Scappano dalla guerra, il Ticino offre loro una galera
Il bunker di Camorino è una vergogna che va chiusa al più presto
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Il bunker di Camorino è una vergogna che va chiusa al più presto
• – Redazione
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• – Riccardo Fanciola
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• – Aldo Sofia
Il bunker di Camorino è una vergogna che va chiusa al più presto
Ci è rimasto solo il respiro, non abbiamo nient’altro.
Queste le parole di uno dei diciotto uomini rinchiusi nel bunker di Camorino.
Una storia su cui riflettere, se ce ne fosse ancora bisogno, per sostenere la richiesta di chiusura del bunker di Camorino. Sì, perché, dal 2018, anno in cui l’opinione pubblica ha cominciato ad essere informata di quanto stava accadendo nel bunker di Camorino, purtroppo nulla è cambiato. Il bunker, centro di gestione cantonale, continua ad essere la “prigione” di uomini che hanno come unica colpa di essere NEM (senza documenti).
Uomini entrati in Svizzera per chiedere e ottenere protezione, come rifugiati, ma che a causa della legislazione nazionale e internazionale, in materia di immigrazione e stranieri, si ritrovano a “sopravvivere” in un limbo umano e giuridico devastante. L’aver ricevuto una risposta negativa alla loro domanda d’asilo e la conseguente impossibilità di rimpatriarli nel proprio paese d’origine, fa si che per la Svizzera siano considerati illegali sul territorio nazionale e che, pertanto, debbano essere rinchiusi in un bunker, con l’aggravante del divieto di circolazione.
Sotto terra e con l’unica possibilità di aggirarsi sul territorio di Camorino.
Per chi non lo sapesse, il bunker si trova sotto uno spiazzo adiacente la centrale di polizia di Camorino, che rende la zona fortemente “militarizzata”. Sono uomini che scappano da guerre, torture, prigionia, servizi militari al limite della schiavitù e come unica possibilità di prendere una boccata d’aria hanno quella di uscire in una casetta posta in questo spiazzo, con “panorama” sulla centrale di Polizia.
Al momento vi (soprav-)vivono 18 persone provenienti da Algeria, Libia, Eritrea, Afghanistan, Iraq e altri territori storicamente saccheggiati da secoli di colonialismo, guerre e programmi d’accaparramento di risorse naturali.
(Soprav-)vivono ammassati in 3 camerate da 5/8 persone, in locali sprovvisti di finestre e in cui l’aria stantia, e il caldo soffocante, provocano disturbi respiratori e impossibilità di dormire di notte. La casetta adiacente al bunker è più o meno a disposizione ma priva di tutto: una cucina vuota, un frigorifero piccolo e nient’altro che, ogni tanto, stoviglie monouso per una ventina di persone. Nemmeno un televisore.
Nel bunker vige un controllo delle entrate ed uscite, da parte della Securitas, da quando la gestione del centro è stata tolta alla Croce Rossa. Dalle 24.00 alle 7.00, è obbligatorio restare nella struttura e chi non firma entro la mezzanotte, a discrezione dei “securini” presenti, non ha accesso ai 10 franchi giornalieri concessi per tutte le spese (cibo, vestiti, sapone, shampoo, tabacco ecc.).
Non bisogna dimenticare che il bunker è già stato oggetto di indagini per il caso Argo 1, ma sembra che il Cantone se ne sia dimenticato, nel momento in cui decide di non verificare gli atteggiamenti ostili e razzisti degli agenti, avallando, di fatto, i loro comportamenti.
Come NEM, le persone che vi (soprav-) vivono hanno diritto al cosiddetto aiuto d’urgenza, che anche per le cure mediche copre solo le cure di base. Purtroppo, anche per accedere alla visita del proprio medico di base, occorre il benestare dell’infermiera o della Securitas. Non possono personalmente recarsi dal proprio medico, senza la preventiva autorizzazione, che quasi mai viene concessa.
Unici e frequenti farmaci sono i sedativi e psicofarmaci, che, se da una parte permettono a queste persone di poter chiudere occhio nel bunker, dall’altra le sedano rendendole “domabili”. L’esasperazione delle condizioni è portata al punto che molti di loro preferiscono scappare e/o chiedere di tornare in patria, dove rischiano incarcerazioni e/o morte, oppure chiedere il carcere amministrativo.
La legge svizzera, infatti, prevede che una persona che non ha un permesso di soggiorno valido, può essere in qualsiasi momento incarcerata fino ad un massimo di 18 mesi, con l’avallo di autorità giudiziarie inermi e inette, che attendono l’ultimo giorno per decidere se sia giusto o meno incarcerare. Nel periodo di pandemia da Covid, si sono aggravate le condizioni di detenzione all’interno del bunker, dimostrando ancora di più come, nei momenti di crisi, le disuguaglianze già esistenti nella società in tempi “normali” si facciano ancora più marcate e chiare.
Mentre fuori vigevano misure di distanziamento sociale, nel centro di Camorino le persone hanno continuato a vivere ammassate in stanze senza finestre né sistema di aerazione adeguato. Il divario tra chi secondo le istituzioni ha il diritto di vivere una vita degna e chi no è venuto a galla in modo ancora più esplicito, ricalcando chiaramente le linee di suddivisione dell’umanità su cui si fonda il razzismo strutturale anche in questo paese.
La Commissione Nazionale per la prevenzione della tortura (CNPT) già in un rapporto del 2014 dava un tempo di permanenza massimo di tre settimane nei rifugi sotterranei della Protezione civile. Addirittura lo stesso Consiglio di Stato ha dichiarato nel 2020 che «le camerate a Camorino non siano una soluzione troppo confortevole, soprattutto per soggiorni di lunga durata». La realtà è che i soggiorni a Camorino sono solo di lunga durata, e non si tratta di settimane. Alcune persone ci vivono da oltre quattro anni, sottoterra.
Se il Cantone Ticino vuole dimostrare la propria democrazia, legalità e umanità può dare solo una fine al bunker di Camorino: la sua chiusura.
Immacolata Iglio Rezzonico, avvocato
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