Nel Nicaragua di Ortega in carcere le donne che fecero la rivoluzione
Niente festa dell’8 marzo, e carcere per diverse protagoniste della lotta per la democrazia e la libertà
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Niente festa dell’8 marzo, e carcere per diverse protagoniste della lotta per la democrazia e la libertà
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Niente festa dell’8 marzo, e carcere per diverse protagoniste della lotta per la democrazia e la libertà
Samantha è la prigioniera di coscienza più giovane delle 14 donne di differenti estrazioni politiche rinchiuse da mesi per essersi espresse contro l’autarchia del clan familiare degli Ortega in Nicaragua. Diverse di loro hanno o sfiorano i settant’anni; come Violeta Granera, la più anziana, che in cella ha perso venti chili oltre che quasi tutti i denti. O come Cristiana Chamorro, candidata presidenziale prima che nel giugno scorso fosse posta (per sua fortuna solo) agli arresti domiciliari. Anche lei la scorsa settimana ha dovuto comparire di fronte ai giudici per presunto “riciclaggio a fini terroristici” dei fondi della Fondazione intitolata a sua madre, la ex presidente Violeta de Chamorro.
Ma un accanimento particolare è riservato alle quattro detenute politiche ex compagne di lotta di Ortega e oggi dissidenti dopo che si son viste ribaltare i valori del sandinismo rivoluzionario. A cominciare dalla mitica comandante guerrigliera Dora Maria Tellez (66 anni), ministro della sanità durante la rivoluzione, condannata la scorsa settimana a otto anni di reclusione per fantomatici “atti contro l’indipendenza e la sovranità nazionale”, in uno pseudo-processo che si è svolto nello stesso penitenziario senza che avesse potuto mai incontrare un avvocato.
Una prigionia la loro fatta d’isolamento, malnutrizione, maltrattamenti, interrogatori continui e rare visite dei familiari. Trattamento che ha indotto il regime a trasferire agli arresti nei loro domicili per ragioni di salute cinque reclusi politici dei 177 totali (maschi e femmine) per non rischiare che muoiano di stenti nelle galere orteguiste. Come è toccato l’11 febbraio scorso all’ex guerrigliero e generale dell’esercito sandinista Hugo Torres, ricoverato in un ospedale della polizia dopo diversi svenimenti nella cella dove era stato rinchiuso (sano) nel giugno dello scorso anno.
Ma in questi tragici giorni, 8 marzo compreso, che in Nicaragua non si festeggia più in piazza dal 2018, spicca pure la progressiva chiusura di tutte le associazioni e ong che si occupavano di donne. A cominciare (dopo 31 anni) dal Colectivo de Mujeres de Matagalpa che difendeva le condizioni di genere in area rurale. Per finire con la più recente Asociación de Mujeres Trabajadoras y Desempleadas Maria Elena Cuadra, inserita nella Rete Centroamericana di Solidarietà con le Lavoratrici delle Maquilas, ovvero delle fabbriche straniere di assemblaggio e confezionamento per l’esportazione (esentasse) in particolare di prodotti tessili: che impongono infimi salari oltre che tremende condizioni di sfruttamento; e dove i sindacati sono proibiti.
A tirare le fila di questa peculiare deriva al femminile è la co-presidente (nonché consorte) di Ortega, Rosario Murillo, che si vanta sottolineando come il Nicaragua sia il terzo paese al mondo con più deputate in parlamento. Se non fosse che si tratta proprio dell’assise che ha messo fuorilegge ogni istanza organizzata femminista. Del resto cosa ci si sarebbe potuti aspettare da colei che nel 2007, all’esordio del fatale nuovo corso di Daniel Ortega, introdusse una legge che vieta per la prima volta in Nicaragua l’aborto anche nel caso di violenza o di pericolo di salute per la gestante? E che qualche anno prima aveva sconfessato sua figlia Zoilamerica (oggi riparata in Costarica) che aveva denunciato il patrigno Ortega di aver approfittato di lei quando era minorenne?
Per gentile concessione di “Area”
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