Dalla Moldova alla Georgia, l’Europa alla prova dell’Est
Non si possono cogliere fino in fondo le tensioni se non si tiene conto della strategia dominatrice e restauratrice di Vladimir Putin
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Non si possono cogliere fino in fondo le tensioni se non si tiene conto della strategia dominatrice e restauratrice di Vladimir Putin
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Non si possono cogliere fino in fondo le tensioni se non si tiene conto della strategia dominatrice e restauratrice di Vladimir Putin
La “Grande Russia”. Dietro le elezioni in Moldova e il voto, forse ancora più pericoloso, che si terrà il 26 ottobre in Georgia, si staglia questa immagine: la riconquista dei territori che erano stati conquistati dagli zar e poi gestiti dall’Unione Sovietica. Una cartina geografica da ridisegnare secondo i voleri del Cremlino.
Non si possono cogliere fino in fondo i risultati e le tensioni in questi due Paesi se non si tiene conto della strategia dominatrice e restauratrice di Vladimir Putin. La guerra “tradizionale” in Ucraina e quella ibrida negli altri due Stati dell’ex impero zarista-sovietico sono la conseguenza del disegno moscovita di ricostruire gli antichi confini. Almeno quelli che segnavano fino al 1991 il limite tra Occidente e Oriente comunista.
I risultati sul filo del rasoio registrati in Moldova non possono dunque essere interpretati come l’esito di una competizione, per così dire, “locale”. Il referendum sull’adesione all’Unione europea, vinto dai sì per un soffio, e la vittoria mutilata della premier filoeuropeista, Maia Sandu, che sarà costretta al ballottaggio contro l’avversario appoggiato dal Cremlino, la dicono lunga sulla vera posta in gioco in quell’area dell’Europa.
La Moldova, per di più, è una sorta di “cuscinetto” tra l’Ucraina e la Romania, la frontiera con l’Ue e la Nato. Le infiltrazioni russe, i tentativi di brogli, le influenze malevole ormai tipiche di questa stagione, svelano ancora di più la strategia di Mosca che punta a ristabilire i vecchi rapporti di forza e a indebolire la base fondante dell’Unione europea e dell’intero Vecchio Continente: la democrazia liberale.
Non è un caso che il governo democratico uscente di Chisinau debba affrontare proprio ora i tentativi di Putin volti a condizionare le urne. A giugno scorso la Commissione e il Consiglio Ue avevano dato il via libera ai negoziati per l’adesione moldava. Un passo fondamentale compiuto insieme all’Ucraina. Pochi giorni fa Bruxelles aveva stanziato aiuti per quasi due miliardi di euro.
Lo “zar” vuole contrastare questo percorso di avvicinamento, si muove come un contrappeso. Quel territorio, apparentemente lontano, è sostanzialmente molto vicino perché si sta trasformando in un pezzo di libertà europea da difendere. Del resto in una regione di quello Stato indipendente, la Transnistria, i russi da tempo fanno la voce grossa e amministrano il territorio come fosse già loro. Una tutela di fatto.
Se al referendum avesse vinto il “no” all’Europa, la Moldova avrebbe dunque fatto un passo ulteriore verso la “Grande Russia”. La manipolazione del Cremlino è stata evidente e denunciata anche dall’Ue. Ha fallito, fortunatamente, ma solo per duemila voti.
E la stessa partita si giocherà tra pochi giorni al ballottaggio. Il paravento del sovranismo che protegge il leader dell’opposizione filorussa, Alexandr Stoianoglo, è in realtà un cannone puntato contro l’Europa. E fa parte di quello stesso esercito nazionalista e sovranista che prova a condurre le sue campagne negli Stati membri dell’Unione. Un’arma politica, al momento, rivolta contro la Moldova ma costruita con lo stesso materiale illiberale di cui sono impastati i missili “veri” lanciati verso Kiev.
Purtroppo la situazione non è diversa in Georgia. A Tbilisi il governo amico del Cremlino ha già dato un colpo di freno all’ingresso nell’Unione europea. Nonostante le affollatissime manifestazioni a favore del percorso di adesione.
Bruxelles ha dovuto sospendere la “promozione” georgiana proprio perché l’attuale esecutivo non fornisce alcun tipo di garanzia “democratica” e non appare in grado di rispettare i cosiddetti criteri di Copenaghen necessari per l’adesione. Ma quel Paese rischia così di vacillare domenica prossima sull’orlo della guerra civile sotto i colpi dei brogli e dell’invadenza russa.
Per il Cremlino, poi, la Georgia sta assumendo anche una valenza militare: poter contare su un altro accesso al Mar Nero. Senza dimenticare che si tratta di un Paese già straziato da due “secessioni” russofile: quelle in Ossezia e in Abkhazia. Il leader del partito Sogno Georgiano, Bidzina Ivanishvili, è un oligarca pronto a farsi teleguidare da Putin. Ma anche a far precipitare il suo Paese nel caos.
L’Europa e l’Occidente dovranno quindi fare attenzione ai vascelli sovranisti che salpano da Mosca camuffati sotto il mantello nazionalista e che sono pronti a colpire il cuore del nostro Continente.
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