Il cortile di casa, la riprova, l’attorcigliante contraddizione
La contraddizione tra la crescita esasperata dell’individualismo, nelle sue varie forme, e l’esigenza di atteggiamenti o soluzioni che possono essere solo collettive
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La contraddizione tra la crescita esasperata dell’individualismo, nelle sue varie forme, e l’esigenza di atteggiamenti o soluzioni che possono essere solo collettive
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La contraddizione tra la crescita esasperata dell’individualismo, nelle sue varie forme, e l’esigenza di atteggiamenti o soluzioni che possono essere solo collettive
Ho letto “Il cortile politico di casa nostra” di Aurelio Sargenti e poi, quasi come rifugio nella storia, ho ripreso in mano il poderoso “Scritti giornalistici” di Stefano Franscini (trent’anni di scritti giornalistici, diligentemente e intelligentemente presentati e raccolti da Fabrizio Mena) e son capitato su uno tra gli ultimi scritti (145) che porta il titolo: ”Sulla necessità di votare secondo coscienza e buon senso”.
Il Franscini chiama il tempo pre-elettorale e delle elezioni: “il tempo della riprova”: “tocca al popolo saperne profittare; se il popolo non se ne cura, peggio per lui, per i suoi diritti, per i suoi interessi per l’onor suo”. Aggiunge però subito che: “il tempo della riprova è più specialmente difficile, o Ticinesi, è straordinariamente difficile e scabroso nell’attuale scompiglio delle cose cantonali”. La critica ed anche le metafore diventano allora feroci.
Quasi una consolazione (niente di nuovo, quindi, nel cortile di casa nostra!) ma quasi una disperazione (malattia genetica inestirpabile, dunque!). Tuttavia, negli scritti del Franscini si rileva un metodo e una struttura essenziali del discorso: le “cose interne”, le “cose federali”, l’”Estero” vanno di pari passo, visione ampia e visione locale si intersecano. E poi le dottrine (le mire, le tendenze) politiche, “esser dovrebbero quelle di chiunque vi viene innanzi, o Ticinesi, per raccomandar alcun candidato o se stesso”; insomma, chiunque deve sapere con sincerità (“veraci e sinceri”), rimanendo sempre all’erta (perché “è fina l’arte a distornare l’attenzione dei cittadini”): che idee hai, che metodi assumi e pratichi, dove vuoi portarci?
E forse qui sta qualche differenza sostanziale e non solo di forma. Oggi ci si smarrisce nella descrizione dei dettagli e manca quasi sempre l’analisi globale che è considerata, di solito, perditempo, concettuale, ideologica, accademica e quindi lontana dai problemi del popolo, della “gente”. Se vuoi essere “popolare”, evita tutto questo o ridicolizzalo. Così, per annientare una proposta o una scelta politica, ad esempio scolastica o anche ecologica (come sta facendo ora l’UDC sul piano locale e nazionale) si dice semplicemente: è “ideologica”! E, quindi, repellente.
Si è giunti all’assurdo che la radicalità (essere radicale è “cogliere le cose alla radice”, diceva il buon Marx), tolta alla sinistra o ai “liberali”, è passata alla destra. E pensare che essere radicale vuole invece dire rendere la speranza possibile più che la disperazione convincente.
Oggi ci si si incaponisce su questo o quel candidato ma non lo si interroga, o poco, e si gioca a bussolotti tra socialismo, socialdemocrazia, liberalsocialismo; o anche, sull’altro versante, tra liberalismo, liberismo, radicalismo, nazionalismo, autarchia, parafascismo.
La realtà è che, nel cortile di casa nostra, ma anche nell’intero mondo, stiamo attorcigliandoci in una grande fondamentale contraddizione. Da una parte esplodono l’individualismo, il narcisismo, l’egoismo, la frammentazione dei gruppi sociali o l’azzeramento dei corpi intermedi, il sistematico impoverimento della rappresentatività.
D’altra parte cresce travolgente l’esigenza imperativa di avere risposte collettive e radicali di fronte ad enormi sfide che ci si presentano: il riscaldamento climatico, la preservazione della pace, la lotta alle epidemie (che non è terminata), la protezione sociale che va estesa e assume nuove forme (la moltiplicazione di transfughi per guerre, per cause climatiche, per la maledizione della ricchezza sfruttata da altri), il concomitante accumulo e accentramento del capitale da un lato e il rigoglìo dell’ingiustizia, della povertà, dell’indebitamento (tanto a livello pubblico che domestico), l’esasperata e bellicosa competizione internazionale tra continenti, capitalismi vari, religioni, d’altro lato.
La contraddizione tra la crescita esasperata dell’individualismo, nelle sue varie forme, e l’esigenza di atteggiamenti o soluzioni che possono essere solo collettive, trova spesso solo risposte “populiste”. I movimenti o i partiti che definiamo genericamente populisti, fosse solo per il fatto che continuano a ripetere che “il popolo vuole così” o che la “ggente” è con noi e la pensa così, sembra che sappiano interpretare meglio la “pulsione individualista”. Facilitando così l’identificazione degli individui al loro obiettivo elettoralistico, cavalcando ogni volta i temi più incantatori: la sicurezza, l’identità come rifiuto dell’altro; il primato dell’economia intesa unicamente come affare e proprio interesse; l’avversione ad ogni intromissione regolatrice dello Stato, che è solo “burocratico,” ad eccezione di quando deve correre in aiuto del proprio orto o interesse; il rifiuto di imposte o di tasse (prontamente invocato, ad esempio, per ridurre l’aumento dei prezzi); la critica o l’opposizione ad ogni politica, soprattutto nel contesto internazionale, quando ti impegna a fare qualcosa di collettivo e solidale o alla rinuncia dei tornaconti nazionali, finanziari o economici.
Se ci pensiamo bene, proprio con l’esperienza vissuta o impostaci in questi ultimi tempi e con la contraddizione che si è fatta sistematica (dentro il sistema che ci regge, quindi), forse mai si è imposto in maniera così drammatica l’interrogativo che può decidere del nostro futuro: possiamo concepire e perseguire una risposta politica che non si fondi o continui ad essere condizionata da una risposta individualista-populista; che riesca a conciliare un destino che può essere solo collettivo, a una considerazione che sia più attenta all’individuo come persona, più che a soggetto economico o a oggetto politico-elettoralistico ad uso di partiti, candidati, pseudo candidati, giocolieri? “All’erta, ticinesi!” concluderemmo con il Franscini!
Nell’immagine: inaugurazione del monumento a Stefano Franscini a Faido, il 13 settembre 1896
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