Di Claudio Tito, La Repubblica
Lo stallo francese. Ecco il vero rischio insito nella possibile vittoria del Rassemblement National di Marine Le Pen alle elezioni politiche che si terranno a fine mese. L’affermazione della destra reazionaria e antieuropea in Francia non potrebbe infatti non avere conseguenze sul resto del Vecchio Continente. L’allarme a Bruxelles e nelle istituzioni comunitarie — sebbene in attesa dei nuovi vertici — è già scattato.
Un governo guidato dal pupillo “lepeniano”, Jordan Bardella, sarebbe un monsone capace di scaricare un temporale di incertezze sul prossimo futuro dell’Unione europea. Non tanto sugli assetti di vertice che saranno comunque determinati dagli equilibri stabiliti dal voto di domenica scorsa, quanto sul percorso che l’Ue potrebbe e dovrebbe imboccare.
Un esecutivo dichiaratamente antieuropeo e la difficile coabitazione con Emmanuel Macron per i prossimi tre anni provocherebbero una paralisi nel processo di integrazione europea. Se qualcuno immagina un ritorno al passato, si sbaglia. I passi avanti compiuti in questi anni, e soprattutto quelli successivi alla pandemia, sono in larga parte irreversibili.
Il Covid e la guerra in Ucraina hanno dimostrato che le grandi crisi si possono affrontare solo con strutture sovranazionali. Ma inevitabilmente si assisterebbe ad una paralisi. E ancora di più si formerebbe il miraggio di un impossibile ritorno al passato. Ma che farebbe perdere tempo e indebolirebbe l’Ue nel confronto con la Russia.
L’Unione europea, dunque, con la Francia — ossia uno dei motori della locomotiva europea — alle prese con una lotta intestina che fagociterà ogni energia, dovrebbe fare i conti con una “solitudine” senza precedenti. L’alleanza franco-tedesca, che ha tradizionalmente guidato l’Unione, verrebbe messa nel congelatore della storia comune. E al di là dell’esito delle prossime elezioni tedesche — nel 2025 — l’intero convoglio continentale verrebbe zavorrato.
Un esito analogo ci fu già diversi anni fa sempre per colpa di Parigi. Nel 1954 fu proprio la Francia a bocciare la Ced, la Comunità europea di Difesa, che puntava a costituire un esercito comune per fronteggiare in primo luogo il pericolo sovietico.
Quel “no” paralizzò il cammino di integrazione per quasi dieci anni, fino al 1965 quando venne invece siglato a Bruxelles il cosiddetto Trattato di fusione con cui si amalgamarono le tre istituzioni presenti in quel momento: Ceca, Cee e Ceea.
Uno stallo che l’Europa non si può permettere in questa fase. In cui l’ombra sovietica è stata perfettamente ereditata dalla Russia di Putin che annovera tra i suoi amici proprio la leader francese Le Pen.
Anche la classe dirigente d’Oltralpe dovrebbe iniziare a porsi il problema anziché litigare come “i polli di Renzo”. Per ottenere la vittoria piena, infatti, il Rassemblement è riuscito a convincere i Républicains, eredi del gollismo e iscritti al Partito Popolare europeo, ad allearsi con loro nella sfida a doppio turno nei collegi. Quel partito si è già spaccato ma comunque si tratta di una coalizione in grado di conquistare la maggioranza dei seggi.
Il fronte opposto — seguendo il peggiore degli esempi italiani — si presenta diviso e frastagliato. Il partito macroniano da una parte e la sinistra guidata dai socialisti redivivi di Raphaël Glucksmanndall’altra.
Il primo agisce nella convinzione che i francesi per vaccinarsi contro la destra reazionaria devono prima vederla all’opera nel governo. I secondi nella speranza di costruire, dopo il disastro, un nuovo Fronte repubblicano per candidare Glucksmann alla presidenziali del 2027.
Ma attendere tre anni per il riscatto è un pegno troppo alto per tutti. Per i francesi e per gli europei.