La giraffa, il giraff… e le giraffe bianche 

La giraffa, il giraff… e le giraffe bianche 

Diari, ricerche, domande per provare a capire il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso il contatto diretto, piuttosto che sentenziando a priori su cos’è giusto e cosa no


Daniele Dell'Agnola
Daniele Dell'Agnola
La giraffa, il giraff… e le giraffe bianche 
Diario 1

BAMBINA: Maestro, ho una domanda sull’esercizio.
MAESTRO: Dimmi.
BAMBINA: Il gatto è maschio, poi la gatta è femmina.
MAESTRO: Sì.
BAMBINA: Però giraffa è femmina.
MAESTRO: La giraffa. Sì.
BAMBINA: Ma il maschio?
MAESTRO: Tu che dici?
BAMBINA: IL giraffa non c’è. Neanche il GIRAFFO.
MAESTRO: Giusto. E il gufo femmina?
BAMBINA: La gufa?
MAESTRO: Mmmmh…Vuoi verificare nel dizionario?
BAMBINA: La gufa non l’ho mai sentito.
MAESTRO: E allora come facciamo, se non esiste la femmina del gufo?
COMPAGNA DI CLASSE DELLA BAMBINA: Esiste, però dici sempre IL GUFO anche se è femmina.
MAESTRO: Come potresti dirlo?
ALTRO BAMBINO: Boh. La donna del gufo.
MAESTRO: Lo sento strano.
BAMBINA: Il gufo femmina. È meglio.
MAESTRO: Sì.
COMPAGNA DI BANCO DELLA BAMBINA: Ma allora, maestro, ci sono parole…
MAESTRO: Nomi…
BAMBINO: Nomi speciali che sono femmina e maschio insieme.
MAESTRO: Si chiamano promiscui.
BAMBINA: Ah. Ma è proprio così?
MAESTRO: Sì.
BAMBINA: C’è anche nella grammatica?
MAETSRO: Sì.
BAMBINA: Grazie.
MAESTRO: Prego.
(Alcuni secondi più tardi…)
BAMBINA: Ancora una domanda.
MAESTRO; Sono qui per questo.
BAMBINA: Esistono le giraffe bianche?
MAESTRO: Perché me lo chiedi?
BAMBINA: Ho visto un documentario. Ma sono normali?
MAESTRO: Tu hai dubbi?
BAMBINA: Sì. Perché le giraffe non devono essere bianche.
MAESTRO: Perché no? Ci sono.
BAMBINA: Ma è una cosa nuova, non la sapevo.
MAESTRO: Continua a osservare.
(Poco dopo)
ALTRO BAMBINO: Maestro! Ho trovato il maschio della ZEBRA e il COLIBRÌ femmina!!!

Ricerche e domande

Potrei continuare nella testimonianza delle innumerevoli esperienze che si presentano in un’aula scolastica quando si riflette sulla lingua italiana (di cui è bene scoprire le regole utilizzando il metodo delle domande, come dice Maria Lo Duca nel suo  Viaggio nella grammatica) o sui testi letterari: si pensi al celebre albo illustrato Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni, in cui una macchia gialla abbraccia l’amica macchia blu e insieme diventano verde: quante domande si pongono i bambini, anche molto piccoli, sulla morte, la nonna, la sessualità, il cielo, la pizza. In un suo libro molto importante Alison Gopnik (Il bambino filosofo. Come i bambini ci insegnano a dire la verità, amare a capire il senso della vita, Bollati Boringhieri 2014) riporta risultati sorprendenti di ricerche nell’ambito delle neuroscienze, sull’importanza di costruire pensiero attraverso un dialogo germogliato da giochi, immagini e storie. Mediamente un bambino di 4 anni (se ne ha l’opportunità) pone o comunque SI pone fino a trecento domande al giorno. Un terzo di queste ruotano attorno a temi profondi.

Sono numerosi gli studi scientifici nel mondo che ci aiutano ad interrogarci con opportuni approfondimenti sull’importanza delle domande dei bambini e la capacità o meno dell’adulto di stimolarle ed accoglierle.
“Le domande dei bambini rivelano ciò che conta per loro; pertanto, le decisioni relative al curriculum dovrebbero rispondere ai loro interessi e alla loro curiosità. Le domande dei bambini svelano la loro curiosità e li aiutano a diventare creatori attivi di significato. Secondo Rinaldi (2006), il ruolo dell’adulto è quello di aiutare i bambini a trovare significato in ciò che fanno, incontrano e sperimentano.”

Diario 2: i bambini pensano

Ho fatto anch’io un piccolo esperimento, nelle mie innumerevoli occasioni di incontro nelle scuole dell’infanzia e della scuola elementare con le storie. Ho annotato le domande più belle del 2023 (gennaio – giugno). Ne elenco solo alcune. Sono parole per me preziosissime, anche se scientificamente forse poco rilevanti:
Come fa esattamente lo zucchero a uscire dalla caramella mou e a entrare nel sangue dopo che hai masticato la caramella con i denti e la saliva? 

Quanto tempo vive una trota?
Si può scrivere una storia sette volte e poi lasciarla lì senza farla diventare un libro?
Come si fa a diventare famosi?
Cos’è la citisina del maggiociondolo?
Se ho un orto infinito dove crescono carote e patate infinite, rimane spazio per una gallina?
La torta di pane è fatta con il pane, il pane lo fai con la farina, ma di cosa è fatta la farina? E di cosa è fatto lo spazio? Fa niente se ho messo due domande?
La forza di gravità è come la forza di gravidanza?
Perché si muore?
Cos’è il niente?
Ci leggi La torta in cielo di Gianni Rodari?
Tu ce l’hai il nonno?
Posso dire che una musica è talmente bella che mi svirgola?

Le questioni sono sorte leggendo e raccontando storie ad alta voce, anche a bimbi che non hanno questa opportunità. Su “perché si muore” ho risposto recuperando dalla mia borsa L’anatra, la morte e il tulipano di Wolf Erlbruch e L’albero di Shel Silverstein, pur temendo di sbagliare, perché, delicatissimi, questi classici della letteratura per l’infanzia vanno analizzati e preparati con cura, perché occorre sentirsi solidi. Essere insegnanti. Sono emerse tracce di valori religiosi, domande su Dio (cos’è Dio? Lo conosci? E la direttrice lo conosce?). La scuola, in un sistema integrato e variegato, deve offrire occasioni di libertà di pensiero, di discussione, di ascolto di storie che aiutano ad allenare l’empatia e a stare con l’immaginario dentro a strutture narrative nutrienti. Andrebbero aggiunte considerazioni sul contributo essenziale delle altre discipline che concorrono tutte, nella varietà, all’educazione dei giovani.

Leggere

Federico Batini (Lettura ad alta voce, Carocci 2022) riporta ricerche che hanno tenuto conto di 18000 persone, dalla più tenera età fino a 18 anni. Si rileva l’importanza dell’accesso al libro, alla parola, alla condivisione e quindi alla discussione che si fonda sul dubbio. I benefici di queste pratiche sono enormi. Nonostante tutto, qualche anno fa il sindaco di centrodestra di Venezia vietò una cinquantina di libri per le scuole dell’infanzia definendoli “gender” e spiegando che trattavano di argomenti che non andavano affrontati a scuola ma in famiglia. Tra questi c’erano dei capolavori: “Pezzettino” (1975), “Guizzino” (1963) e “Piccolo Blu e Piccolo Giallo” (1959). Ma l’elenco è lunghissimo e si potrebbero discutere anche tanti altri temi che fanno paura agli adulti.

Ruolo della scuola

L’agenda scolastica 2023-2024, recentemente oggetto di discussione, presenta un testo che non è una storia, ma uno sguardo dal quale possono germogliare domande: “Guarda quella tipa, come è fluida. lo non giudico le persone per il loro orientamento sessuale o per lo loro identità di genere. Trovo che ognuno abbia il diritto di cercare di essere la persona che sente. Non è facile per nessuno, perché allora non aiutarsi a vicenda? Ora le chiedo se le va di uscire.” “Nessuno sembra capirmi, lo per prima. A volte mi sento ragazza, a volte invece mi sembra di riconoscermi in un maschio. Non si tratta di una cosa superficiale o momentanea ma di qualcosa che mi sconvolge nel profondo e che mi interra, costantemente. Al contempo è qualcosa che sento fare parte da e che mi appartiene.”

Taluni vorrebbero impedire a bambine e bambini di dieci anni di leggere, se ne hanno l’interesse, questo testo. Eppure, pur impedendo la distribuzione di questo documento, dovremmo estendere il dibattito a tutto il patrimonio letterario mondiale destinato all’infanzia. Mi sorprende, perché rileggendo la Costituzione svizzera e il testo della legge della scuola, mi sembra non ci sia nulla di sconvolgente, nelle dieci righe dell’agenda scolastica. E risuonano ancora nelle mie orecchie da bimbetto seduto tra i banchi della chiesa parole simili a: “Non giudicate, affinché non siate giudicati…”

Diario 3: in famiglia

Il ruolo della politica in una società democratica e liberale non è certamente quello di ostacolare occasioni di conflitto cognitivo, che sostengono la costruzione della persona, laddove ci sia accoglienza, ascolto e condivisione. La scuola è un’istituzione, come tale deve lavorare sui contenuti e declinarli in forme e situazioni sensate: le / gli insegnanti sono professionisti preparati a discutere, a pensare, e sono in grado di documentarsi e muoversi con delicatezza. Un insegnante non tace, leggendo il mondo. E i bambini non stanno zitti. Stiamo vivendo un paradosso: convivono fenomeni come gli youtuber, punti di riferimento di molte bambine e bambini affascinati da “contenuti” che godono di una “viralità” preoccupante (dal punto di vista emotivo anche devastante); e tentativi, da parte di alcune forze politiche, di controllare e delimitare la parola, il pensiero divergente, i libri e le immagini sulla carta.
Eppure (e qui riprendo un altro dialogo da genitore) a me capitano queste cose:

“Papà, perché i maschi non possono stirare?” 

“E chi te l’ha detto?”
“Andrea.”
“Chi è?”
“Una mia amica.”
“Tu che ne pensi?”
“Penso che sei un po’ femmina.”
“Ah sì? Boh, forse sono anche quello.”
“Dai, non fare confusione, papà!”
“Non faccio confusione. Stiamo discutendo.”
“Sì ma non si capisce più niente, se siamo disorganizzati.”
“Non siamo disorganizzati. Guarda, sto piegando la camicia.”
“Smettila. Tu discuti di un’altra cosa e io di un’altra ancora! Se fai… maschi e femmine in un miscuglio, boh.”
“Se fai un miscuglio che succede?”
“Succede come Piccolo giallo e piccolo blu.”
“Wow, bravo. Bella idea.”
“Oppure come quel libro, Extraterrestre alla pari.”
“Bianca Pitzorno. L’abbiamo letto. 1978, credo.”
“Quando sei nato tu?”
“Più o meno”
“Papà, sei vecchio. Quando muori?”
“Non ho voglia di morire.”
“Allora leggimi una storia che fa un caos, così ne possiamo discutere, come dici tu.”

Tre storie e la paura delle parole

Cito tre chicche di buona complessità immaginando una gradualità nella proposta: leggere Il bambino dei baci di Ulf Stark (2018, adatto per fine primo ciclo) Extraterrestre alla pari di Bianca Pitzorno (1979, fine secondo ciclo, inizio terzo ciclo) o analizzare Billy Elliot (per il terzo ciclo, censurato in Ungheria perché pare, secondo chi detiene il potere, faccia “diventare gay”) a scuola significa porsi domande, mettersi in discussione, cercare, cercarsi. A quattro anni i bimbi si pongono fino a trecento domande al giorno, poi il tasso scende in modo vertiginoso: cerchiamo di non azzerarlo.

Infine, la discussione sull’agenda scolastica ci fa capire in modo molto chiaro che le parole fanno paura. Questa è un’ottima notizia. Il mondo è ancora quello di una volta. Però oggi possiamo decidere addirittura di non stirare.

Daniele Dell’Agnola è autore di narrativa e musica per la scena, docente SUPSI in didattica dell’italiano e narrazione, e co-ideatore del festival di letteratura per l’infanzia “Con le ali
Articolo pubblicato da laRegione

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