Netanyahu costretto a calibrare la risposta contro l’Iran per non perdere gli alleati arabi
Emirati, Arabia Saudita e Giordania sabato hanno partecipato alla difesa dello Stato ebraico: ma non vogliono una reazione che incendi la regione
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Emirati, Arabia Saudita e Giordania sabato hanno partecipato alla difesa dello Stato ebraico: ma non vogliono una reazione che incendi la regione
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Emirati, Arabia Saudita e Giordania sabato hanno partecipato alla difesa dello Stato ebraico: ma non vogliono una reazione che incendi la regione
Rispondere all’ attacco iraniano ma senza compromettere il fragilissimo equilibrio che sabato notte ha consentito a Israele di difendersi dai droni e dai missili lanciati da Teheran. Da domenica mattina il grande interrogativo sul tavolo del gabinetto di guerra israeliano è stato questo: mettere in campo una reazione che non tenga conto soltanto degli equilibri interni, ma anche di quelli internazionali.
Solo un Paese di quelli coinvolti sabato notte ha ammesso apertamente la sua partecipazione al blocco dell’attacco. «Abbiamo valutato che ci fosse il pericolo reale che i missili iraniani cadessero sulla Giordania. Se lo stesso pericolo venisse da Israele, la Giordania agirebbe nella stessa maniera», ha detto il ministro degli Esteri di Amman Ayman al-Safadi alla televisione domenica. Gli Emirati arabi uniti hanno negato ogni partecipazione diretta alle intercettazioni, smentendola dopo che il Wall Street Journalaveva riportato che Abu Dhabi, come Riad, avrebbe condiviso con gli americani le informazioni che aveva sull’attacco. Nessun commento ufficiale, ma solo indiscrezioni stampa, dall’Arabia Saudita, il cui spazio aereo a differenza di quello emiratino, sarebbe stato attraversato da droni e missili diretti su Israele, secondo la mappa mostrata alla stampa dal portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari.
Ma prima di tutto il filo rosso sta nella chiamata che Joe Biden ha fatto a Benjamin Netanyahu nelle ore più calde della crisi, ricostruita dalla stampa americana. Se l’America non appoggerà un’azione contro Teheran, come ha detto Biden, è sì perché non vuole un ulteriore coinvolgimento nella regione: ma perché quella fragile alleanza che ha costruito negli anni intorno a Israele – dalla presidenza Trump, grande sponsor degli Accordi di Abramo siglati nel 2020 – e che è riuscita a tenere in piedi – congelando ma non cancellando l’adesione dell’Arabia Saudita ai patti stessi, vicinissima prima del 7 ottobre – in questi mesi, nonostante Gaza e i suoi 33mila morti, potrebbe non reggere a un’ulteriore scossone. Ovvero a una reazione troppo forte da parte di Israele su obiettivi iraniani.
Tutto questo, scrive il Wall Street Journal, è stato reso chiaro dai diversi protagonisti agli Stati Uniti prima e dopo l’escalation di sabato notte: in via diretta, nel caso della Giordania, fra i più fragili protagonisti del quadro regionale. Non è un caso che Biden abbia chiamato di persona il re Abdallah, nelle ore successive all’attacco: uno dei leader che più nelle settimane passate ha condannato le azioni di Israele a Gaza e in Cisgiordania, mettendo in guardia dalle possibili reazioni che potevano innescare. E la cui popolarissima moglie, la regina Rania, di origini palestinesi, non ha mai fatto mistero delle sue pesanti critiche a Israele.
Messaggi simili sono stati inviati per vie diplomatiche dagli altri protagonisti: un Qatar che non nasconde i suoi rapporti con l’Iran ma da mesi lavora con Israele alla mediazione su Gaza. Un Egitto che dell’Iran non è certo amico e che sabato non è intervenuto direttamente: ma che è fondamentale per la gestione di Gaza e ha un disperato bisogno di equilibrio, stretto com’è fra la crisi economica peggiore della sua storia recente e la minaccia di una crisi di rifugiati dalla Striscia.
Un’Arabia Saudita che, pur felice di qualunque mossa possa indebolire l’Iran, non vuole essere coinvolta in una guerra che la distrarrebbe dall’obiettivo di rivoluzionare il Paese entro il 2030. E gli Emirati arabi uniti, la nazione dell’area che di più, in questi anni, ha scommesso su Israele: ma che non apparire, agli occhi dei suoi cittadini e degli arabi in generale, come un traditore appoggiando apertamente Netanyahu nel momento in cui a Gaza due milioni di palestinesi soffrono la fame sotto i bombardamenti.
Non è un caso che, nel momento in cui al portavoce della Casa Bianca John Kirby è stato chiesto di fare il nome dei Paesi che hanno aiutato a fermare l’attacco iraniano, fornendo intelligence o abbattendo i missili, la risposta sia stata un «no comment». Si fa, ma non si dice: un’ambiguità di cui Netanyahu è obbligato a tenere conto.
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