La fuga dalle notizie

La fuga dalle notizie

Un’autorevole ricerca sui media afferma che a livello globale le notizie non solo non interessano, ma hanno pure stufato


Ivo Silvestro
Ivo Silvestro
La fuga dalle notizie

Tra le specie in via d’estinzione più studiate e monitorate troviamo, insieme a orsi polari e panda, anche i giornalisti. Sull’ecosistema dell’informazione abbiamo una quantità incredibile di dati e analisi a livello locale e internazionale che vanno dagli aspetti più economici (ricavi diretti e pubblicitari, numero di lettori/spettatori, situazione delle testate eccetera) a quelli più sociologici come la fiducia verso i mezzi d’informazione.

In Svizzera abbiamo l’annuario sulla qualità dei media realizzato dal Fög (Forschungszentrum Öffentlichkeit und Gesellschaft) dell’Università di Zurigo, ma a livello internazionale una delle fonti più autorevoli e interessanti – e che collabora con il Fög – è il Reuters Institute for the Study of Journalism. Leggendo il loro Digital News Report si trova un interessante dato sulla “news avoidance”. Non parliamo di persone semplicemente disinteressate alle notizie, ma di chi proprio le evita attivamente. Confesso che inizialmente questa espressione, “evitare attivamente le notizie”, non mi era chiara: nella mia testa le notizie sono una cosa che si cerca attivamente prendendo un giornale, accendendo la radio o la tv nelle ore giuste, aprendo i siti della varie testate; giusto le notifiche della app d’informazione arrivano inaspettate, ma quelle le si installa apposta. Poi però mi sono reso conto di ragionare da persona interessata alle notizie e ho provato a ripercorrere la mia giornata ragionando come se non volessi sapere dell’ultima dichiarazione del politico X o dell’intervento di polizia nella città Y ed effettivamente le notizie è facile subirle, trovandole a tradimento tra i contenuti commentati o condivisi sui social media, nelle “finestre informative” che alcune emittenti mettono nelle pause pubblicitarie e persino sugli schermi presenti nei mezzi pubblici.

Molte persone queste informazioni le evitano. Quante? Vediamo un grafico:

Negli Stati Uniti e nel Regno Unito siamo vicini alla metà della popolazione, ma anche negli altri Paesi il valore è alto, intorno a un terzo. Il che significa – dando per scontato che a voi le notizie interessino, altrimenti non avreste letto fin qui – che quando siete in fila alla cassa del supermercato la persona davanti a voi o quella dietro evitano accuratamente di leggere i titoli dei giornali esposti lì vicino.

Ma non è solo questione di quantità: nel grafico ho inserito i dati del 2019 e, quando li ho trovati, del 2017 e con l’eccezione dell’Italia dove c’è stato un leggero calo, si nota un aumento costante della “news avoidance”.

Insomma, a livello globale le notizie non solo non interessano, ma hanno anche stufato. Perché? È quello che, nell’ambito di questa ricerca, è stato chiesto a chi ha dichiarato di evitare attivamente le notizie. Una delle ragioni più diffuse è l’eccessiva presenza di notizie sulla politica e sul Covid, seguita a breve distanza dagli effetti negativi che hanno le notizie.

Molto diffuse anche le sensazioni di essere travolti dall’eccesso di informazione e di impotenza di fronte alle notizie. E ovviamente c’è chi considera l’informazione inaffidabile: quest’ultima cosa è particolarmente vera per i repubblicani negli Stati Uniti (ed è difficile esserne stupiti) mentre è per fortuna meno diffusa in Svizzera, come risulta dalla scheda nazionale del Digital News Report pubblicata dal Fög.

Questi i dati. Come dovremmo interpretarli, da persone non solo interessate alle notizie ma anche convinte che una buona informazione sia utile alla società?

Mi vengono in mente due riflessioni. La prima è che dobbiamo renderci conto che l’informazione è parte di un sistema mediatico ben più ampio ed è in competizione con il vasto mondo dell’intrattenimento per accaparrarsi quella risorsa preziosa e limitata che è il tempo. L’articolo che state leggendo non ha come concorrenti solo altri articoli pubblicati da altre testate, ma anche la videorecensione di un gadget elettronico, le foto in costume da bagno dell’ex compagna o compagno di scuola in vacanza, lo spezzone di uno spettacolo comico, l’ultima puntata di una serie tv, la baruffa nei commenti al post di un politico, commenti sulla partita di calcio di ieri sera – tutto facilmente accessibile dal dispositivo che state usando per leggere queste parole.

Il giornalismo sta in mezzo a tutto questo ma con l’ambizione di raccontare quel che succede nel mondo (o meglio le trasgressioni della norma, come osservava Piero Bianucci). Il che significa che su certi aspetti – che potremmo riassumere con il termine “gradevolezza” – si può e forse si deve competere con i contenuti di intrattenimento, ma su altri no. Avere una enorme quantità di contenuti che suscitano emozioni forti può funzionare per una piattaforma video: gli utenti cercano un catalogo ampio e va anche bene che gli innamorati si separino e i protagonisti muoiano; ma se pretendiamo di raccontare così la realtà poi ci si sente giustamente sovrastati da un flusso di notizie che hanno una cattiva influenza su di noi.

Arrivo così alla seconda riflessione: tutti i torti non li hanno, quelli che evitano le notizie. Lo scrittore Rolf DObelli ci ha scritto un libro che si intitola proprio ‘Smetti di leggere notizie’ e che ho recensito sul mio sito giudicandolo confuso, elitario ma anche condivisibile. Dobelli sembra prendersela (sembra perché il libro è, su molti aspetti, confuso) con le notizie brevi e poco significative – insomma quel giornalismo che pare prendere il peggio dal sistema dell’intrattenimento – ma sembra considerare positivamente gli approfondimenti. Con maggiore rigore, una riflessione simile l’ha fatta anche il filosofo Massimo Pigliucci in un suo articolo in inglese: “Maybe go on a news diet?

I dati sulla “news avoidance” ci mostrano quanto sia concreto il rischio di estinzione del giornalismo, ma forse ci indicano anche come possiamo adattare l’ecosistema dell’informazione per sopravvivere e prosperare.

Questo articolo riprende un testo apparso sulla newsletter settimanale L’estinto
Nell’immagine; fotografia di Mustafa Youssoufi

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