La Sfinge, antico simbolo dell’ambiguità, era davvero di poche parole. Si ricordano sempre e solo quelle che rivolse a Edipo, a cui sottopose il famoso indovinello: “chi cammina prima su quattro zampe, poi su due, infine su tre?”. Ricevuta dal re parricida la risposta corretta (“è l’uomo, che da piccolo gattona, poi si muove sulle sue gambe, infine da vecchio usa il bastone”) l’ibrido uomo-animale decise di suicidarsi. Tranquilli. La storia della nostra paciosa “sfinge cantonale” non ha risvolti così epici, e non è tanto truce.
Lui sta, insieme agli altri candidati della destra luganese per la conquista dell’esecutivo, nell’obbligata e sorridente foto di gruppo Lega-Udc. Ma tutti sanno che l’istantanea unitaria non corrisponde alla realtà politica. E ci si chiede quando finalmente “la sfinge” de’ noantri, Marco Chiesa, presidente nazionale uscente Udc, e supervotato agli Stati nell’ultima consultazione nazionale, scioglierà l’inquietante (per loro) mistero. Sindaco, in caso di primato nelle comunali del prossimo 14 aprile; oppure un generoso passo indietro, dunque solo municipale, per lasciare al suo posto “l’alleato-rivale”, nonché primo cittadino uscente, Michele Foletti? Si mormora che qualcosina potrebbe anticipare domenica, nella festa dei democentristi ticinesi sotto il capannone di Pregassona. I più navigati sono scettici, il mistero continuerà fino all’ultimo, fino a spoglio delle schede avvenuto, come ha del resto fatto intendere l’attuale sindaco, “se ne parlerà” a bocce ferme, quindi a verdetto noto.
Sulle rive del Ceresio, siamo diventati scommettitori, come neanche i collaudati broker lungo il Tamigi, quelli di sua Maestà. Così, la riproposta alleanza Lega-UDC, che aveva già sollevato mal di pancia e interrogativi in via Monte Boglia causa la flebotomia di consensi leghisti nelle cantonali, più che simbolo forte di coesione sembra un tandem con ruote e manubri non proprio sincronizzati. Da una parte, un Foletti che, arrivato al sindacato (si, a sindaco) nell’emergenza della scomparsa di Marco Borradori, locomotiva elettorale e ineguagliato idroforo di consensi, chiede ora un cristallino consenso popolare, presentandosi (può dissentire il cittadino alle prese con tasse più salate?) come il salvatore delle finanze luganesi; e dall’altra l’esecutore fedele e poco creativo della linea della famiglia Blocher e di un pugno di iper-reazionari soprattutto svizzero-tedeschi, quindi: immigrati cattivi e ingombranti; Europa costantemente impegnata a svilire la nostra sovranità; zone rurali o semi-rurali contro centri urbani “imborghesiti”; simpatia per il ‘macho’ e valoriale Putin; la neutralità (ma quale?) come totem scolpito nel marmo della Costituzione così da…neutralizzare le fantasie del governo federale; e (new entry) la transizione economica come fumo negli occhi.
“Valori” (si fa per dire) anche condivisi dalle disordinate truppe leghiste, che però non hanno “allure” federale, coesione politica, organizzazione, e nemmeno competente personale politico. Sfida silenziosa ma reale, corpo a corpo anche impietoso. Quelli “che sanno”, e quelli che annusano e sentenziano sull’ “aria che tira”, avanzano facile (troppo scontato?) pronostico: trumpianamente “Chiesa first”, sulla scia del gran recupero Udc al Nazionale. Si vedrà. Intanto lo sfidato fa buon viso a cattivo gioco, ammette solo che sì, la candidatura dello sfidante “qualche interrogativo lo pone”. Obbligato “aplomb”. Che ricorda, per rimanere dalle parti della City, la battuta di Jules Verne: “un buon inglese non scherza mai quando si tratta di una cosa seria come una scommessa”. Soprattutto se politica.
Il fatto è che anche di questi giorni la Lega ci mette abbondantemente del suo. Esemplare, in settimana, il pasticciaccio brutto della scelta dei nuovi magistrati: con Bignasca junior che manda al diavolo il suo schieramento che non lo segue, lascia platealmente il posto di capogruppo in Gran Consiglio, poi ci ripensa, e allora a dimettersi è la sua vice Sabrina Aldi, sponsor del figlio dell’amministratore unico della ditta di cui è direttrice amministrativa, e lei carinamente assicura di abbandonare “per il bene della Lega”. Conflitto d’interesse con risvolti famigliari, caos, figuraccia, mentre il doppio tesserato (sia Lega sia Udc) e neo-coordinatore Gobbi mica può trovare all’istante il filo buono per un rattoppo che sia meglio del buco.
E poi c’è di nuovo lui, il sempre accigliato consigliere di Stato Claudio Zali, che non le manda a dire, e sull’iniziativa di Chiesa candidato esprime pubblicamente e poco amichevolmente – ancora una volta come già fu per l’alleanza al voto nazionale – tutto il suo dissenso. Insomma, partnership della cacofonia. Mica come i nostrani doppiopettisti Udc, che la loro parte la sanno giocare (purtroppo) con maggior stile e compattezza, anche quando propongono e ottengono l’applicazione di ricette del più schietto e insolente liberismo (decreto Morisoli docet), che vince col voto popolare ma porta in piazza migliaia di manifestanti sul piede di guerra per difendere la socialità (grazie).
Poi ci si chiede come mai l’alleato Udc rischia di “cannibalizzare” una Lega in evidente stato confusionale (sempre a cavalcioni sul ‘fil rouge’ del governismo sommato al populismo contestatore), di confusione tattico-strategica (anima sociale o no?), deficit di personale politico. Con ‘re Giorgio’ (ma per Giudici non è la prima volta) che si toglie un altro sassolino (o pietra) dalla scarpa, sentenziando (con allusione a Marco Chiesa) che se un candidato arriva primo, mica può sottrarsi alla scelta del popolo elettore. E il sindaco uscente… uscirebbe allora definitivamente dall’esecutivo cittadino? E gli altri partiti che hanno da dire o da sperare o da temere? La tenzone della destra indurrà alla dispersione di voti, a un loro diverso accasamento, o comunque polarizzerà il confronto interno a beneficio esclusivo della destra-destra? Di questo sbocco abbiamo già esperienza in passate competizioni, anche a sinistra.
Infine, super-man Chiesa, portento di forza fisico-mentale, e candidato potenzialmente destinato a un continuo via vai sotto il Gottardo, dove mai troverà il tempo di occuparsi contemporaneamente di una città vera (“lavoro a tempo pieno”, si ripete sempre) e del gravoso impegno bernese (riunioni di partito, presidenza della Commissione esteri, sessioni)? Oppure, assicurano sempre i più informati, dopo qualche mese dedicherà la sua esclusiva forza fisico-intellettuale alla beneamata sua città?
Così, i volonterosi broker nostrani hanno davanti ancora un mesetto per le loro giocose scommesse, in cui comunque nessuno scuce, perde, o guadagna un solo centesimo. Così, tanto per giocare. Proprio un gran divertimento. Ma non crede, il candidato tuttofare, che gli elettori prima di domenica 14 aprile abbiano pieno diritto a una risposta, a una spiegazione, a una sfinge che al più presto sveli il mistero delle sue intenzioni? Per metterli, per correttezza politica e democratica, nella condizione di fare una scelta informata e consapevole? Quando si trattò di Marina Carobbio, in mezzo a tanti dubbi e polemiche, tutti capirono comunque quale fosse la scelta che avrebbe fatto.
Nell’immagine: Michele Foletti e Marco Chiesa