Rifiuti inquinati: Glencore sotto indagine in Sardegna
La Procura della Repubblica di Cagliari accusa la società Portovesme SRL - controllata al 100% dalla multinazionale svizzera - e tre dei suoi amministratori di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi
Glencore fa notizia in Sardegna. Il 9 maggio la società elvetica ha annunciato in pompa magna l’intenzione di trasformare il suo stabilimento di Portovesme, nel sud-ovest dell’isola, in un nuovo “centro mondiale” per il riciclaggio delle batterie. L’impianto è destinato a diventare “il più grande produttore di batterie sostenibili in Europa”, ha dichiarato il gruppo di Baar in un comunicato stampa. “Il nostro sito di Portovesme potrebbe diventare il primo stabilimento della Glencore a produrre litio per batterie”, ha aggiunto Kunal Sinha, responsabile della divisione di riciclaggio del gruppo.
La Glencore è da tempo proprietaria di questo impianto, che produce zinco e piombo nella regione del Sulcis, terra di industria pesante, miniere, inquinamenti e lotte sindacali. Ed è proprio la società che gestisce questo sito industriale in cui sono impiegati 1.000 lavoratori – la Portovesme SRL – a essere ora oggetto di un’indagine condotta dai pubblici ministeri Rita Carnello e Rossella Spano. Il 18 maggio le due magistrate hanno firmato l’avviso di chiusura di un’indagine che potrebbe danneggiare non poca la già flebile credibilità del gruppo in Sardegna. Il direttore dello stabilimento di Portovesme, Davide Garofalo, responsabile del progetto del centro di riciclaggio avviato poco più di un mese fa, è imputato nel procedimento insieme ad altri due dirigenti.
Un pensionato e cento euro
Il caso in questione riguarda la gestione dei rifiuti industriali dell’impianto tra il 2015 e il 2020. In particolare di una sostanza chiamata solfato di calcio biidrato, prodotta durante il processo di produzione dello zinco.
Tutto è iniziato nell’agosto 2015, quando la filiale di Glencore ha firmato un contratto con Nuova Materie Prime Mediterranee (NMPM), una piccola società costituita solo dieci giorni prima, di proprietà di un pensionato e con un capitale di appena cento euro. L’incarico affidato a questa azienda sconosciuta, con sede vicino a Cagliari, era quello di “svuotare” lo stabilimento di Portovesme da quello che viene comunemente chiamato “gesso”. Secondo l’atto giudiziario che abbiamo potuto consultare, però, i dirigenti della Portovesme SRL sapevano perfettamente che questo materiale doveva essere considerato “rifiuto speciale pericoloso”, perché conteneva metalli pesanti come zinco, piombo, alluminio, cadmio e rame.
Invece di essere trattati in una discarica speciale, questi rifiuti industriali venivano semplicemente stoccati in un capannone della zona industriale di Cagliari, grande come due campi da calcio e alto oltre 15 metri. Quando gli investigatori lo hanno scoperto, era pieno fino all’orlo.
Oltre 40 milioni di euro risparmiati
Il contratto prevedeva che NMPM ricomprasse il prodotto da Glencore per un euro a tonnellata. Ma non è tutto: una seconda clausola prevedeva che il gruppo svizzero pagasse 26 euro per tonnellata di rifiuti alla stessa società, come “contributo al trasporto e alla gestione di questi rifiuti”.
Un guadagno per tutti. Tra l’acquisto e il contributo della Portovesme SRL, la piccola azienda sarda ha ricevuto 25 euro a tonnellata, pari a un guadagno di 3 milioni di euro in cinque anni.
Ma a guadagnarci è stata soprattutto la multinazionale. Se avesse dovuto smaltire le 150.000 tonnellate di rifiuti affidate a NMPM tra il 2015 e il 2020 in una discarica regolamentata a prezzi di mercato, Portovesme SRL avrebbe dovuto pagare 43,5 milioni di euro. Secondo la Procura di Cagliari, il contratto con NMPM ha fatto quindi risparmiare alla Glencore 40,5 milioni di euro.
Il consulente sindacalista
Il pensionato che ha creato NMPM è poi deceduto. Nel 2016, dopo la firma del contratto con Portovesme SRL, un uomo ben noto al management locale del gruppo svizzero ha acquistato una quota del 20% della società. Il suo nome: Giampaolo Diana.
Secondo gli inquirenti sardi, ha lavorato come “consulente intermediario per la Portovesme SRL” fino al marzo 2015, e poi come socio al 20% della società incaricata di rimuovere i rifiuti. Ma non solo: Diana è stato anche leader del sindacato CGIL in Sardegna e capogruppo del Partito Democratico in Consiglio regionale. Un uomo influente, quindi.
Giampaolo Diana è stato rinviato a giudizio dalla Procura di Cagliari insieme a Carlo Lolliri, ex amministratore delegato della Portovesme SRL, definito dalla stampa locale l’uomo di Glencore in Italia e già condannato per corruzione. Sono accusati anche il nuovo direttore, Davide Garofalo, e la responsabile del reparto supply chain, materie prime e scarti di lavorazione. La stessa Portovesme SRL è incriminata come persona giuridica. L’azienda è stata oggetto di numerose controversie in Sardegna negli ultimi anni, tra cui accuse di evasione fiscale, controversie sindacali e – come oggi –stoccaggio illegale dei rifiuti.
Il suo subappaltatore NMPM è stato messo in liquidazione nel gennaio 2022 quando l’indagine era ormai scattata. Contattata, la sede centrale della Glencore a Baar ha preferito non commentare la vicenda.
Nell’immagine: il capannone strapieno di scarti industriali contaminati (foto L’Unione sarda)