Carlo Carena e l’umanesimo necessario

Carlo Carena e l’umanesimo necessario

Un ricordo affettuoso e riconoscente del grande scrittore e traduttore di testi antichi, scomparso lo scorso novembre all’età di 98 anni


Gianni Mussini
Gianni Mussini
Carlo Carena e l’umanesimo necessario

È andato a fare la consueta passeggiata tra la Madonna della Bocciòla e il borgo di Ameno, in alto sul lago d’Orta: di fronte, la cima del Monte Rosa pare a un tiro di schioppo; sotto, l’azzurro del lago con in primo piano l’isola di San Giulio, il cui monastero frequentava qualche volta per incontrare la badessa letterata suor Anna Maria Cànopi. Il rito del giornale e ritorno, passando davanti a un fico la cui “chioma folta” gli ricordava quella che negli amatissimi Promessi sposi “sopravanzava il muro del cortile” della casa di Lucia. Poi indietro, nella villa che con la moglie Luciana aveva voluto virgilianamente chiamare “Bucoliche” (il giardino a balze, verso il lago, sino a pochi anni fa lo coltivava lui stesso con tempra di contadino). Eccolo, quindi, al suo lavoro di studioso e traduttore dei classici. E finalmente il pranzo e, ancora a tavola, un malore. Il tempo di dire “non mi sento tanto bene” e di appisolarsi sul divano, che Carlo Carena è spirato all’età di 98 anni, lo scorso 22 novembre. Una morte invidiabile.

Mi ero rivolto a lui, su invito di Franco Gavazzeni, ai tempi della mia tesi reboriana. Allora era alto dirigente dell’Einaudi. Gli scrissi una lettera a mano, spiegando il perché e il percome dei miei studi. Lui mi rispose, pure a mano, con una lunga lettera in cui mi dava dettagliati consigli. Lo rividi poi a Stresa, per un convegno proprio su Rebora, che di Carlo era stato insegnante di religione al Collegio Rosmini di Domodossola. E cominciai – auspice l’inventore di Interlinea Roberto Cicala – a collaborare con lui in diverse occasioni. Una volta mi capitò pure di intervistarlo televisivamente per il Rosmini Institute. Location fu la terrazza di casa sua: alle pareti quadri di Munari con vista aerea sul lago.

Diventammo amici, arrivando anche alla confidenza del “tu” a cui pure non eravamo portati. Ma intervenne la sua Luciana, che in un attimo fece crollare resistenze e pudori. Ecco, la bellissima Luciana (libraia provetta) è imprescindibile per capire chi fosse, anzi chi sia, Carlo Carena. Lo completava per un di più di grazia e anche per quel senso pratico che a lei veniva dall’esperienza di bottega. L’amicizia da subito coinvolse anche mia moglie che un paio di volte lo invitò a parlare al Collegio Santa Caterina di Pavia, del quale era rettrice. E insomma tra noi quattro si generò “quell’aria di spontanea confidenza, che si trova in una nuova e potente affezione, come in un’antica intrinsichezza”, per citare ancora Manzoni. Ed era una meraviglia stare con loro in quel grande soggiorno popolato di libri e di fiori, a conversare di tutto: dai massimi autori alle minime incombenze familiari. Non piccola parte delle nostre chiacchierate riguardava gli amici comuni. Dal già ricordato Franco Gavazzeni a Dante Isella, nostro professore all’università; sino alla figlia dello stesso Isella, la cara Silvia compagna di studi e ora, grazie a Carlo e Luciana, amica nel senso più pieno e più vero.

Carena aveva partecipato ai Millenni einaudiani come traduttore e curatore e ne era stato anche direttore. Per lui, “vero signore dell’editoria e principe della classicità” (così Roberto Cicala nel suo ricordo), questi libri magnanimi erano come una lunga scia che irradiava il mondo moderno di una luce antica e sempre attuale. Necessaria. Era questo lo specifico di Carlo, un continuo dialogo interiore cui partecipavano i suoi autori, da Eschilo e Plutarco sino a Orazio, Virgilio e Seneca; e poi San Paolo e Agostino, per non dire dei moderni Rebora, Angelini e Turoldo. Anche solo da questa approssimativa campionatura (gli autori e i titoli sarebbero molti di più), si intravede una chiara linea di sapienza (nel senso etimologico del termine) che armonizza il meglio della cultura laica e di quella cristiana: le quali costituivano in lui non un’antitesi ma una feconda endiadi, in cui un termine arricchiva l’altro. Sarà per questo che molte pagine delle sue, sobriamente impeccabili ed elegantissime, Carena le dedicò a Erasmo da Rotterdam, campione di mediazione tra fede e intelletto.

Una mediazione che si riscontra anche nei miei testi che volle generosamente accompagnare alla sua maniera. Fu anzi lui a incoraggiarmi a pubblicare le mie Rime cristiane che da anni giacevano nel cassetto. L’incipit di quella sua prefazione insiste proprio sull’endiadi di cui sopra: “Apri, sfogli, e incontri raramente il nome di Dio o di Gesù Cristo. Leggi sistematicamente, e ti accorgi che tutto qui è vissuto ideologicamente, eticamente, e soprattutto sentimentalmente nella più schietta visione e interpretazione del cristianesimo”.

Lo stesso per lo struggente carteggio tra il Rebora ormai morente e il giovanissimo editore Vanni Scheiwiller. Qui si citano come auctoritates il gran Contini e monsignor Cesare Angelini, entrambi amici di Carena. Inevitabile offrire ancora a lui la presentazione del volume, che vide la luce con titolo, Critica e carità, che insiste ancora sul discrimine tra fede e, in questo caso, filologia.

Sono tutti testi editi da Interlinea, e questo è un nuovo tratto della vicenda etica e letteraria di Carena che merita di essere ricordato. Per questa piccola ma coltissima casa editrice Carlo aveva pubblicato molte delle sue ultime cose e ispirato le collane Passio e Nativitas: serie ininterrotte di gioielli pasquali e natalizi che esprimono – di nuovo – il suo umanesimo integrale.

Siamo tornati da lui la mattina dei funerali, trovando Luciana affranta e come sempre bellissima, nonostante l’età avanzata. E abbiamo visitato lui disteso sul letto, ancora con il maglioncino celeste che era diventato il suo emblema. “Certo non possiamo lamentarci, proprio noi”, ripeteva al telefono lo scorso 4 novembre, quando lo chiamammo per gli auguri di San Carlo. Alludeva alla fortuna di una vita lunga e ricca di bellezza. Tanto che spesso gli ripetevo: “Da grande voglio fare il Carena”.

Lo stesso giorno della morte, Cicala pubblicava sul web un video in cui lo si vede sempre con il suo maglioncino celeste: parla di tanti libri, ma tra le mani Carlo ha i Canti anonimi reboriani da me curati… Che bel regalo.

Nell’annuncio funebre, dettato dalla moglie, le parole dell’amato Erasmo: “Quanto più un uomo invecchia, tanto più si riavvicina alla fanciullezza, finché lascia questo mondo in tutto come un bambino al di là del tedio della vita e al di là del senso della morte”. Un epitaffio che rallegra, non è vero?

Nell’immagine: Carlo Carena

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