Pavel Kudyukin, classe 1953, si è laureato presso la Facoltà di Storia dell’Università Statale di Mosca nel 1976, e nel 1981 presso l’Istituto di Economia Mondiale e Relazioni Internazionali dell’Accademia delle Scienze dell’URSS. È stato direttore del Centro per i problemi della Pubblica Amministrazione presso la Scuola Superiore. Dal 1973 partecipa al movimento studentesco di Mosca e nel 1977 forma il movimento socialista democratico clandestino (il cosiddetto “circolo dei giovani socialisti”).
Il 6 aprile 1982, venne arrestato dal KGB, accusato di agitazione politica e propaganda antisovietica, inoltre di guidare un’organizzazione anti-Urss. Fu rinchiuso nel carcere di Lefortovo e rilasciato solo un anno dopo. Dalla fine del 1986 è tornato all’attività sociale e politica attiva come co-fondatore del “Club Perestroika/Perestroika Democratica”. Nel maggio 1990 è stato uno dei fondatori del Confederazione del Lavoro e del movimento socialdemocratico. Dal 1991 al 1993, Vice Ministro del Lavoro e dell’Occupazione della Federazione. Nell’aprile 2013 venne eletto co-presidente del Consiglio centrale del Sindacato interregionale dei dipendenti delle scuole superiori, “Solidarietà universitaria”. Nel febbraio 2022 ha firmato una lettera aperta di scienziati e giornalisti scientifici russi che condannano l’invasione della Russia in Ucraina e chiedono il ritiro delle truppe russe.
Ha rilasciato questa intervista a “Naufraghi/e” durante i tre giorni di voto per la presidenza della Federazione.
Dal nostro corrispondente da Mosca
Quale deve essere l’approccio dell’opposizione a queste elezioni?
Credo che la tattica migliore sia di votare contro tutti, ovvero di votare per più candidati e come si direbbe da voi annullare la scheda. E farlo presentatosi ai seggi l’ultimo giorno, domenica 17 marzo a mezzogiorno, come lasciò detto Navalny.
Allora quale valutazione dà di questo voto?
Si tratta in tutto e per tutto di una farsa, si tratta essenzialmente di un plebiscito che vuole mettere una parola definitiva su chi comanda in Russia. In cui risulti evidente che tra Putin e gli altri candidati ci sia un divario tale da rendere il suo potere indiscusso e completo. Non si tratta di un’imitazione del voto popolare che somigli molto a ciò succedeva in URSS. Ora il sostegno regime non risulterà del 99,9%, sarà un pochino meno alto perché agiscono con più furbizia, ma ciò non cambia la sostanza delle cose.
Ma il presidente Putin cerca una legittimazione soprattutto a livello interno?
Prima di tutto vuole convincere sé stesso e la popolazione che il suo potere è indiscusso, che il suo potere gli giunge direttamente dalle mani di Dio, che quasi tutta la popolazione lo sostiene e sostiene la sua politica.
Cosa possiamo aspettarci che succederà dopo quello che sarà un plebiscito, sia a livello interno che internazionale?
Non ci si può aspettare nulla di buono. È molto probabile che la dialettica e il pluralismo interni si riducano ancora di più, e che aumenti la repressione contro l’opposizione. Inoltre molti si attendono una nuova ondata di mobilitazione dell’esercito, e dunque che la guerra in Ucraina riprenda ancora più intensamente.
Con l’estensione della guerra in tutta l’Ucraina?
Sì perché questa è stata sin dall’inizio una guerra di conquista e non per “liberare il Donbass”. Ma io sono per natura ottimista e la gente ha già iniziato a stancarsi di questa guerra, cresce il malcontento di chi è al fronte e in prospettiva non è da escludere qualcosa come la rivoluzione del Febbraio 1917 (ndr: la rivoluzione menscevica).
Ma oggi è ancora possibile fare dell’opposizione in Russia?
È possibile usando nuove forme. Va detto che la maggioranza degli oppositori attivi sono rimasti in Russia. Certo le figure pubbliche più in vista sono emigrate o sono in prigione, ma allo stesso tempo il numero di nuovi potenziali oppositori è aumentato, è molto più alto di quanto si pensi. Le forme d’azione sono diventate perlopiù clandestine, ma allo stesso tempo emergono nuove forme di opposizione pubblica come le proteste delle madri e delle mogli degli uomini arruolati che chiedono il loro rientro dal fronte. Sono tutti elementi che inducono all’ottimismo.
Queste “nuove forme” possono cambiare la situazione?
Non subito. E ciò va collegato alla posizione di chi non sostiene la guerra ma che ancora non protesta.
Lei è stato all’opposizione praticamente per tutta la vita. Quali differenze ci sono tra l’epoca dell’Urss e ora?
Oggi ci sono nuovi mezzi tecnici come Internet. Se al posto della solo macchina da scrivere e le fotocopiatrici avessimo avuto allora il web forse avremmo combinato qualcosa di più. Tuttavia bisogna segnalare che ora i detenuti politici sono più numerosi di quelli che c’erano in URSS. E anche le pene sono nettamente più dure. Per attività antisovietica un tempo potevi prendere fino a 7 anni di prigione e 5 anni di confino, ora le condanne sono decisamente più pesanti.
Perché ha deciso dii restare nel Paese?
Perché penso che le voci espresse dall’interno del paese siano considerate più credibili. Quando una persona si trova in una situazione di sicurezza precaria pensa: “certo, è facile parlare contro Putin dall’estero” ma se si dicono le stesse cose all’interno tutto diventa più credibile. Inoltre se inizierà a muoversi qualcosa, l’importante sarà essere qui sin dai primi giorni.
Ma non è pericoloso?
È il normale rischio di un oppositore in un Paese autoritario.
È coraggioso…
Non lo so, può darsi.
Lei ha firmato un appello contro la guerra due anni fa. In questo periodo l’isolamento della Russia è aumentato?
Sì, ma bisogna distinguere tra l’isolamento dai comuni cittadini e quello dalle strutture istituzionali. Nel primo caso la cosa rende certo più difficile la vita anche per chi è all’opposizione: è per esempio più difficile uscire dal Paese o solo disporre di una carta di credito. Ma è aumentato anche l’isolamento dal regime. Per questo dico che tanto più cresce, tanto più l’Occidente deve essere aperto nei confronti dei normali cittadini russi. Ci vuole il massimo di sostegno per gli oppositori che si trovano all’estero in modo che possano far sentire la loro voce ma anche accrescere “la diplomazia dei popoli”. In modo tale che i russi capiscano che i cittadini occidentali non sono così cattivi come l’imperdonabile propaganda russa li sta dipingendo a credere.
Le sanzioni economiche hanno funzionato in questi anni?
Molte sanzioni hanno colpito nel mucchio, hanno provocato problemi anche per la gente comune, ma sicuramente quelle contro le tecnologie per uso militare hanno avuto il loro effetto, ma bisogna fare in modo che non possano essere aggirate. Certo Iran e Corea del Nord continueranno ad aiutare la Russia, ma la Cina già teme le ritorsioni occidentali.
Putin si prepara ad altri sei anni di potere ma se per un qualche motivo oggi imprevisto dovesse uscire di scena cosa accadrà?
Difficile dirlo. Dipende dalla ragione per cui succederà. È diverso se uscirà di scena per morte naturale, per una congiura di parte dell’élite o per una rivolta popolare. Sarebbero scenari completamente diversi, e con sviluppi diversi; comunque in tutte e tre le ipotesi si aprirebbero spazi importanti per l’opposizione.
Non ha mai dei momenti in cui sente che tutto sia perduto?
Certo, a volte mi cadono le braccia, ma mi chiedo se non sia nutrito da una sorta di stoicismo interiore. I miei lontani antenati erano degli ortodossi “vecchi credenti”, che durante lo zarismo ne subirono molto per il loro credo religioso. Forse un po’ del loro sangue mi è rimasto nelle vene.
Con l’uscita di scena di Navalny, l’opposizione non è più debole?
Per certi versi sì; ma non darei troppa importanza al ruolo di Navalny. Non è mai stato l’unico leader indiscusso dell’opposizione. Certo negli ultimi anni la sua autorevolezza si era accresciuta per il coraggio che ha avuto prima tornando dalla Germania e poi con la prigionia. Navalny anche ora, da morto, è un simbolo, ma non per tutti. In vita è stato anche assai criticato. Quando un politico è attivo è normale che attiri anche molte critiche. Però io credo che uno dei grandi problemi dell’opposizione in Russia è quello di trovare un unico simbolo, e un unico leader. Oggi dimostriamo che non abbiamo sufficiente autostima in noi come popolo. Questo è un limite che prima o poi dovremo superare.