Di Gabriella Colarusso, La Repubblica
Israele ha risposto all’attacco del 13 aprile, pur senza rivendicare responsabilità dirette, colpendo obiettivi militari vicino Isfahan, nel centro dell’Iran e a Tabriz nel Nord Ovest. Non sono stati presi di mira gli impianti nucleari iraniani, ma basi che ospitano i jet iraniani, anche se la provincia di Isfahan ospita la base nucleare di Natanz, poco distante. Ieri i Guardiani della rivoluzione iraniana avevano alzato illivello dell’escalation retorica, minacciando di arrivare anche a una revisione della dottrina nucleare se i siti di sviluppo fossero stati “minacciati”. Lo ha detto il comandante responsabile della sicurezza degli impianti atomici, Ahmad Haghtalab: “Se Israele intraprende un’azione contro i nostri impianti nucleari, reagiremo sicuramente, prendendo di mira gli impianti nucleari del regime con armi avanzate. Abbiamo identificato i suoi impianti nucleari e abbiamo tutte le informazioni necessarie sugli obiettivi”, ha promesso spiegando che questo processo potrebbe portare anche a una nuova fase nello sviluppo del programma nucleare iraniano.
La fatwa di Khamenei
Teheran ha sempre detto di non volere la bomba atomica, c’è una fatwa di Khamenei, l’attuale Guida suprema, che risale a metà degli anni Novanta e ha le sue radici nelle scritture islamiche e nella storia dell’Iran, attaccato dall’Iraq di Saddam negli anni Ottanta con armi chimiche che fecero oltre 20mila morti.
Il programma nucleare è a scopo civile, ha sempre ribadito Teheran, anche se sappiamo da fonti di intelligence europee e americane, e dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che almeno fino al 2003 l’Iran ha portato avanti anche un programma nucleare militare segreto. Ma quanto è davvero vicino ad avere la bomba atomica?
Il Jcpoa
L’accordo firmato a Ginevra nel 2015, il Jcpoa, con Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Germania, Stati Unti, Ue poneva limiti rigorosi alle attività nucleari di Teheran, che dovette tagliare le scorte di uranio arricchito potendolo portare a una purezza fino al 3,67%, ben lontano dal 90% necessario per produrre armi, in cambio della rimozione delle sanzioni. Nel 2018 l’allora presidente Donald Trump decise di stracciare unilateralmente quell’intesa – senza il consenso degli europei e degli altri firmatari – e l’Iran ha iniziato a violare progressivamente tutte le restrizioni, comprese quelle sui siti di arricchimento dell’uranio, sul tipo di centrifughe usate per il processo, sul livello di arricchimento e sulle scorte.
L’Aiea oggi ha una visibilità limitata sul programma nucleare iraniano che viene condotto in bunker scavati anche a diverse decine di metri sottoterra. L’ultimo rapporto dell’Agenzia di febbraio dice che le scorte di uranio arricchito al 60% ammontano a 5,5 tonnellate. L’Iran ha, già adesso, dunque quantità di uranio impoverito al 60% che potrebbero bastare per due armi nucleari se arricchite ulteriormente fino al 90%.
Il breakout time
Questo però non significa che il cosiddetto “breakout time”, il tempo necessario a produrre una bomba, è zero, perché il processo richiede una serie di passaggi tecnici e poi la messa a punto dell’ordigno in una scala abbastanza piccola da poter essere installato su un sistema di lancio come un missile balistico. Su quanto tempo esattamente l’Iran necessiti per completare il processo non non si hanno informazioni certe, ci sono stime che variano da tre mesi a un anno. L’anno scorso il capo di Stato maggiore Usa, il generale Mark Milley, disse in una testimonianza al Congresso che l’Iran avrebbe avuto bisogno di diversi mesi per armare la bomba.
La battaglia per la successione
Khamenei finora ha sempre respinto le pressioni per una revisione della dottrina nucleare iraniana. Ma una minaccia alla sicurezza nazionale o agli impianti nucleari iraniani potrebbe aumentare ulteriormente la pressione sull’ayatollah, che ha 84 anni e non è in buone condizioni di salute. I giochi per la sua successione sono già iniziati, e il potere dei Pasdaran, il braccio militare del Sistema, è sempre più rampante. Lo si è visto anche in queste settimane di conflitto con Israele, con il generale Hajizadeh, capo dell’aeronautica dei Guardiani, sul palcoscenico della “vittoria” dopo il lancio di missili e droni contro Gerusalemme, e ora con il comandante Haghtalab che brandisce l’arma più estrema. La “campagna elettorale” dei Pasdaran per assicurarsi il controllo del Paese nel dopo Khamenei passa anche per la dottrina nucleare.
Nell’immagine: un edificio dell’impianto nucleare iraniano di Natanz danneggiato da un incendio nel 2020