Siamo sicuri che la direzione sia giusta?
La battaglia per i diritti LGBTQ+ e quelle “sfumature” che diventano soprattutto linguistiche - Di Bruno Brughera
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La battaglia per i diritti LGBTQ+ e quelle “sfumature” che diventano soprattutto linguistiche - Di Bruno Brughera
• – Redazione
In un periodo di alta inflazione, che sta scuotendo le basi economiche di gran parte dell’Europa, il migrante si trasforma nel facile capro espiatorio foriero di tutte le colpe dei disordini sociali
• – Redazione
A pochi giorni dal preoccupante rapporto sulla pedofilia nella Chiesa cattolica svizzera, il presidente della conferenza episcopale interviene a sorpresa auspicando la doppia svolta
• – Aldo Sofia
Inondazioni, difficoltà economiche, epurazioni, le sfide di Xi Jinping sotto la lente
• – Loretta Dalpozzo
Un omicidio al rallentatore sotto i nostri occhi
• – Redazione
Dall’invasione dell’Ungheria ai gulag di Solženicyn sono stati diversi gli errori dell’ex presidente ma ha saputo più volte tornare sui suoi passi come quando onorò gli italiani vittime dello stalinismo
• – Gabriele Nissim
È l’ultima del governo Meloni: se il migrante irregolare non vuol finire in un centro di raccolta chiuso da filo spinato e alta sorveglianza, può versare allo Stato 4.930 euro; vergognosa e immorale tangente in cambio di libertà
• – Aldo Sofia
A proposito della conferenza stampa del Consigliere federale Cassis e del Presidente del Governo Cantonale De Rosa a Bellinzona
• – Enrico Lombardi
Giornalisti arrestati e interrogati dalla polizia o addirittura dai servizi segreti, movimenti di attivisti fermati dalle autorità: la Francia di Macron è uno Stato che fa sempre più uso della repressione
• – Federico Franchini
Oggi sembra impossibile confrontarsi sui temi della contemporaneità. La diversità di idee è bandita. Eppure serve ripartire proprio da qui
• – Redazione
La battaglia per i diritti LGBTQ+ e quelle “sfumature” che diventano soprattutto linguistiche - Di Bruno Brughera
Il tema è, evidentemente, quello legato ad una nuova sensibilità richiesta nel trattare le questioni di genere e di orientamento sessuale, una preoccupazione che credo meriti il massimo rispetto. Le problematiche di genere, connesse alle rivendicazioni legittime del movimento LGBTQ+, sono oramai all’ordine del giorno. Ma sono non di rado diventate anche fonte di molta confusione, forse per ignoranza sul “fronte” etero, ma anche molta aggressività e intolleranza da ambo le parti.
Il problema non è ovviamente riconducibile solo a questioni biologiche o di essenza del genere umano. La fluidità con cui stanno emergendo modi di percepirsi e di viversi, impone chiaramente a tutti di riconsiderare usi e costumi della società cosiddetta tradizionale.
Si sta andando ben oltre il dibattito sulle famiglie arcobaleno che ancora in tanti pensano che minino l’istituzione della famiglia tradizionale e addirittura il futuro del genere umano. Dalle prime lotte di rivendicazione dei diritti degli omosessuali – penso a lesbiche e gay – siamo passati all’emergere di altre “condizioni”, forme di cosiddetta “diversità”, a cominciare dalle persone trans.
Nei Paesi più progressisti il diritto a non essere discriminati per l’orientamento sessuale e di genere, è una realtà accettata a pieno titolo, mentre per altri Paesi la strada è ancora lunga e disseminata di ostacoli, dalle ingerenze religiose, a quelle culturali, frutto di società patriarcali ed intolleranti, in cui non mancano gli eccessi che possono portare a crimini omofobi.
La situazione attuale, con l’ampliamento a nuove forme identitarie quali agender (senza genere – chi non si riconosce in un genere classificabile come femminile o maschile, o che non si identifica con alcuna identità di genere) o genderqueer (termine ombrello che raggruppa le diverse definizioni identitarie descritte sopra, non rientranti esclusivamente nel binomio femminile/maschile), genderfluid (quando l’identità di genere è mutevole tra due o più generi, femminile/maschile/neutro) mostra chiaramente quanto complesso e stratificato sia il tema. Si impone quindi uno sforzo non scontato né evidente di comprensione ed integrazione o accoglienza per chi è cresciuto come eterosessuale in una società costruita culturalmente, economicamente, e politicamente sul binomio maschile / femminile.
Una società, va pur detto, che per quanto capace di adattamento alla trasformazione, ancora non ha finito di affrontare un nodo cruciale qual è quello della “parità dei sessi” nel sostegno alla causa dei diritti della donna. Una battaglia sacrosanta che ha, se vogliamo, nella definizione e distinzione dei due sessi una importante chiave interpretativa, che si vorrebbe ora mettere in discussione, in nome appunto delle tante sfumature di genere e orientamento. Così, a livello linguistico, nella scelta dei termini o delle forme grammaticali da usare per esprimere l’esigenza di rappresentare una realtà multiforme, si stanno adottando “stratagemmi” di vario genere, con suggerimenti o vere e proprie norme di utilizzazione della lingua cui non è certo facile aderire senza un minimo di resistenza, tanto più se, in un clima socio-culturale capace facilmente di infiammarsi, l’uso di termini linguistici appropriati o inappropriati diventa di fatto un nuovo campo di battaglia.
Ecco, dunque, che ci si trova improvvisamente di fronte ad “istruzioni” come quella del servizio consulenza della Città di Zurigo, che invitano ad abolire parole come “mamma” o “papà”, in favore di un più neutro “genitore”. E qui, francamente, faccio fatica a capire e ad adeguarmi, per almeno due ragioni: madre e padre sono l’essenza della coppia genitoriale a cui ogni bambino deve poter far affidamento. Non importa il sesso biologico, ma che vi siano, nel limite del possibile, due figure ben identificabili, perché i due ruoli sono complementari, come ci hanno sempre detto i più autorevoli e riconosciuti studi di psicologia infantile. Ma poi, quando leggiamo, nel citato articolo, che anche a “ragazzo” o “ragazza” è preferibile l’opzione “Kind”, ovvero “bambino”, finiamo inevitabilmente in una complicatissima questione linguistica, che ben sappiamo vede nel tedesco la possibilità di usare parole “neutre” (Kind, appunto) che l’italiano non ha. Dunque, la raccomandazione di usare “bambino”, in italiano è ridicola, perché immediatamente si potrebbe rispondere “e bambina no?”.
La ricerca ad ogni costo della neutralità è una strada percorribile, l’unica direzione giusta? Certo, il mondo che cambia ha bisogno di un linguaggio che lo sappia raccontare e descrivere. Logicamente, si tratta di un processo parallelo a quello dei cambiamenti di usi, costumi, atteggiamenti, sensibilità; anche la lingua dovrà trovare le sue nuove forme, che del resto hanno già qualche esempio nell’adozione di asterischi o di “e” rovesciate.
Resta però da chiedersi se, a volte, di questi tempi, non si stia un po’ troppo insistendo su aspetti formali, linguistici appunto, magari per arrivare in poco tempo a discussioni e polemiche, invece di saper assecondare la necessità di tempi e modi insiti nella trasformazione di regole e convenzioni sociali tanto radicate. E poi, forse, domandarsi, anche, se, in certi casi, non si stia un po’ eccedendo nello zelo.
È impossibile (e inutile) attribuire un’opinione sull’attualità ad una persona morta da quasi un secolo e mezzo, anche se si chiama Marx - Di Damiano Bardelli, storico