Nel 2012 Jean Marie le Pen dichiarò che “l’occupazione nazista della Francia non fu particolarmente disumana”, naturalmente ‘dimenticando’ fra gli altri i 750mila ebrei deportati (soprattutto dopo la retata del luglio ’42, con i prigionieri israeliti ammassati nel Velodromo d’inverno di Parigi) e trucidati nei lager di Hitler; se ne salvarono soltanto 2.500. Il fondatore del Front National reiterò nel 2016, quando definì le camere a gas “un dettaglio della storia della seconda guerra mondiale”. In entrambi i casi se la cavò con una sopportabilissima multa pecuniaria, ma sul piano politico gli costò il definitivo allontanamento da un movimento xenofobo e reazionario che con la figlia Marine aveva inaugurato la ricerca della rispettabilità.
Dall’ultima boutade antisemita del ‘vecchio’ sono trascorsi soltanto nove anni. Ma in meno di un decennio la scena politica europea è profondamente cambiato, in armonia con quella americana. Oggi la destra radicale e identitaria francese, ma anche dell’intero vecchio continente, è diventata una forte sostenitrice dello Stato ebraico. Una evoluzione – rileva “Le Monde” – che quanto è seguito alla carneficina di Hamas del 7 ottobre, e cioè il massacro di oltre 30mila palestinesi a Gaza, vittime della terribile rappresaglia israeliana, “non è stata affatto rimessa in causa”.
L’anti-ebraismo, diffuso anche se non urlato o ufficialmente rivendicato ma presente nelle radici e nella storia della destra ipernazionalista, è stato infatti sostituito da un dichiarato e assoluto anti-islamismo, diventato il carburante politico più utilizzato e quello elettorale più redditizio. Per decenni, una sorta di ‘cordone sanitario’ aveva isolato Israele da forze politiche che, pur evolvendo e partecipando al dibattito politico, nella tradizione anti-semita avevano in parte le loro radici. Il mutamento è massiccio, benché sia impossibile pronosticarne solidità e durata.
C’è il caso dell’Italia, con un presidente del Senato che non prova imbarazzo alcuno a confermare di tenersi fra le mura domestiche una statua di Mussolini, e un governo che si rifiuta di definirsi antifascista; c’è quello dell’Ungheria di Orbán (a suo tempo prigioniera dell’antisemitismo dell’ammiraglio Horty e poi delle Croci frecciate al servizio del Terzo Reich), il cui attuale governo, orgogliosamente “illiberale”, autorizza e ‘protegge’ ogni anno raduni internazionali di nostalgici del nazismo; c’è il caso spagnolo, con la destra radicale di Vox che evoca nostalgie della dittatura franchista, impostasi al termine di una terribile guerra civile soltanto grazie alla partecipazione nazista e fascista alla lotta anti-repubblicana (il leader di Vox, Santiago Abascal, si è precipitato in Israele per denunciare insieme a un furioso Netanyahu la decisione spagnola di riconoscere ufficialmente lo ‘Stato’ di Palestina); né accuse ai terribili bombardamenti di Gaza sono venute dall’AFD tedesca, che fra pochi giorni potrebbe comunque strappare un buon risultato elettorale nonostante che, più che altro per tattica contingente, Alternativa per la Germania sia stata allontanata dai suoi alleati europei (le Pen e Salvini) dopo le dichiarazione giudicate filo-naziste del suo capolista all’imminente consultazione per il parlamento di Strasburgo; c’è, in Olanda, il ruolo chiave assunto del partito dell’estrema destra diventato decisivo per la formazione del prossimo governo dell’Aja, il cui leader Geert Wilders è riuscito a inserire nel patto di coalizione il trasferimento dell’ambasciata dei Paesi Bassi da Tel Aviv a Gerusalemme. Una tela revisionista che si richiama anche alle tesi di Yoram Hazony, israeliano, laurea negli Stati Uniti, ex colono in Cisgiordania, fra i primi collaboratori dell’attuale premier israeliano, e autore del best-seller “Le virtù del nazionalismo”. In Svizzera il fenomeno riguarda in parte anche l’UDC, improvvisamente generosa nel sostegno a Israele mentre ogni male è attribuito (contaminando altri partiti elvetici) alla regia politica di un disegno di ‘sostituzione etnica’ attribuita all’immigrazione soprattutto musulmana.
Ma c’è un elemento poco notato nell’analisi di questa trasformazione pro-israeliana dell’ultra destra europea. Ed è che essa vieppiù incontra una delle tesi oggi più care a Netanyahu nella sua propaganda contraria alla nascita di uno Stato palestinese. Quella della tesi di un comune interesse al confronto/scontro di civiltà. Ha precisato il premier nell’intervista a una tv francese: “Dar loro (ai palestinesi) uno Stato oggi sarebbe la più bella ricompensa possibile per i terroristi, e incoraggerebbe il terrorismo ovunque nel mondo… La nostra vittoria è la vostra vittoria: quella di Israele contro l’antisemitismo, e della civilizzazione giudeo-cristiana contro la barbarie”. Messaggio non equivocabile. A parte la mancata differenziazione, decisamente studiata, fra Hamas e la leadership palestinese laica (Fatah, nucleo dell’Autorità nazionale palestinese), quando Netanyahu si riferisce alla “barbarie” bisogna intendere l’Islam; ma soltanto l’islam di matrice sciita e eterodiretta dall’Iran? Ambiguità condivisa da Marion Maréchal, la “nipotina” di Marine le Pen, nonché capolista per le europee di “Riconquista” dell’ebreo-xenofobo Eric Zemmour. Ha dichiarato la Maréchal che “riconoscere oggi uno Stato palestinese significa creare uno Stato islamista, con tutti i rischi che ciò può rappresentare per Israele e per l’Occidente in generale”.
Inedita saldatura dunque fra due sponde che non molto tempo fa erano in netta contrapposizione. Lo dicono i fatti. Fra l’altro lo sottolinea il bilancio della nona legislatura del parlamento europeo da parte dall’ “European Coalition for Israel”, espressione del lobbismo pro-israeliano fondato dieci anni fa: i venti schieramenti che con i loro voti negli ultimi cinque anni sono stati più favorevoli allo Stato ebraico appartengono tutti all’estrema destra europea. Non un puro caso, dal momento che lo stesso Israele è guidato da una coalizione che deve contare su partiti nazional-religiosi, che fanno tuttora pesare la loro visione biblica, annessionistica ed espansionistica. Per espandere o imporre il potere israeliano a tutta la Palestina storica. Perché non va dimenticato che la formula “Dal fiume Giordano al mare” non è soltanto parola d’ordine di Hamas; lo è stata dopo il 1967 anche per i teorici di “Herez Israel”, il “Grande Israele”, che deve comprendere Giudea e Samaria: avanguardia dell’odierno nazionalismo religioso israeliano.
Nell’immagine: Parigi, luglio 1942. Il rastrellamento degli ebrei ammassati nel Velodromo d’Inverno in attesa di essere deportati nei Lager nazisti