Meloni e il tabù dell’antifascismo

Meloni e il tabù dell’antifascismo

La decisione della Rai di impedire ad Antonio Scurati di pronunciare il monologo sul 25 Aprile costituisce per la premier un imbarazzante corto circuito


Redazione
Redazione
Meloni e il tabù dell’antifascismo

Di Maurizio Molinari, La Repubblica

La decisione della Rai di impedire allo scrittore Antonio Scurati di pronunciare il monologo sul 25 Aprile dagli schermi della trasmissione Chesarà di RaiTre costituisce per la premier Giorgia Meloni un imbarazzante corto circuito perché fa coincidere una gestione dell’Ente pubblico che penalizza la libertà di informazione con la sua scelta di evitare la domanda che la imbarazza di più.

Per comprendere l’entità di quanto avvenuto bisogna partire dal testo che Scurati aveva scritto e che la Rai gli ha impedito di leggere opponendo “ragioni editoriali”. Si tratta di una ricostruzione dell’assassinio di Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno del 1924 da parte dei fascisti, e della strage delle Fosse Ardeatine, il 24 marzo del 1944 da parte dei nazifascisti, che in coincidenza con l’imminente Anniversario della Liberazione, si conclude con la richiesta alla presidente del Consiglio di pronunciare la parola che finora ha accuratamente evitato in ogni occasione pubblica: antifascismo.

La premier ha avuto più occasioni per riferirsi all’antifascismo, ovvero all’opposizione degli italiani alla dittatura di Benito Mussolini. Avrebbe potuto farlo in occasione del suo discorso di insediamento in Parlamento quando disse di voler «rappresentare tutti gli italiani, anche quelli che non hanno votato per me». Avrebbe potuto farlo quando entrò a Palazzo Chigi, quasi in coincidenza con il centenario della Marcia su Roma. Avrebbe potuto farlo in occasione di una lunga intervista concessa lo scorso 25 Aprilenella quale espresse un giudizio molto duro sulle Leggi razziali fasciste.

Ed avrebbe potuto farlo in ogni singolo giorno della sua attività di governo per il semplice motivo che l’antifascismo non ha colori né matrici particolari perché è stato un movimento popolare di uomini e donne, giovani ed anziani, di ogni estrazione politica, provenienza geografica, ceto sociale e fede, accomunati solo dall’opposizione ad un regime che opprimeva le libertà ed i diritti conquistati grazie al Risorgimento.

Per una presidente del Consiglio che giura fedeltà alla Repubblica sulla Costituzione, non dovrebbe esserci nulla di più facile e naturale che riferirsi all’antifascismo come elemento fondante della comunità nazionale. Anche perché non solo l’Italia repubblicana ma anche l’Unione Europea si basa, come il Manifesto di Ventotene attesta, sull’antifascismo.

Se questo non è avvenuto è perché si tratta per Meloni di un tabù culturale. Ma più a lungo la premier lo evita, più è destinato a crearle imbarazzo politico, in Italia come anche in Europa.

Il tabù dell’antifascismo è assai scomodo per la premier di una nazione della Ue e della Nato — alleanze fondate sulla difesa delle democrazie da ogni totalitarismo — ma la decisione di proteggerlo violando la libertà di informazione della Rai aggiunge un’idea dell’Ente pubblico che va ben oltre la volontà di diffondere le proprie scelte politiche perché sconfina nel desiderio di ridefinire in maniera ideologica l’identità culturale del Paese.

Il principio della libertà di informazione, protetto dalla Costituzione, è uno dei pilastri dello Stato di Diritto per il semplice motivo che si tratta di un contrappeso democratico all’esercizio del potere politico da parte della maggioranza. La democrazia è un sistema basato su regole tese a bilanciare il potere esecutivo: l’indipendenza dei media è una di questa e se viene violata, per perseguire gli interessi di una parte politica, significa incrinare le libertà di tutti i cittadini.

Non a caso ciò che avviene nelle autocrazie, come la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, o nelle “democrazie illiberali”, come l’Ungheria di Viktor Orbán, è una progressiva riduzione dell’indipendenza dei media a favore di un sempre maggiore controllo del potere esecutivo sui mezzi di informazione.

È questo corto circuito sui media che costituisce uno dei contenziosi più seri fra Bruxelles e Budapest così come è la crescente aggressività della premier Meloni nei confronti della libertà di informazione a suscitare inquietudini in più Paesi europei, dalla Spagna alla Francia, dalla Germania alla Gran Bretagna.

Il nostro giornale è stato — assieme ad altre testate, su più piattaforme — oggetto di tentativi di delegittimazione da parte della premier e di alcuni suoi stretti collaboratori che andavano ben oltre le legittime obiezioni ai contenuti di alcuni nostri articoli.

Quando la premier si è accorta del grave corto circuito causato dalla decisione della Rai ha scelto di pubblicare sul proprio account Facebook il testo di Scurati affermando che non sarebbe stato trasmesso solo per ragioni economiche. Ma è una tesi che contrasta con il documento Rai che pubblichiamo in cui si parla di “ragioni editoriali” ed inoltre, ancora una volta, Meloni ha deciso di non rispondere alla questione di merito: la domanda sull’antifascismo.

Nell’immagine: Meloni e i suoi fantasmi

Dal nostro archivio

Antonio Negri, l’eresia comunista lunga una vita
Il meglio letto/visto per voi

Antonio Negri, l’eresia comunista lunga una vita

Il filosofo e militante politico è scomparso a Parigi a novant’anni. Il racconto di una vita, a tratti epica, non senza contraddizioni, alla ricerca instancabile di "processi...

Pubblicato il Redazione
Israele, i rabbini ai soldati: “Andate e uccidete, niente rimorsi”
Il meglio letto/visto per voi

Israele, i rabbini ai soldati: “Andate e uccidete, niente rimorsi”

Nell’accademia rabbinica di Eli si formano i futuri ufficiali “sionisti religiosi”. «È la lotta del bene contro il male, bisogna essere forti, a volte anche crudeli». Sulla sorte...

Pubblicato il Redazione