Il comun denominatore che proprio non c’è

Il comun denominatore che proprio non c’è

Dibattito sulle prospettive della sinistra disunita - Contributo di Bruno Brughera


Redazione
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Il comun denominatore che proprio non c’è

Interrogativi sull’ipotesi di una politica unitaria di una sinistra divisa, frazionata e litigiosa

A più di un anno di distanza siamo già con la testa nella campagna elettorale per le Cantonali ‘23 e qua e là si cominciano ad intravvedere i primi movimenti di partito, le varie chiusure tipo “serrate i ranghi” ma anche ragionamenti e calcoli che hanno fin troppo evidentemente un implicito sapore elettoralistico. È un fenomeno che si manifesta un po’ in tutti gli schieramenti e che qui si vorrebbe provare ad indagare per provare a sollevare, nella litigiosa e frammentata realtà della sinistra, qualche possibile questione cruciale che pare costantemente elusa.

Mi sembra infatti urgente chiedersi perché una sorta di triste teatrino si manifesti ogni quattro anni, senza che dentro questo lasso di tempo vi siano stati segnali di un rinnovato e necessario dialogo, un progetto di lavoro comune per almeno alcuni temi imprescindibili di area.

Non vi sembra strano che ognuno vada per la sua strada per poco più di tre anni e poi di assemblea in assemblea, emergano, sempre più numerosi, appelli, aperture, simpatie ed antipatie a gogo? Possibile che non si possano costruire delle basi solide e chiare nel corso delle legislature, che vadano nell’interesse dei cittadini e di quelle fasce che necessitano di maggior attenzione? Potrei enumerare una lunga serie di casi specifici relativi a temi di grande rilievo che rimangono sul tavolo per anni a causa della mancanza di progetti condivisi da parte di espressioni della sinistra che a parole paiono tutte orientate verso gli stessi obiettivi, ma che poi di fatto, passano il tempo ad affermare le proprie specifiche posizioni, sempre un po’ diverse, sempre un po’ migliori di quelle degli altri. E intanto, a destra, si continua a dettare indisturbati l’agenda e le scelte di fondo della politica cantonale.

Potrei porre un’infinità di domande a cui, per ora, non ho avuto risposta. Ne vorrei ribadire una, in particolare: con quale “linguaggio” la sinistra può elaborare o rielaborare i termini di un dialogo costruttivo che sia sufficientemente condiviso e nel contempo comprensibile, accessibile, per le persone, le fasce popolari di lavoratori e lavoratrici, cui idealmente ci si rivolge ma che troppo spesso non si sanno raggiungere? Quello che le destre hanno intuito da tempo, è la forza della comunicazione diretta e apparentemente schietta. Dove tutto viene fatto sembrare semplice con l’aggiunta di facili ricette.

Tutto viene ridotto ad un discorso, quello del populismo, che si rivolge alle pance (e al borsello) degli elettori molto più che alla ragione e alla ragionevolezza. Funziona, in modo perverso ma funziona.

Come adottare dunque un codice di comunicazione “virtuoso” che sia altrettanto capace di essere accolto, capito e sostenuto? Naturalmente io non ho una risposta, ma, appunto, mi ostino a porre la domanda, perché mi pare importante e perché credo che a partire da qui, forse, potrebbe nascere un modo nuovo per trovare quelle intese che non siano soltanto opportunisticamente elaborate ogni quattro anni per le scadenze elettorali, ma che nutrano il necessario dibattito interno alle diverse correnti della sinistra affinché, per prima cosa, sappiano parlarsi fra di loro.

A livello ticinese, mi vengono in mente, in proposito, due casi. Le lunghe e pedanti prese di posizione del Movimento per il socialismo e le elucubrazioni del Partito Comunista con i suoi toni piuttosto nostalgici di un passato vetero-comunista.

Prendiamo l’esempio dell’Mps: chi lo capisce? Chi riesce oggettivamente a comprendere quale sia il disegno di Sergi e dei suoi sostenitori? Il Movimento si definisce l’unica vera forza di opposizione, già, ma opposizione a cosa, a chi? Sono così prevedibili nel loro essere soli contro tutti e nella pretesa di essere gli unici alfieri dei valori socialisti in Ticino che nessuno degli altri partiti sembra più disposto ad ascoltarli.

Allora, proviamo a vedere come si muovono le altre forze di sinistra. Partiamo dalle ultime elezioni federali. Avere ottenuto una rappresentante donna di sinistra agli Stati e una verde, eletta al Nazionale grazie all’alleanza rosso-verde, ci autorizza a credere che negli ultimi anni l’area si sia rafforzata? Credo di no, tutt’altro; all’insaputa degli elettori, la conflittualità tra i vari gruppi e la loro gara a prevalere e a distinguersi ha spesso inficiato la realizzazione degli obiettivi comuni che nelle alleanze erano stati sbandierati. Il rafforzamento non si è affatto concretizzato.

Non so fino a che punto l’elettorato di sinistra sarà ancora disposto ad assistere, senza smobilitarsi, al teatrino degli accordi e delle ammucchiate elettorali.

Quello che ci attende fra poco più di un anno non si prospetta, infatti, come un confronto trasparente tra programmi e visioni politiche, ma piuttosto come una lotta fratricida tra persone, magari tra una militante verde e poco rossa come Greta Gysin e un’esponente della deriva socialista come Amalia Mirante.

Non c’è un solo movimento o partito che crede veramente nell’unità di area al di là di interessi personali. Nessuno che abbia qualche legittimo dubbio, da fugare, magari, ascoltando altre voci, differenti posizioni. Tutti con la certezza di essere nel giusto, per definizione.

La sinistra cosiddetta radicale non riesce a produrre alcunché se non qualche timida apparizione sul territorio (vedi sit-in per lavoratori della logistica, più che altro di stampo sindacale) mentre per altri temi si trova il più delle volte disunita.

Non la unisce la tematica ambientalista perché i verdi propongono soluzioni che possono spesso andare a toccare finanziariamente gli interessi immediati del ceto medio e dei ceti più deboli, soprattutto per chi vive in periferia.

Poi abbiamo le ambiguità del PS che sostiene sia in campo comunale che cantonale posizioni e scelte di esecutivi a maggioranza borghese senza una linea precisa e senza disporre di una direzione autorevole.

Nel mezzo di questo “minestrone” abbiamo l’ombrosa presenza di “Forum Alternativo”. Un movimento nato per unire l’area rosso-verde e per cercare di riportare il PS a scelte più coraggiose e stabili di sinistra. Purtroppo, in questi due anni, ho assistito, dall’interno, a scelte e prese di posizione quantomeno discutibili, con continui attacchi e continue critiche a quelli che dovevano essere sulla carta degli “alleati”.

E così, paradossalmente, ma anche significativamente, quello che per definizione si vorrebbe “forum”, ovvero piattaforma per un dibattito costruttivo che sappia porre le basi per creare un comun denominatore nella sinistra, si mostra come l’ennesima forma di “frazione”, volta a distinguersi e dissociarsi.

E allora io mi permetto soltanto di tornare a porre la mia domanda: quale “linguaggio” saprà far parlare la sinistra al proprio interno, e farla parlare in modo chiaro e trasparente agli elettori?

Nell’immagine: Redesign, di Davide Boriani

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