L’economia britannica è ostaggio di idee superate
Mentre i piani del primo ministro Rishi Sunak mostrano una mancanza di fiducia nel ruolo dello stato, quelli dei laburisti sono vittima di una falsa dicotomia tra spesa e crescita
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Mentre i piani del primo ministro Rishi Sunak mostrano una mancanza di fiducia nel ruolo dello stato, quelli dei laburisti sono vittima di una falsa dicotomia tra spesa e crescita
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Mentre i piani del primo ministro Rishi Sunak mostrano una mancanza di fiducia nel ruolo dello stato, quelli dei laburisti sono vittima di una falsa dicotomia tra spesa e crescita
Di Mariana Mazzucato, Internazionale
Nel Regno Unito tutti i politici sembrano essere d’accordo su una cosa: la crescita. Ma nonostante i discorsi sulla necessità di rianimare la stagnante economia britannica, pochi segnali (finora) fanno pensare che qualche partito riuscirà a cambiare le cose. I leader di tutti gli schieramenti sono, per citare le parole di John Maynard Keynes, “schiavi di qualche economista defunto”.
Il primo ministro Rishi Sunak (conservatore) sta portando avanti una strategia industriale frammentaria, corteggiando aziende come la Jaguar Land Rover per convincerle a trasferire le loro attività nel Regno Unito e cercando di rendere più competitivi alcuni settori. Dalla parte opposta, Keir Starmer dipinge il suo Labour come un partito “economicamente responsabile”, concentrato sulla crescita piuttosto che sulle “grandi spese”, e sta ridimensionando impegni presi in precedenza, tra cui un fondo per gli investimenti sulle energie rinnovabili.
Mentre i piani di Sunak mostrano una mancanza di fiducia nel ruolo dello stato nell’economia, quelli di Starmer sono vittima di una falsa dicotomia tra spesa e crescita. Con un po’ di lungimiranza, invece, i governi hanno il potere di promuovere una crescita inclusiva, sostenibile e basata sull’innovazione. Stabilire obiettivi coraggiosi che richiedono la collaborazione tra pubblico e privato può aiutare gli investimenti delle aziende, stimolando l’occupazione, la formazione e la produttività. Questi benefici sono un effetto secondario degli investimenti mirati, non sono l’obiettivo centrale. Se ben attuato, un metodo simile può tenere insieme le priorità economiche, sociali e ambientali. Per esempio, degli investimenti su mense scolastiche sane e sostenibili, oltre ad aiutare ragazze e ragazzi, possono creare un’enorme opportunità per l’agricoltura e l’industria alimentare britannica, com’è già successo in Svezia.
Nel Regno Unito Starmer finora ha evitato di prendere un impegno per garantire mense scolastiche gratuite nelle scuole primarie. Sunak non solo ha ignorato la questione, ma si sta anche scagliando contro chi afferma che gli scarsi investimenti nelle infrastrutture hanno portato a edifici scolastici fatiscenti. Invece di essere considerata un costo, la spesa per l’istruzione, le mense e altre priorità – come la lotta al cambiamento climatico, alla crisi del sistema sanitario e al divario digitale – dovrebbe essere riconosciuta come un investimento in grado di guidare l’innovazione.
Nel mio libro Lo stato innovatore (Laterza 2014) scrivo che i governi devono investire (anziché tagliare) per raggiungere la crescita e devono farlo accettando un’assunzione collettiva dei rischi. Ma è fondamentale garantire che sia i rischi sia i benefici siano condivisi. A cosa è servito che i governi investissero nelle tecnologie che rendono i nostri smartphone intelligenti (internet, il gps, il touch screen e Siri sono tutti frutto d’investimenti pubblici) se poi la ricchezza che ne deriva è assorbita dal settore privato? Dieci anni più tardi i governi di tutto il mondo stanno portando avanti delle strategie industriali, in particolare negli Stati Uniti, dove sono stati stanziati duemila miliardi per modernizzare le infrastrutture, per attirare nel paese i produttori di processori e per ridurre l’inflazione.
Per realizzare riforme simili servono quattro cambiamenti nel modo di pensare. Prima di tutto è necessario stabilire una direzione chiara: gli stati possono orientare gli investimenti per l’industria verso obiettivi coraggiosi – come pasti sani, sostenibili e gustosi per tutti i bambini – e plasmare economie che non solo crescono, ma lo fanno in modi pensati per portare benefici alle persone e al pianeta. In secondo luogo, i governi dovrebbero affrontare la relazione tra stato, aziende e lavoratori perché rischi e benefici siano condivisi. Serve un nuovo contratto sociale. Terzo, bisogna coinvolgere i cittadini. In un momento in cui il disincanto nei confronti dello stato è dilagante, è indispensabile che le strategie economiche entrino in connessione con le persone. Infine, plasmare la crescita richiede investimenti in competenze, strumenti e istituzioni del settore pubblico dinamici, per ricostruire la funzione imprenditoriale dello stato. Questo significa evitare di fare troppo affidamento sulle società di consulenza, un errore commesso più volte dal Regno Unito. Il rilancio dell’economia britannica non è una questione di più stato o meno stato. Si tratta piuttosto di sostenere uno stato intelligente e competente, consapevole del suo ruolo. Se questa direzione non verrà allineata con obiettivi di sostenibilità, salute pubblica e inclusione, un’economia fiorente e resiliente rimarrà un’obiettivo difficile da realizzare.
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