Questo è il motivo per cui la maggioranza nel Pe è la stessa del precedente mandato, includendo il gruppo dei popolari, dei socialisti e dei liberali. Paradossalmente è anche il motivo per cui i verdi – tra gli sconfitti di questa tornata elettorale a differenza del loro successo nel 2019 – siano più concilianti e aperti a far parte della maggioranza, che sia nella nomina delle più alte cariche, o che sia nella definizione dell’agenda legislativa dei prossimi anni.
Questo è il sottostante politico delle nomine che il Consiglio europeo si appresta a decidere per poi sottoporre al Pe (nel caso del presidente della Commissione e dell’Alto rappresentante). C’è chi le giudica affrettate, ed è certo che le imminenti elezioni parlamentari francesi, che porteranno probabilmente nuovi stravolgimenti nel già critico firmamento politico europeo, abbiano motivato molti capi di stato e di governo a chiudere la partita delle nomine al più presto. Ma in realtà i nomi di Ursula von der Leyen (popolare), da riconfermare come Presidente della Commissione, Antonio Costa (socialista) alla presidenza del Consiglio europeo, e Kaja Kallas (liberale), come Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione, circolano da mesi.
E sono nomi di peso. Nonostante provengano da geografie e famiglie politiche diverse, hanno tre caratteristiche in comune. La prima è che sono forti sostenitori della liberaldemocrazia e dello Stato di diritto. Sappiamo che tra le minacce più insidiose dell’estrema destra c’è precisamente l’erosione dello Stato di diritto, attraverso la centralizzazione del potere nelle mani dell’esecutivo e lo svuotamento dell’indipendenza della magistratura. Lo Stato di diritto è stato tra le battaglie principali di Von der Leyen nei confronti dell’Ungheria di Orbán e la Polonia fino a qualche mese fa nelle mani del PiS. Motivo per cui è da escludere il sostegno del PiS, nel gruppo Ecr, al bis della presidente uscente.
Secondo, i tre sono marcatamente europeisti, e sostengono l’integrazione europea su temi cruciali come la difesa. L’idea degli eurobond per la difesa fu lanciata a febbraio scorso proprio dalla premier estone Kallas. Non è comune per una leader dell’Est Europa avere il coraggio di spendersi in questo modo sul dossier tradizionalmente più ostico all’integrazione europea, ossia la difesa.
Terzo e ultimo, tutti e tre sono fermi sostenitori dell’Ucraina, della sua difesa dall’aggressione russa e della sua integrazione nell’Ue. Questo è più scontato nel caso dell’estone liberale Kallas e della tedesca popolare von der Leyen, ma è altrettanto vero per il portoghese socialista Costa. Nonostante Lisbona sia lontana da Kyiv, la chiarezza del dibattito strategico portoghese (così come quello spagnolo) sulla guerra in Ucraina è anni luce da quello ambiguo dell’Italia.
Nel caos politico in cui si trova l’Europa, con Francia e Germania che traballano e l’Italia che rischia di mostrare sempre più il suo volto euroscettico, con l’invasione della Russia in Ucraina, la guerra in Medio Oriente, le tensioni nella penisola coreana e nel Mar cinese meridionale, e con la guerra di dazi con la Cina, la crisi climatica e la sfida dell’intelligenza artificiale, accordarsi su un trio europeo che condivide quantomeno l’importanza esistenziale della liberal democrazia, dell’integrazione europea e della sicurezza del continente è rassicurante.
Che sia sufficiente, soprattutto se dovesse tornare Donald Trump alla Casa Bianca, è tutt’altra storia.
Nell’immagine: la premier estone Kaja Kallas, che guiderà la politica estera della Commissione europea al posto di Borrell, con l’attuale presidente della Commssione Ursula von der Leyen