Da Gioventù nazionale al delitto di Pescara, quando le colpe sono degli adulti
È la generazione di mezzo il guasto che non abbiamo visto arrivare, che non sappiamo riparare. Il resto ne discende
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È la generazione di mezzo il guasto che non abbiamo visto arrivare, che non sappiamo riparare. Il resto ne discende
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È la generazione di mezzo il guasto che non abbiamo visto arrivare, che non sappiamo riparare. Il resto ne discende
Penso sempre ai genitori. Quando ragazzetti di 16, 20 ma anche 25 anni — si vive a casa fino a tardi in questo tempo — commettono bestialità, delitti, dicono spropositi, poi tornano a farsi i selfie e vanno in chat a vantare l’orribile impresa sempre penso: o i genitori sono ignari, hanno investito a vuoto in studi, educazione, vestiti, gadget, possibilità, hanno lasciato il piatto coperto per la cena e non sono entrati in cameretta per non disturbarli nella speranza di renderli felici, spesso sacrificandosi, e invece guarda.
Che disgrazia. Che collasso nel passaggio di consegne. Per la generazione dei quaranta cinquantenni, che fallimento. Qualcuno dovrebbe occuparsi anche di loro, saranno disperati questi genitori di figli che delinquono, che rovinosamente deragliano, che finiscono messi al bando talvolta in galera. Saranno chiusi in casa a rinfacciarsi colpe a vicenda. Non so, un’assistenza psicologica, un sostegno: è previsto?
Leggo le loro biografie: classe media, impiegati dello Stato, qualche professionista, un nobile decaduto spinto a vivere in provincia, carabinieri, insegnanti, dipendenti di un ministero, talvolta qualche operaio o impiegato che, nella speranza immagino di un’ascesa sociale, ha mandato i figli a studiare bene, a volte in scuole private (forse erano svogliati a scuola, si stressavano con le tabelline a memoria) in vacanza all’estero d’estate, all’outlet per comprare quel certo borsello, quella cintura di marca.
Oppure, seconda ipotesi, i genitori sono peggio di loro, quanto meno come loro. Sono quelli che fin dall’asilo quando la maestra diceva “ha picchiato il compagno” domandavano “sì, ma cosa ha mangiato”? Quelli che facevano ricorso, se più civili, che prendevano a botte gli insegnati, se violenti e protervi, quelli che il mio bambino ha ragione e allora hai voglia ad additare i giovani come mele marce, ad allarmarsi per la peggio gioventù.
L’allarme, grande, è per la generazione di mezzo. I genitori di quel ragazzo “suprematista bianco” che stilava liste di “nemici” additati sui canali social come soggetti da eliminare, e che si fabbricava armi in casa con la stampante 3D, mi domando. Sono armati anche loro, hanno portato il bambino al poligono fin da piccolo o lo mandavano agli scout, erano volontari di Libera?
Scusate, divago rispetto al tema principale del momento: la gioventù meloniana. Quel che avevo da dire sul tema dell’antisemitismo, delle svastiche e del sieg heil, del dileggio dei disabili, di chi si forma in quelle fucine l’ho detto ieri: un terrificante pozzo di desolazione, un pericolosissimo cantiere da cui chi governa dovrebbe prendere fermamente le distanze. Punire, inibire. Il problema non è chi racconta la cosa, no: il problema è la cosa. La cosa nera. La facilità, l’ignoranza della Storia su cui attecchisce.
E se Meloni pensa di risolvere la questione denunciando i giornalisti che fanno il loro mestiere sbaglia di grosso la mira, a proposito di armi. Se pensa di distogliere con due battute l’attenzione dal vivaio di ragazzi e ragazze che invece in qualche modo asseconda, e anzi incoraggia. Beh, è un grandissimo problema.
Persino Gianfranco Fini, il suo mentore originario, glielo ha detto chiaro: attenzione, è una brutta china. Fertilizzare l’antisemitismo, di questi tempi, è il peggior azzardo. Anche perché si toccano, come nella storia è sempre accaduto, l’estremismo di destra e quello di sinistra.
Nessuno può restare inerte di fronte ai crimini commessi sulla popolazione civile della Striscia, una devastazione dei diritti umani che dobbiamo in coro denunciare e provare a fermare. Ma dal criticare il governo di Netanyahu a coltivare l’antisemitismo ne passa, e molto. A destra, a sinistra. La differenza fra governi e popoli. Non è sottile: è dirimente. È come se tutti, in Italia, fossimo giudicati colpevoli in quanto popolo del neofascismo di governo.
Torno alle famiglie. Penso, in questi giorni di cronache terribili, a vite di famiglie diverse. I ragazzini di Pescara che ammazzano un coetaneo al parco, i genitori di figli che uccidono la fidanzata dopo averla filmata al centro commerciale, quelli del suprematista bianco che fa le liste dei nemici, i padri e le madri di chi inneggia a Hitler e fa carriera in politica.
Sono casi molti diversi, vi esento dallo specificare. Ma mi domando, in tutti i casi: dov’erano? Capivano, vedevano? Perché se sì, se anche solo intrasentivano, allora abbiamo un problema: che non è quello della gioventù senza riferimenti sani e democratici, è quello dei loro riferimenti adulti.
Un problema ben più largo, ben più grave. È la generazione di mezzo il guasto che non abbiamo visto arrivare, che non sappiamo riparare. Il resto ne discende.
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