41bis – Tortura di Stato

41bis – Tortura di Stato

Intorno al caso Cospito: l’antagonismo anarchico, l’uso del regime carcerario di massima sicurezza e le ragioni di una protesta - Di tazioP. (aderente all’autogestione a Lugano)


Redazione
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41bis – Tortura di Stato

Al di là delle condizioni igieniche e sanitarie, quello che però annienta l’individuo è la solitudine: al 41-bis è insopportabile. (Carmelo Musumeci, 25 anni in carcere, di cui 5 al 41bis)

Per essere vittoriosi in guerra, bisogna vincere anche la battaglia per l’opinione pubblica. Influenzare e modellare sono da sempre priorità dello Stato e degli organi di controllo. Una volontà costante di confondere e di discreditare, in quella che è una sorta di narrativa perversa creata “dall’alto”. La guerra – poco importa come – deve essere vinta.

Ne sono un esempio le così dette tecniche di soft power, teorizzate pure dalla NATO1, che descrivono gli strumenti psicologici di influenza con cui le persone possono essere guidate in modo da non accorgersi del controllo.

Individuare al contempo un capro espiatorio, una faccia del male, da additare alla gogna come nemico pubblico – l’elemento che i giovani devono evitare – è parte fondamentale del processo. È successo con “l’emergenza” migranti (in Ticino il Consigliere di Stato leghista Gobbi propose l’esercito al confine per evitare “l’invasione”), avviene nella costruzione dell’assioma terrorismo = jihadismo = mussulmano fomentando l’islamofobia; è successo con la sperimentazione delle tecniche repressive negli stadi contro il movimento ultras; succede con la differenziazione di un’autogestione “buona” e una cattiva, criminalizzando le legittime rivendicazioni di strutture autonome al di fuori del controllo statale, e succede chiaramente con la questione “anarchica”, diventata ancora una volta il nemico pubblico numero uno.

Tale narrazione distorta avviene anche, e forse in forma ancor più dannosa, da parte di coloro che almeno un briciolo di comprensione dovrebbero averla. Ma forse – e succede in vari ambiti – ancora si equivoca su cosa sia una tensione di liberazione reale e su chi si traveste con vestiti inadeguati. Mi riferisco in questo caso allo scritto dell’artista – definitosi anarchico – Gianluigi Bellei, già autore del francobollo commemorativo dedicato a Giuseppe Pinelli2 che, in un articolo pubblicato su questo portale, definisce Alfredo Cospito un “non anarchico invitando i giovani a non andare in strada prima che il nome dell’anarchia venga associato a quello della mafia”.

E proprio mentre Alfredo viene ricoverato in ospedale in condizioni critiche e allo stesso tempo sembrerebbe aprirsi un varco di speranza nella “giustizia” italiana, a risultare davvero troppo è il subdolo e vigliacco tentativo d’associare Alfredo Cospito alla mafia.

Tralasciando l’arroganza nel definire chi sia anarchico o meno e quell’antipatico e stancante paternalismo di “vecchie cariatidi” che s’arrogano il diritto di stabilire per gli/le altrx cosa sia giusto o meno fare, ritenendo impropriamente che ragazze e ragazzi siano incapaci di comprendere, esprimersi e decidere autonomamente3, vorrei esporre qui alcune considerazioni.

Il 41 bis è un regime di massima sorveglianza e controllo introdotto in Italia a metà anni ‘70, chiamato dapprima articolo 90 e mai veramente applicato proprio perché considerato come misura altamente eccezionale. Fu introdotto per la prima volta dopo che le Brigate Rosse rapirono il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, per poi esser rispolverato e tramutato in legge nel 1992, a quel punto sì, come 41 bis, durante l’epoca delle stragi mafiose. In seguito venne inasprito ulteriormente durante il governo Berlusconi nel 2002, mentre nel 2009 vennero aggiunte una serie di vessazioni e limitazioni che con l’iniziale finalità non avevano niente a che vedere. Lo scopo del 41 bis era non permettere la comunicazione tra i boss mafiosi che stavano dentro e quelli che stavano fuori. Punto.

Il 41 bis è invece oggi un regime altamente totalizzante che porta all’isolamento completo, con tutte le conseguenze psicologiche del caso. Le detenute e i detenuti sono costrette/i in una cella singola di 2 metri per 2, costantemente video sorvegliati, isolati per 22 ore al giorno e senza possibilità di vedere le celle degli/lle altri/e detenutx. Due ore al giorno di colloqui in compagnia al massimo di altri/e tre detenutx scelti dall’autorità giudiziaria, sempre se possibile, e un solo colloquio al mese della durata di un’ora (in luogo dei sei concessi agli/lle altri/e detenutx) e sempre sotto stretto controllo di un agente di polizia penitenziaria. Nessuna possibilità di contatto umano (c’è un vetro divisorio), un colloquio telefonico al mese con i familiari. Limiti pesanti alla possibilità di lettura (e solo testi scelti dalla direzione), limitata possibilità di scrivere, così come il numero di oggetti da poter avere in cella (ad esempio le foto dei/lle propri/e carx negato ad Alfredo) e l’accesso ai beni di consumo quotidiano.

Oggi in Italia al 41 bis vegetano più di 700 persone. La quasi totalità riconducibili a questioni di mafia. Quattro invece militanti rivoluzionari: tre delle Nuove Brigate Rosse e Alfredo Cospito, anarchico insurrezionalista.

La sola lettura di questi dati dovrebbe far riflettere. E far sorgere spontanee alcune domande:

– Come è possibile e che problema ha un paese composto da quasi mille boss mafiosi, che neanche nei così detti narco-stati in America Latina4?
– Perché se una tale quantità di capi mafia sta in carcere,la stessa mafia, ‘ndrangheta e camorra continuano imperterrite nei loro affari?

E inoltre:

– A chi dovrebbe dare ordini Nadia Desdemona Lioce – al 41 bis da 18 anni, che in un anno solare ha potuto parlare per sole 15 (quindici..) ore con qualcuno (!) – nelle condizioni in cui sta e considerando che le Nuove Brigate Rosse sembra non esistano più?
– Com’è possibile immaginare un anarchico individualista come Cospito a capo di un’organizzazione anarchica in cui per definizione non esiste una struttura gerarchica?

Infine:

– E l’impossibilità di scrittura e lettura cosa c’entra con l’incomunicabilità?
– O il divieto di esporre foto dei propri cari?
– O il marcire in una cella di un metro e 52 centimetri di larghezza per due metri e 52 centimetri di lunghezza, in uno spazio occupato quasi tutto dal letto dove non arriva un raggio di luce5?

Ossimori, contraddizioni, assurdità che dimostrano come tale regime, semmai abbia avuto un senso, sia diventato una chiara vendetta punitiva dello Stato (e lo vediamo nella paventata minaccia dello Stato di eventualmente imporre l’alimentazione coatta violando la volontà di Alfredo) e che le sue finalità non rientrano più nel non permettere la comunicazione tra dentro e fuori. Non più una misura del tutto eccezionale, ma la normalizzazione di un chiaro accanimento verso chi non si piega, irriducibili che hanno deciso di non pentirsi, in un processo dilatatorio dove la tortura viene sistematizzata.

In questo senso il carcere evoca l’idea dello Stato che punisce in modo intransigente non tanto (o non solo) chi si è macchiato di reati di particolare gravità, ma chi è inserito all’interno di organizzazioni “particolari” e si rifiuta di collaborare con la giustizia. Un monito insomma. Un pesante avvertimento punitivo a chi non collabora e per dissuadere – nel caso di Alfredo e dei militanti politici in maniera ancor più evidente – l’opposizione allo Stato e qualsiasi conflittualità.

Qualche giorno fa il ministro Nordio ha ribadito che la pericolosità di Alfredo consiste nel fatto che è in grado di indirizzare il movimento anarchico dall’interno del carcere. È evidente che queste dichiarazioni entrano in tutto e per tutto in quella tecnica menzognera di soft power citata all’inizio, in cui per vincere una guerra bisogna indirizzare l’opinione pubblica. Far credere quindi che dall’interno di un carcere, un anarchico individualista che, (ci mancherebbe…), certo scrive, si esprime, pensa, possa essere in grado di indirizzare un intero movimento e di indicare la strategia rivoluzionaria.

Tanto più quando lo stesso massimo rappresentante del pubblico ministero in cassazione, Gaeta, dichiara che a suo giudizio la difesa ha ragione e che Alfredo è stato sottoposto fin dalla prima ora a un regime sproporzionatamente afflittivo rispetto a fatti non avvenuti, passando 9 mesi in uno strazio con tutte le conseguenze del caso senza che ci fossero le ragioni neppure giuridiche per farlo.

Un non senso completo, anche se la bufala colossale è la trovata di mettere in mezzo Alfredo con la mafia. E basterebbe solo leggere Voragine – le tavole prodotte dal fumettista ZeroCalcare contro il 41 bis – per, al di là di tante parole, capirne l’assurdità.

L’unica cosa che accomuna chi sta in quel regime sono le medesime condizioni di vessazione e di limitazioni (oltre al regime di carcerazione evidentemente). Oltre a questo nulla. Che poi l’abolizione del 41 bis possa eventualmente favorire anche il mondo mafioso è un fatto. Ma questa banalità basta per dire che Cospito favorisce la mafia? Che il nome dell’anarchia possa essere associato alla mafia?

Alfredo non è in grado di decidere con chi passare l’ora d’aria e se gli unici – decisi dallo stesso Stato – con cui passare le due ore sono mafiosi, lui non ce ne può evidentemente niente. E perché poi non dovrebbe parlarci? Tanto più in una situazione completamente monitorata e sorvegliata, come potrà mai arrivare a stabilire una strategia con l’organizzazione mafiosa?

Se lo Stato non è in grado di gestire, in un concetto di pseudo decenza umana, l’incomunicabilità tra il fuori e il dentro e deve inventarsi tali aberrazioni, verrebbe spontaneo chiedersi quanto ormai la stessa struttura statale – con il suo sistema punitivo e di carcerazione – sia marcia e degradata.

E allo stesso tempo sarebbe più opportuno ricordare che gli autori delle più importanti stragi del passato sono oggi liberi. Lo è chi ha premuto il detonatore della bomba di Capaci (11 vittime), lo sono parte degli autori della strage alla stazione di Bologna (80 morti). E soprattutto Alfredo Cospito è il primo condannato in Italia, con una condanna non ancora definitiva!, all’articolo 285 (strage contro la sicurezza dello Stato) per degli esplosivi a bassa intensità messi davanti alla scuola dei carabinieri di Fossano, in piena notte, quando questa era vuota, senza ferire ne uccidere nessuno. Articolo che prevede l’ergastolo ostativo (con l’aggiunta del 41 bis) mai (!) applicato in nessuna delle stragi avvenute nella storia della repubblica italiana.

In realtà, sono lo Stato e la mafia ad avere in comune sia una scambievole e proficua collaborazione storica, sia un’identica concezione del rapporto mezzi-fini. Condividono la stessa visione neoliberale, per cui gli affari sono affari, e la stessa strategia politica: per preservare il proprio potere si può ricorre a ogni mezzo, massacro compreso. Non a caso la stagione delle stragi anti- proletarie viene inaugurata nell’Italia repubblicana a Portella della Ginestra, con l’eccidio mafioso dei contadini e dei braccianti per conto degli agrari e della CIA6.

Proprio i territori in cui la mafia e la camorra convivono da tempo, raccontano che tuttora lo Stato utilizza crumiri in odore di mafia per sgomberare presidi e picchetti7, come avviene in Sicilia e che, mentre “il 41 bis esiste da anni, in Campania, vediamo che la camorra sono dei mostri che esistono ancora nella nostra società e molto spesso perché la politica ha stretto le mani, è scesa a patti con i peggiori boss mafiosi perché evidentemente in alcun momenti alla politica conviene così”.8 

Bisognerebbe quindi far finta di niente e rinunciare alla lotta per l’abrogazione del 41 bis, perché favorirebbe (anche) i mafiosi? Mafiosi che comunque continuano imperterriti a operare fin nelle alte sfere dello Stato, Svizzera compresa, come si apprende dall’ultimo arresto di Messina Denaro?9.

Domande evidentemente retoriche. Il 41 bis è invece solo l’esempio concreto che evidenzia come il carcere, in quanto potenziale strumento “rieducativo”, è inutile. E come in generale la struttura carceraria sia soltanto un mezzo di coercizione punitivo e vendicativo per isolare e portare le persone a condizioni di stato vegetativo. Perché di carcere – come d’altronde sui posti di lavoro, in mezzo al mare e nelle strade – oggi si muore. Ovunque e in continuazione. E le responsabilità di queste stragi è chiaramente degli Stati.

L’anarchica argentina Maria Soledad Rosas, detta Sole10, che di carcere morì proprio per l’ennesima persecuzione e costruzione mediatica contro le e gli anarchici, prima del suicidio, scrisse a proposito del carcere: (…) tutto un caos, tutto un inferno, tutto la morte. Così ti ammazzano tutti i giorni, piano piano per farti sentire più dolore (…).

E chi se non gli stessi Stati sono i responsabili dell’estensione del carcere e dell’isolamento come forma di tortura punitiva? Dai regimi dittatoriali latino-americani, al sistema lucrativo e discriminatorio negli Stati Uniti, al sistema repressivo in Turchia contro la dissidenza di sinistra e curda, al regime assassino in Iran, al caso dell’anarchico Gabriel Pombo Da Silva sequestrato illegalmente dallo Stato spagnolo da 10 anni, dopo 30 in carcere, ai casi di Mumia Abu-Jamal, di Leonard Peltier o di George Ibrahim Abdallah in carcere senza uscita, negli Stati Uniti e in Francia.

E se il carcere pensato dallo Stato svizzero prevede forme di tortura più psicologiche, applicando, a coloro che non rinnegano o si dissociano, quel fine pena mai che permette illegalmente allo Stato di allungare la carcerazione oltre i tempi “stabiliti” (come avvenuto a suo tempo con l’anarchico Marco Camenish, rimasto in carcere svariati anni dopo il compimento della condanna, o come avviene ora con il “fantomatico” Carlos, individuato anch’esso come nemico pubblico numero uno e trattenuto in carcere oltre il fine pena), l’Italia si stabilisce ai primi posti per il degrado totale della situazione nelle carceri: numero di suicidi sempre maggiore (84 nel 2022), sovraffollamento generale (9’000 persone in più rispetto al limite), costante aumento della popolazione legata ai fenomeni migratori, situazioni di totale abbandono e indigenza, fino all’inaccettabile sistema di tortura del 41 bis.

Non sentivo alcun rumore quando ero in cella, nemmeno una porta sbattere o una persona chiacchierare. Stavo impazzendo11.

Al di là dei crimini commessi o dei soggetti in questione chi pensa che sia legittimo l’impiego di mezzi di tortura istituzionale per raggiungere determinati fini (“sconfiggere la mafia” ad esempio) non solo conferma il proprio machiavellismo etico, ma rafforza in realtà quello stesso potere di cui la mafia è parte. Il punto non è quali persone vengono torturate (fossero pure le peggiori del mondo), ma cosa succede alle nostre vite quando ci facciamo complici silenti della tortura”.12

Su questo occorrerebbe ragionare al posto di fomentare deliri senza capo ne coda partecipando alla gogna mediatica e istituzionale contro chi osa ribellarsi a un pensiero ormai sempre più unico, omologato, “collaborativo” e mai conflittuale (pena la scomunica e l’eliminazione13).

Altro che “preoccuparsi” dei giovani e del fatto che il nome dell’anarchia venga accostato a quello della mafia, “caro” Gianluigi Bellei.

Che le guerre non sempre le vincono i Potenti.


1 Vedi documento NATO’s Sixth Domain of Operations https://www.innovationhub-act.org/sites/default/files/2021-01/ENG%20ultimate.pdf

2 Anarchico che nella notte tra il 15 e 16 dicembre 1969, pochi giorni dopo la bomba nella Banca dell’Agricoltura di Milano (strage di Piazza Fontana), volava giù “accidentalmente” da un commissariato di polizia. Si apriva il periodo delle bombe di stato e già allora si era individuato il nemico negli anarchici.

3 Su questo paternalismo si veda anche l’articolo di Prisca Dindo apparso sul Corriere del Ticino sui rave “illegali” e la morte di una giovane ragazza https://www.cdt.ch/opinioni/commenti/il-rischio-aumentato-del-rave-301404

4 Vedasi ad esempio Il Salvador – alleato di Lugano sulla questione Bitcoin – e la guerra delle pandillas per il controllo della droga e le connivenze governative nel “gestire” la violenza, il traffico e il controllo delle sostanze

5 Testimonianza di un detenuto al 41 bis isolato in quelle condizioni per 10 anni

6 I mezzi e i fini. (https://ilrovescio.info/2023/02/06/i-mezzi-e-i-fini/)

7 http://www.ondarossa.info/redazionali/2023/01/lettura-critica-mafia-e-antimafia-stato

8 https://www.facebook.com/exopgjesopazzo/videos/954712812192189/?extid=CL-UNK-UNK-UNK-AN_GK0T- GK1C&mibextid=2Rb1fB&ref=sharing

9 https://www.ticinonews.ch/ticino/la-latitanza-di-messina-denaro-finanziata-anche-con-attivita-svolte-in-svizzera-e-in- ticino-372582

10 A partire dal marzo del 1998, Sole, Baleno e Silvano furono vittime di un vero e proprio complotto giudiziario e istituzionale guidato dal PM Maurizio Laudi: accusati di aver compiuto azioni ecoterroristiche nel torinese, subirono una gogna mediatica che portò al suicidio di Baleno e Soledad e alla condanna di Silvano ma solo per reati minori.

11 Francesco Schiavone, camorrista, cugino omonimo del capo dei casalesi, dopo essersi dissociato.

12 Il Rovescio, I mezzi e i fini.

13 Paride Pelli, direttore CdT, “gli ex molinari non si sono dispersi ma sono ancora in giro per la città e organizzano scorribande…”, editoriale 30.12.2022

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