I chili di troppo e l’oro grigio

I chili di troppo e l’oro grigio

Vacanze, montagna, mare, ed ecco che ti preoccupi di due problemi: i chili di troppo, che ti affaticano o ti deformano e  la connessione e la navigazione in rete. Osserviamoli e consideriamoli da due punti di vista che si  dimenticano e forse sono più preoccupanti


Silvano Toppi
Silvano Toppi
I chili di troppo e l’oro grigio

Primo caso, i chili di troppo. Il problema dell’obesità coinvolge il 40 per cento della popolazione. 200 possono essere le malattie concomitanti o che ne derivano; dal 16 al 18 per cento del totale sono i costi della salute nei paesi più colpiti a causa dell’obesità; 3.3 per cento ne è l’impatto economico sul prodotto interno lordo nei paesi sviluppati; 4 mila miliardi di dollari l’onere economico annuale nel mondo. Questi sono i dati che organizzazioni varie, nazionali o internazionali, ci sfornano, anche per impressionarci. Quanto attendibili? Non si sa. Che siano però proficuamente attendibili ce lo dicono l’industria farmaceutica e la Finanza. Anche perché la “catena di valore” (come si dice) è ampia: va dalla prevenzione, dalla diagnosi, dal trattamento all’assunzione continua della cura. Numerosi sono i problemi di salute che ne sono associati.

E gli investitori-speculatori vi pascolano, a quanto pare. Facciamo un Solo esempio. Bellevue Obesity Solutions (un nome che è già un programma) è un fondo di azioni mondiali che investe in 60 società attive nel settore della salute (80 per cento della ponderazione del portafoglio) o nei mercati della nutrizione e dell’esercizio fisico (20 per cento), tutte direttamente legate al problema dell’obesità e alla produzione della salute. Tutte queste  società selezionate nel portafoglio hanno una crescita annua delle vendite a due cifre, superiori ad ogni media, e dei margini di utili sempre elevati (minimo 7 per cento).

Vendere il tempo del cervello umano

Secondo caso, la “corsa all’oro grigio”. Che cosa si intende? Si intende la  la captazione e la conquista della nostra attenzione.

Diceva, già vent’anni fa, un economista fuori dalle righe (Patrick Le Lay), suscitando polemiche a non più finire: “Ciò che vendiamo alla multinazionale Coca-Cola è del tempo di cervello umano disponibile”. Oggi, con l’esplosione dell’uso del nostro tempo sugli schermi quotidiani (5 ore in media, extra lavoro) quella frase fa sorridere. Il mercato dell’attenzione ha cambiato era, la corsa all’oro grigio si è imballata, la proliferazione degli schermi pubblicitari nelle strade o nei trasporti sta invadendoci. Si moltiplicano così studi e saggi che dimostrano anche l’impatto sanitario negativo  per la sovraesposizione tanto per i giovanissimi, gli allievi, quanto per gli adulti (tra cui anche obesità, depressione, cali della vista, della memoria, del sonno, ecc.) e l’elevato costo energetico.

I neuroscienziati ci dicono che ci sono tre grandi tipi di attenzione: quella basata sull’intenzione interiore, che ci permette di avanzare elaborando progetti; quella basata sulla carica affettiva, che deriva da un ricordo, dalla reazione di fronte a un viso conosciuto, un suono, un odore e, infine, quella basata sulla “rilevanza”, in pratica sugli stimoli (stimuli) esterni visibili. Ci dicono però anche che l’attenzione non si suddivide: non si può prestare attenzione che ad una cosa alla volta.

Le nostre miniere sfruttate

Sarebbe così che la captazione delle nostre attenzioni pone una sfida politica decisiva, in due modi. Dapprima gli schermi fanno “schermo” tra noi e il nostro ambiente diretto, riducendo la nostra capacità a percepire intuitivamente la catastrofe ecologica e sociale in corso. Poi, non c’è nessuno sceriffo all’orizzonte per domare quei “cow boys” che sono le cosiddette Gafam americane (e cioè le grandi multinazionali tecnologiche, Google, Facebook, Amazon ) che accumulano capacità di sorveglianza e di influenza e sfuggono ad ogni regola o controllo.

Tanto che una professoressa di Harward, Shoshona  Zuboff, finisce per dire: “Siamo in un’economia dell’estrazione dell’attenzione”. Quasi l’attenzione fosse un minerale prezioso da estrarre da ogni nostra piccola miniera mentale. Per aggiungere subito sconsolata: “I capitalisti della sorveglianza sanno tutto di noi e noi non sappiamo niente di loro” (v. Il capitalismo della sorveglianza; Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press).

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