando così la speranza di dargli corpo concreto (con l’aggiunta del godimento di veder soffrire gli antagonisti). E queste di solito funzionano. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si fanno per semplici e affrettate ragioni di calcoli elettorali: quando cioè si sente puzza di bruciato riguardo al mantenimento delle posizioni acquisite nella ripartizione dei rispettivi seggi (che è sempre un’operazione complicata). Queste, salvo miracoli, non funzionano. Ne è testimonianza diretta quel che è capitato quattro anni fa tra liberali e PPD per il rinnovo delle Camere federali: un bel patatrac che ha scontentato entrambi i contraenti del patto (il PPD, ad esempio, che almeno aveva salvato la seconda poltrona al Nazionale, di fatto ha soltanto rinviato quella perdita, inevitabile, all’ottobre prossimo). E ne è testimonianza certa anche ciò che è appena accaduto nelle recentissime cantonali per Lega e PS.

Per adesso, “tertium non datur” a mio parere. A meno che non si voglia spacciare per verità acquisite i discorsi (velleitari) su possibili fusioni durature fra rossi e verdi (cosa che si basa su un assunto falso: che  tutti i rossi siano anche verdi e parimenti che tutti i verdi siano anche rossi). E mi viene in mente, per restare in ambito socialista, pure la riconciliazione fra PST e PSA, che non fu una fusione, semmai un semplice ritorno, non indolore, del figliol prodigo nella casa del vecchio padre (e sappiamo come è andata e tuttora sta andando).

Ne risulta che il nervosismo predomina, e le divisioni interne ai singoli schieramenti si accentuano, ostacolando la vera ricerca di denominatori comuni. Questo vale per la sinistra (per altro grande maestra nell’arte di coltivare i litigi), vale per il frustrato PLRT (che di fatto ha perso la forza d’essere il tramite quasi unico del potere economico-imprenditoriale, quindi non ha più il dominio politico cui era abituato da decenni,  ed è inoltre confrontato con un’ala radicale sempre sul chi vive), e vale anche per la Lega che, passando gli anni, ha perso per strada lo spirito dello “spacchiamo tutto” sostituendolo con un vuoto inquietante che l’ha privata di una qualsivoglia identità.

Scordandoci i “cespugli” appena nati (che non possono contare perché privi di una pur minima cultura politica di riferimento), va detto che oggi gli unici due partiti cosiddetti storici che in Ticino godono di una sostanziale coesione interna e di un loro equilibrio sono il Centro e l’UDC.  Quest’ultimo (che ovviamente non ha nulla da spartire con i buoni vecchi Agrari di un tempo) sa ben rappresentare un  forte conservatorismo cucinato in salsa piccante ultra liberista, e attende con calma l’arrivo (per altro continuo) di buona parte dei leghisti (anche se questi della filosofia liberista non sanno nulla: si adegueranno). In ogni caso, per intanto, di discussioni interne non c’è percezione, sebbene il partito sia un insieme di diaspore. Tutti marciano felici e compatti.

Quanto al Centro (cioè al PPD), il discorso è un po’ diverso. Alla situazione di calma e tranquillità odierna si è giunti percorrendo una strada lunga e per molti versi accidentata che alla fine si è rivelata però benefica, nel segno di un pensiero elementare ma saggio: meglio in pochi ma coesi e coerenti che in tanti ma litigiosi. Infatti è il partito che in Ticino negli ultimi cinque decenni ha conosciuto il numero maggiore di importanti deflussi di appartenenti a favore di altri schieramenti. Ne ha vissuti almeno tre. Il primo, fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, ha portato via (soprattutto verso il PSA) molti giovani e molti intellettuali, stufi di un conservatorismo vetero-clericale ancora dominante. Il secondo è stato conseguente alla nascita della Lega, quando con gioiosa baldanza quel genere di disordinato populismo ha attratto parecchi qualunquisti e molti militanti di Comunione e Liberazione, i quali sotto il motto di fatto liberista “meno Stato e più società”, essendo pure lontanissimi dallo spirito della cultura del cattolicesimo democratico, hanno trovato buona ospitalità sotto le elastiche tende di via Monte Boglia (facendo perdere inopinatamente al PPD un seggio nel Municipio di Lugano). Da ultimo se ne sono andati dal PPD (finalmente) i rappresentanti della cosiddetta “destra” estrema, gli ultra conservatori, e assieme a loro naturalmente i liberisti duri e puri e convinti. Tutti confluiti, come era logico che fosse, nella nuova UDC. A questo punto sono rimasti, a conti fatti, solo i veri centristi, i moderati estranei agli estremismi, coloro che (forse) si riconoscono nei valori del popolarismo di sturziana memoria.

Nell’ottica indicata, visto che sono solo due i partiti (per altro incompatibili fra loro) che godono delle condizioni per poter ragionare con serenità e lucidità su possibili alleanze serie e non effimere, occorre aspettare che gli eventuali promessi sposi crescano e maturino ancora un po’ prima di riavviare il discorso. Non so quanto ci vorrà, ma confido che le cose le sapranno aggiustare i nostri nipoti.

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